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Giotto, Ingresso in Gerusalemme, Cappella degli Scrovegni,
1303-1305, Padova |
di Nicolò Ghigi
Introduzione
Nella Sacra Scrittura, l'asino viene menzionato oltre centocinquanta volte [1]. Dagli asini di Abramo (Genesi XII, 16) all'asino di Balaam (Numeri XXII, 21-33), che riconosce la presenza dell'Angelo di Dio ben prima del suo stolto padrone, l'onagro ricopre un ruolo molto importante nella narrazione biblica, tanto da essere l'animale più presente dopo (ovviamente) l'agnello e la pecora; non deve stupire nemmeno che la propaganda anticristiana dei primi secoli accusasse i Cristiani di venerare un dio-asino [2], dacché comunque esso doveva esser ricompreso tra gli animali simbolici legati al testo scritturale. Due volte nei Vangeli un asino porta Nostro Signore: durante la fuga in Egitto e la domenica delle Palme. A voler sconfinare nella tradizione popolare, vi sarebbe anche l'asino che insieme al bue riscaldò il Salvatore nella notte della sua Natività, ancorché questa sia una credenza diffusa in Occidente, tanto da entrare nel popolare Presepe, ma non supportata da alcun Vangelo né canonico né apocrifo [3].
Sulle derive superstiziose medievali dell'importanza tribuita all'onagro dal Cristianesimo, molto si ebbe a scrivere. Alquanto noto è il costume, nato in Francia nell'XI secolo, ma diffusosi successivamente anche a Firenze, di celebrare, nei giorni successivi alla Circoncisione una festa in onore dell'asino che portò il Signore nel suo viaggio in Egitto, detta appunto "festa dell'asino", o anche "festa dei folli" per via di alcuni usi popolari di sovvertimento dell'ordine costituito, che ricordano i Saturnalia romani [4]. In occasione di quella festa, un asino, condotto in solenne processione all’altare, veniva addestrato ad inginocchiarsi in momenti indicati e a ragliare tre volte alla risposta rituale. «Alla fine della Messa – è scritto in un codice manoscritto risalente all’XI secolo – il prete, anziché pronunciare Ite missa est, raglierà tre volte, e in luogo di Deo gratias il popolo risponderà tre volte hi-ha» [5]. Nella Biblioteca del Re a Parigi è parimenti attestato un canto, attribuito a Pierre de Corbeil (+1222), dedicato a questa specifica festività, Orientis partibus.
Questa festa, concentrato di superstizione popolare, tradizione pagana e cenni di Cristianesimo, nonostante un’aperta condanna del Concilio di Basilea del 1431, essa sopravvisse fino al secolo XVI. Poi, durante l’epoca della Riforma e della Controriforma, a poco a poco scomparve. I cronisti raramente ne deplorano la scomparsa. [6]
Col tempo, la considerazione popolare per l'asino mutò sensibilmente. In realtà, la concezione di questo animale era stata ambigua sin dall'antichità e per tutto il Medioevo. Se da una parte l'asino, cavalcatura dei profeti, in molti miracoli medievali ricalcati sul summenzionato episodio biblico di Balaam, l’asino s'inginocchia dinanzi all’Ostia consacrata, d'altra parte, per il Physiologus e molti altri bestiari, l'asino rappresenta il demonio; senza contare l'immagine di animale ottuso, lussurioso e ostinato (donde anche l'espressione contemporanea "essere un asino") tramandataci da Apuleio e da Fedro [7], nonché l'importanza dell'asino rosso in alcuni culti misterici, come apprendiamo dal De Iside et Osiride di Plutarco [8].
