Mentre
in Oriente sempre è rimasto vivo il culto dei Santi dell’Antico Testamento,
onorati nella liturgia con feste loro proprie (quelle di molti profeti, ad
esempio, si trovano collocate dal calendario bizantino nel mese di dicembre,
per evidenziare il legame tra la loro predicazione e l’avvento del Salvatore),
questi nell’Occidente hanno avuto nei secoli una minor considerazione. Certo, l’iconografia
occidentale ha per secoli continuato a rappresentare scene dell’Antico
Testamento, e in molti affreschi i profeti e i patriarchi attorniano l’immagine
di Dio, proprio come nell’uso tradizionale russo i dodici profeti e i dodici
patriarchi hanno un loro posto stabilito nella corte celeste raffigurata dall’iconostasi;
certo, nel Canone Romano viene menzionata l’oblazione pura di Abele, il
sacrificio di Abramo e quello del sommo sacerdote senza genealogia Melchisedec;
certo, nei giorni tramandati dalla tradizione come loro transito il
Martirologio Romano contiene l’elogio dei profeti e dei patriarchi. Nondimeno,
possiamo notare la differenza di culto dando un semplice sguardo al Calendario
liturgico: mentre dozzine di Santi della Prima Alleanza hanno una propria
celebrazione liturgica nel calendario bizantino, in quello romano trovano posto
solo i Fratelli Maccabei, commemorati il 1° agosto, e alcuni santi “parzialmente
neotestamentari” (come li definì Silvio Tramontin), cioè i santi progenitori
del Signore Gioacchino e Anna. Tale differenza si amplifica se si considera il
numero di chiese dedicate ai santi veterotestamentari in Oriente, di fronte
alla quasi totale assenza di esse in Occidente.
Si
è parlato di quasi totale assenza, perché un’eccezione notevole c’è, ed è
Venezia, che in virtù del suo stretto legame con l’Oriente ha, sin dai tempi
più remoti (si consideri il Kalendarium
della Chiesa Veneta dell’XI secolo), conservato il culto dei santi
veterotestamentari, dedicando loro numerose chiese urbane e celebrando le loro
feste. Giambattista Galliccioli, nelle sue Memorie
della Chiesa Veneta, c’informa che nel 1764 il Patriarca Giovanni Bragadin
avesse composto degli offici propri per i santi dell’Antica Legge venerati nelle
Venezie, ma che altri testi propri fossero in uso sin dal XII secolo. Nella sua
lista, il Galliccioli include S. Geremia al 1° maggio (1), S. Giobbe al 10
maggio, S. Daniele al 21 luglio, S. Samuele al 20 agosto, S. Mosè al 4
settembre, S. Simeone profeta all’8 ottobre (2), S. Lazzaro risuscitato al 17
dicembre (3). A questi si aggiunge la memoria di S. Zaccaria padre del
Battista, celebrata il 5 novembre, il cui officio era stato però composto già
nel 1761.
Nonostante
quanto appena scritto, proprio a Venezia manca la celebrazione (così come il
titolo) del santo veterotestamentario forse più venerato in tutto l’Occidente:
Elia profeta. Il 20 luglio, giorno tradizionalmente ritenuto della sua morte, e
sua memoria nel Martirologio Romano, a Venezia si celebra infatti con solennità
la festa di S. Margherita Megalomartire d’Antiochia, parte delle cui reliquie
sono custodite in città (4).
Ad
aver diffuso il culto del santo profeta in Occidente, oggi patrono di molte città e paesi in tutta Europa, è stato senza dubbio l’Ordine
del Carmelo, che, com’è noto, facendo rimontare l’origine del proprio ordine
monastico all’esperienza eremitica iniziata proprio da Elia sul Monte Carmelo,
lo venera come dux ac pater,
tributandogli quotidiano onore nel proprio officio, menzionandolo nel Confiteor
della messa, e celebrando la di lui solenne memoria proprio il 20 luglio.
Nel
Breviario proprio dei Carmelitani Scalzi, i quali hanno recepito come base il
Rito Romano, la festa, celebrata sub ritu
duplici I classis cum octava communi, inizia con il Vespero festivo, nel
quale ai salmi del Comune dei Confessori non Vescovi si inframmezzano antifone
proprie tratte dai passi dei Libri dei Re che narrano la vita del santo
profeta. Il capitolo è tratto dall’Ecclesiastico, 48, 1-2, nel quale si fa
memoria della predicazione di Elia Profeta, paragonato al fuoco, e della sua
parola, paragonata a una fiaccola ardente; l’inno è proprio, il Nunc juvat celsi. L’antifona al
Magnificat è tratta dal profeta Malachia (4,5-6), e dice così: Ecce, ego mittam vobis Eliam Prophetam,
antequam veniat dies Domini magnus et horribilis. Et convertet cor patrum ad
filios, et cor filiorum ad patres eorum. Il fatto che la figura di Elia
ricorra anche negli scritti profetici e sapienziali successivi è indice dell’importanza
capitale di questa figura, posto nella scrittura come primus prophetarum, e nel quale molti non per nulla identificavano
il Messia. L’orazione, nella sua parte elogiativa, fa memoria del miracoloso
transito del Profeta, trasportato in cielo igneo
curru, e che per tal motivo secondo una tradizione popolare, abbenché mai
ufficialmente approvata dalla Chiesa, non sia mai morto (5). Viene poi
commemorata solo l’Ottava privilegiata della Madonna del Carmine.
Oltre
al già menzionato Nunc juvat celsi dei
I Vespri e all’Audiat miras dei II
Vespri, la pietà carmelitana dedica altri due inni al proprio capostipite: il Te magne rerum Conditor al Mattutino e
il Pergamus socii tollere alle Laudi.
L’antifona al Benedictus è tratta dall’epistola di S. Giacomo (5, 17-18), che magnifica
Elia, homo similis nobis in passibilibus,
ricordando uno dei suoi miracoli, ovvero la siccità e la successiva pioggia da
lui invocate con la preghiera. La figura etimologica oratione oravit contenuta nel testo, con il verbo che viene di lì a
poco ripetuto (et rursum oravit),
focalizza l’attenzione sulla preghiera come elemento centrale nella vita
contemplativa del monaco carmelitano. Oltre all’Ottava della Madonna del
Carmine, ad laudes tantum (e nelle
messe private), si commemora S. Girolamo Emiliani.
Alla
Messa, l’introito è lo stesso brano di Malachia cantato ai Vespri; parimenti,
la lezione è un’estensione del brano sapienziale impiegato come Capitolo. Il
Graduale è tolto dal salmo 144, e ancora pone l’accento sull’importanza della
preghiera, ricordando che il Signore prope
est omnibus invocantibus eum e deprecationem
eorum exaudiet et salvos faciet eos. Il carme allelujatico è invece tolto
dal terzo libro dei Re (18, 36. 38), ed è costituito dalle parole (Domine Deus, ostende hodie quia tu es Deus
Israel, et ego servus tuus) pronunziate da Elia profeta per supplicare il
Signore di mostrare la sua potenza, cosa ch’Egli farà, talché cecidit ignis Domini, et voravit holocaustum.
Il Vangelo è chiaramente