Tornando tuttavia all'argomento precipuo del nostro intervento, resta da considerare la tradizione, molto meno inficiata dalla superstizione popolare (se non in qualche pia leggenda che attribuiva al ruolo giocato dall'animale nell'episodio evangelico la spiegazione della criniera cruciforme dell'asino), forse proprio per il rispetto nei confronti dei Divini Misteri della Passione e Risurrezione del Redentore, della Domenica delle Palme. Come Nostro Signore, nel suo trionfale ingresso in Gerusalemme, s'era assiso su di un'asina, parimenti il Vescovo, piuttosto che un altro dignitario, in questa processione "faceva la parte di Cristo", sedendosi su un onagro e così incedendo nella solenne processione. I riti della Settimana Santa, ancor oggi, mantenendo un venerabile carattere d'antichità, tendono infatti a mischiare, o meglio a contaminare (come direbbero i commediografi latini), gli atti propriamente liturgici con le Sacre Rappresentazioni, muovendo così a spirituali affetti i fedeli nel vedere, coi loro propri occhi e non solo per speculum et in aenigmate, ripetersi gli eventi della Passione. Alla stessa funzione si possono ricondurre altri atti liturgici della Grande Settimana, come anche lo stesso canto della Passio [9].
Quantunque molte siano le attestazioni di "processioni dell'asino" nella tradizione medievale di tutta la Cristianità, nel presente studio ci si concentrerà unicamente su due usi locali, ovvero quello gerosolimitano e quello moscovita.
La "processione dell'asino" nella tradizione gerosolimitana
Et iam cum coeperit esse hora undecima, legitur ille locus de euangelio, ubi infantes cum ramis uel palmis occurrerunt Domino dicentes: Benedictus, qui uenit in nomine Domini. Et statim leuat se episcopus et omnis populus, porro inde de summo monte Oliueti totum pedibus itur. Nam totus populus ante ipsum cum ymnis uel antiphonis respondentes semper: Benedictus, qui uenit in nomine Domini. Et quotquot sunt infantes in hisdem locis, usque etiam qui pedibus ambulare non possunt, quia teneri sunt, in collo illos parentes sui tenent, omnes ramos tenentes alii palmarum, alii oliuarum; et sic deducetur episcopus in eo typo, quo tunc Dominus deductus est. Et de summo monte usque ad ciuitatem et inde ad Anastase per totam ciuitatem totum pedibus omnes, sed et si quae matrone sunt aut si qui domini, sic deducunt episcopum respondentes et sic lente et lente, ne lassetur populus, porro iam sera peruenitur ad Anastase. Ubi cum uentum fuerit, quamlibet sero sit, tamen fit lucernare, fit denuo oratio ad Crucem et dimittitur populus. [10]
E quando si fa l’ora undicesima, si legge quel passo
evangelico in cui gli infanti andarono incontro al Signore con rami d’ulivo e
di palma dicendo: Benedetto colui che viene nel nome de Signore! E subito si
alzano il vescovo e tutto il popolo, poi dalla cima del monte degli Ulivi si
avvia una processione. Così tutto il popolo procede davanti a lui tra inni e
antifone acclamando sempre: Benedetto colui che viene nel nome del Signore! E tutti
gli infanti che vi sono lì, anche quelli che non possono camminare perché
troppo piccoli e sono portati in spalla dai propri genitori, tengono in mano
dei rami, alcuni d’ulivo e altri di palma; e così si accompagna il vescovo al modo stesso in
cui fu accompagnato il Signore. E dalla cima del monte sino
in città, e poi tutti camminano attraverso tutta la città fino al luogo della
Risurrezione, e, sia che vi siano uomini o donne, così accompagnano il vescovo rispondendo, e lentamente in tal modo, perché non si stanchi il popolo, e fattasi ormai sera si giunge al luogo della Risurrezione. Una volta ivi giunti,
benché sia sera, tuttavia si celebra la liturgia del lucernario [11], si fa di nuovo una orazione alla Croce, e si congeda il popolo.
Con queste parole Egeria, pellegrina che nel IV secolo visitò i luoghi santi, lasciandoci nelle pagine del suo Itinerarium splendide descrizioni delle consuetudini anche liturgiche della Terra Santa, descrive l'ufficiatura della Domenica delle Palme. Non si menziona qui la Messa, semplicemente perché, trattandosi di una domenica, era stata ovviamente celebrata al mattino e senza risentire troppo nella struttura della vicinanza alla Passione del Signore. E' invece interessante quella nota in eo typo quo tunc Dominus deductus est, che ci fa supporre che si cercasse di replicare esattamente la scena vissuta dal Redentore al suo ingresso in Gerusalemme, e, attraverso l'identificazione del Sommo Sacerdote con la Persona Christi, ai commentatori appare chiaro, anche confrontando le altre fonti, che durante questa processione vespertina il Vescovo della Città Santa procedesse a dorso d'asino. Non doveva apparire cosa strana, essendo l'onagro mezzo comune di locomozione in quelle terre; inoltre, tale costume sarebbe stato assai meno passibile di travisamenti superstiziosi che in Occidente, in quanto la cultura semita ha grande rispetto per tale animale, e non ravvisa alcun segno negativo o idolatra in esso, come invece si è detto per la cultura tardoromana ed ellenistica.
Tale costume a Gerusalemme non scomparve praticamente mai: nonostante le moltissime vicissitudini geopolitiche che colpirono la Città Santa durante gli ultimi milleseicento anni, la processione a dorso d'asino trova testimonianza ancora nell'Ottocento. Dom Prosper Guéranger [12], facendo una rassegna dei riti particolari praticati durante la processione delle Palme, dopo aver parlato al passato dell'uso anglonormanno di portare per la via la Santissima Eucaristia, a rappresentare Nostro Signore, onorata coi rami benedetti, parla al presente di un costume praticato dai padri della Custodia di Terra Santa, provincia dell'Ordine Francescano che rappresenta ufficialmente la presenza della Chiesa Romana nei luoghi della vita di Cristo. "A Gerusalemme, nella Processione delle Palme, si pratica anche un'altra usanza, sempre allo scopo di rinnovare la scena evangelica. L'intera comunità dei Francescani, che sta alla custodia dei luoghi sacri, si reca di mattina a Betfage (la cittadina vicino a Gerusalemme e al monte degli Olivi ove il Salvatore ordina ai discepoli di procurargli la cavalcatura, giusta la narrazione del Vangelo di Matteo, ndr), ove il Padre Guardiano di Terra Santa, in abiti pontificali, monta un asinello adorno di vestiti e, accompagnato dai religiosi e dai cattolici di Gerusalemme, tenendosi tutti in mano la palma, fa l'ingresso nella città e smonta alla porta della chiesa del Santo sepolcro, dove si celebra la Messa con la maggiore solennità" [13]
La "processione dell'asino" nella tradizione moscovita
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Vjacheslav Schwarz, La processione sull'asino dello Zar Alessio, 1875 |
All'Europa non fu ignoto, soprattutto in età altomedievale, il summenzionato costume gerosolimitano. Era consuetudine, per esempio, degli Arcivescovi di Salisburgo, nel primo anno del loro episcopato, compiere la "cavalcata delle Palme" sino alla chiesa di Nonnenbergkirche, ancorché a un modesto asinello presto sia stato sostituito in quest'usanza un nobile cavallo bianco. Nonpertanto, almeno fino al 1785 in gran parte della regione alpina di lingua tedesca, ma anche nei Paesi Bassi o in Belgio, era diffuso l'uso di portare in processione, se non un asino reale, quantomeno un simulacro di legno intagliato e dipinto che lo rappresentasse, trattato dai fedeli come vera e propria reliquia; di tali statue ne restano oggi pochissimi esemplari, in quanto la maggior parte andò distrutta durante la Riforma protestante o in età illuminista.
Una delle località in cui però tale rito sopravvisse più lungamente, è sicuramente Mosca, la Terza Roma, sede del Patriarcato che assunse de facto un ruolo primario nell'Ortodossia dopo la caduta di Costantinopoli-Nuova Roma nelle mani dei Turchi. Praticata ininterrottamente dal 1558 al 1693, essa assumeva la dimensione di un rituale religioso di corte, non differentemente dalla Grande Santificazione delle Acque la Vigilia dell'Epifania [14], in quanto lo Zar, procedendo umilmente a piedi, portava l'asinello su cui il Patriarca sedeva figurando il Cristo, in tal modo dimostrando la sottomissione del potere temporale a quello spirituale [15].
Templum S. Trinitatis, etiam Hierusalem dicitur; ad quo Palmarum festo Patriarcha asino insidens a Caesare introducitur, cioè "Tempio della Santa Trinità, anche detto Gerusalemme, al quale, durante la festa delle Palme, il Patriarca, seduto su un asino, è condotto dallo Zar". Con queste parole la Mappa di Mosca di Pietro, del 1597, descrivendo la Cattedrale della SS. Trinità [16], ci informa di questo suggestivo costume liturgico e popolare: la хождение на осляти, cioè "processione sull'asino".
Pare che il rituale venisse inizialmente praticato, a partire dalla prima metà del XVI secolo, a Novgorod, dall'Arcivescovo locale, assistito dal namestnik, cioè il vicario del Principe di Mosca. Il Metropolita Macario volle importarlo a Mosca, e lo fece per la prima volta, assistito dallo Zar Ivan IV il Terribile, nel 1558, quando la Cattedrale della SS. Trinità ancora era in fase di costruzione (sarebbe stata consacrata solo tre anni dopo). Dopo il completamento della stessa, secondo il Petreius, le processioni partivano dalla Cattedrale della Dormizione, attraversando la Porta del Salvatore, e terminavano nel santuario occidentale, dedicato all'Ingresso di Cristo in Gerusalemme. Questo avveniva perché l'insieme delle cappelle formanti la Cattedrale erano intese come le parti di un'unica chiesa: il santuario occidentale rappresentava il nartece, la Porta del Salvatore le porte regali, e così via... La stessa cattedrale era popolarmente conosciuta come Gerusalemme, e del resto il clero e il popolo percepivano la cattedrale come nove separate chiese costruite su un basamento comune, un'allegoria generalizzata della Città Celeste, simile alle città di fantasia delle miniature medievali [17]. L'astratta allegoria era appunto rinforzata dal simbolismo dei rituali religiosi, assumendo la cattedrale il ruolo biblico di Tempio di Gerusalemme.
Molti sono i visitatori occidentali rimasti impressionati da questo rito, di cui ci resta testimonianza nelle Cronache scritte prima del Periodo dei Torbidi [18], fedelmente riportati dal Muir e dagli altri storici che si sono occupati di usanze del genere.
Uno dei nobiluomini dell'Imperatore [19] guida il cavallo dalla testa, ma l'Imperatore stesso, procedendo a piedi, guida il cavallo dall'estremità della renna della briglia con una delle mani, e con l'altra tiene un ramo di Palma: dopodiché segue il resto della nobile corte dell'Imperatore e i gentiluomini, con un gran numero di altre persone. (Richard Hakylut, The Principall Navigations Voiages and Discoveries of the English Nation, 1589).
La capitale, Mosca, è divisa in tre parti; la prima di esse, detta Kitai-gorod, è circondata da un solido muro di cinta. Contiene una chiesa straordinariamente meravigliosa, tutta ricoperta di gemme brillanti e colorate, detta Gerusalemme. Essa è la meta dell'annuale processione della Domenica delle Palme, quando il Gran Principe [19] di Mosca deve guidare un asino che porta il Patriarca, dalla chiesa della Vergine Maria alla chiesa di Gerusalemme, che sta vicino alle mura della cittadella. Qui è dove vivono le più illustri famiglie principesche, nobiliari e mercantili. Qui è pur la principale piazza del mercato moscovita: la piazza di commercio è costruita come un rettangolo, con venti vicoli da ogni lato, dove i mercanti hanno le loro botteghe... (Peter Petreius, History of the Great Duchy of Moscow, 1620).
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Stampa olandese del XVII secolo, La Processione dell'Asino |
Una modifica dell'ordine summenzionato della processione si ebbe nel XVII secolo, sotto il Patriarca Nikon, il quale avrebbe invertito l'ordine di tutte le processioni (prescrivendole da occidente verso oriente, laddove i rituali del XVI secolo ci tramandano la prassi di condurle da oriente verso occidente), compresa quella delle Palme a Mosca; egli la fece cominciare dal Lobnoje Mesto, pietra posta nell'attuale Piazza Rossa raffigurante allegoricamente il Golgota, e terminare al Cremlino, che doveva essere la nuova allegoria di Gerusalemme. Proprio su una processione dell'asino, peraltro, si consumò la reprimenda di Nikon, ritiratosi de facto dal Patriarcato nel 1658, al Metropolita Piritim di Krutitsy, che aveva osato condurre in sua vece la processione del 1659, con la complicità "in spirito promiscuo" dello Zar Alessio I. Dalla lettera di anatema firmata da Nikon apprendiamo che il Patriarca, attraverso quest'atto, diventava "icona vivente di Cristo stesso", corona che solo il Capo della Chiesa poteva portare [20]. La prima attestazione del nuovo corso della processione ci è data dal geografo tedesco Adam Olearius, che vi assistette nel 1636, e racconta, oltre al percorso mutato, di aver visto precedere il corteo "un albero meraviglioso i cui rami erano adorni di mele e altri vari frutti" e sei fanciulli che cantavano l'Osanna.
La tradizione iniziò a declinare verso la fine del XVII secolo. Già nel 1678, secondo l'Uspanski, il Santo Sinodo vietò che tale processione si praticasse al di fuori della città di Mosca. In quegli anni regnava Fjodor III, ultimo sopravvissuto dei figli di Alessio, il quale, debole e di salute cagionevole, non aveva potuto partecipare alle processioni del 1676 e del 1677; di nuovo egli riprese a parteciparvi, affianco al Patriarca Gioacchino, sino al 1681, quando ancora la salute gl'impedì di prendere ancora parte al tradizionale atto liturgico. Nel 1682, morto Fjodor, i figli Ivan e Pietro, coregnanti, conducevano insieme l'asino in processione; ma l'anno successivo, ammalatosi Ivan, fu il solo Pietro a condurlo. Nel 1694, in segno di lutto per la morte della madre, occorsa il 25 gennaio dello stesso anno, egli non partecipò al rituale di corte; l'abolizione formale sarebbe giunta di lì a poco, nel 1697, come atto di dimostrazione della superiorità del potere statale e politico sulla Chiesa. L'introduzione di un sovversivo costume quasi orgiastico, cui partecipavano i funzionari imperiali, in sostituzione di quell'antichissimo e pio rituale che aveva attraversato la Storia della Russia dai Rurikidi ai Romanov, fu uno dei segni che accompagnarono tristi pagine della storia della Russia, preludenti la forzosa occidentalizzazione del Paese a danno di molte antichissime tradizioni locali, e soprattutto della Fede e della Chiesa Ortodossa [21].
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NOTE
[1] Cfr. Roberto I. Zanini, Pecore, uccelli e asini: che zoo la Bibbia, in "Avvenire", 22 agosto 2018
[2] Assai noto è il graffito Paedagogius del Palatino, che raffigura polemicamente un Cristiano che adora un uomo dalla testa d'asino posto su una croce, con in appendice la scritta ΑΛΕΞΑΜΕΝΟC CΕΒΕΤΕ ΘΕΟΝ (Alessameno adora il [suo] Dio). Della diffusione e della falsità di questa calunnia contro i Cristiani parla ampiamente Tertulliano (Apologeticum, XVI), accusando Tacito di averne introdotti i sospetti parlando degli usi dei Giudei nel V libro delle sue Storie.
[3] Secondo Marcello Craveri (cfr. note a M. Craveri, I Vangeli Apocrifi, Einaudi, 1969), la tradizione deriverebbe da un'errata trascrizione nei manoscritti di un versetto del Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo, che riprende un passo tratto dalla Profezia di Abacuc e afferma che il Messia sarebbe nato "tra due età", divenute, nelle varie corruttele, "due animali".
[4] Cfr. Jean-Baptiste Thiers (1636-1703), Traité de superstision ...
Per una trattazione sistematica delle fonti su questa festa, Cox Harvey, La Festa dei folli, saggio teologico sulla festività e la fantasia, Bompiani Ed., Milano 1971.
[5] M. Schneider, La simbologia dell’asino, in «Conoscenza religiosa», 2 (1980), pp. 129-148.
[6] Cox Harvey, La Festa dei folli..., op. cit.
[7] In Fedro (Fabulae, I, 29) l'asino schernisce il cinghiale demisso pene, ovverosia mostrando il suo smisurato fallo; il capolavoro di Apuleio invece, Metamorphoses, conosciuto anche come L'Asino d'Oro, narra della trasmutazione in asino del povero Lucio, e della peregrinazione ch'egli dee compiere per riprendere l'aspetto umano, non tralasciando nel corso della suggestiva e divertente narrazione un buon numero di cenni alla natura riottosa e lasciva dell'animale.
[8] Per una trattazione delle diverse e contrapposte visioni della figura dell'asino in età medievale, vedasi F. Cardini, L’asino, in «Abstracta», 11 (1987), pp. 46-53.
[9] Il canto della Passio, attestatoci dal rituale lateranense almeno dal XII secolo, assunse i caratteri di un vero e proprio dramma sacro, in quanto le tre parti principali dell'azione testuale, ossia quella del Cristo, del Cronista e della Sinagoga, venivano eseguite da tre diaconi su un tono suggestivo ed elaborato, proprio come durante una recita teatrale. Tale consuetudine si è serbata intatta nel Messale Romano.
[10] Peregrinatio Aetheriae, XXXI, 2-4
[11] La liturgia lucernale faceva parte dell'antica ufficiatura del Vespero, caratterizzata dall'accensione di una lucerna, con una valenza simbolica (la "luce di Cristo che illumina tutti", come dice un tropario bizantino che si canta nella Liturgia dei Presantificati), oltre che pratica. Resti di tale ufficiatura sono presenti tanto nel Rito Ambrosiano (dove è rimasto, almeno nominalmente, il Responsorium Lucernale verso l'inizio dell'ufficio vesperale), quanto in quello Bizantino (il noto inno del Vespero Φῶς Ἰλαρὸν, che ci parla della "luce vespertina", paragonata appunto alla luce della santa gloria di Dio), e in minima parte nel Rito Romano (i cui resti si possono notare nella cerimonia di accensione del cero il Sabato Santo).
[12] Dom Prosper Guéranger (1805-1875), benedettino, fu Abate di Solesmes, protagonista della restaurazione solesmiana del canto gregoriano, nonché prolifico autore di liturgia, tra i fondatori del primo movimento liturgico, fiero avversario della da lui stesso definita eresia antiliturgica.
[13] P. Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 676
[14] La Vigilia dell'Epifania lo Zar assisteva solennemente al rito di benedizione delle acque, non differentemente da quanto fa oggi il Presidente federale della Russia, il quale partecipa pure al popolare costume di fare il bagno nell'acqua del fiume benedetto, nonostante il gelo del gennaio russo. Per una descrizione del mentovato rito di santificazione delle acque, vedasi a questo link: http://traditiomarciana.blogspot.com/2018/01/la-grande-santificazione-delle-acque.html
[15] cfr. Edward Muir, Ritual in early modern Europe, Cambridge University Press, 2005, p. 253
[16] Dal nome del santo le cui reliquie riposano in una delle nove cappelle, Basilio il Benedetto, folle in Cristo (1468-1557).
[17] cfr. Dmitrij Švidkovskij, Russian architecture and the West, Yale University Press, 2007
[18] Termine con cui s'identifica in storiografia il ventennio di anarchia e guerra civile per il controllo della Russia intercorrente tra la fine della dinastia Rurikide (1598) e l'ascesa di Michele I Romanov (1613).
[19] Nel menzionare lo Zar, i due autori usano dei titoli anacronistici o erronei: l'Hakylut lo chiama Imperatore, forse per analogia col termine Caesar onde deriva Zar, ma tale titolo sarà ufficialmente assunto dai sovrani russi solo nel 1721; il Petreius invece lo chiama Gran Principe, titolo dismesso e sostituito dal più solenne di Zar già nella seconda metà del XV secolo.
[20] cfr. Boris Uspenski, Семиотика истории. Семиотика культуры [Semiotika Istorii. Semiotika kul'tury], Gnozis, Moscow, 1994
[21] Tale precisione d'informazioni circa il rituale negli ultimi anni del XVII secolo è tratta da Paul Bushkovitch, Peter the Great: the struggle for power, 1671-1725, Cambridge University Press, 2001, pp. 112-181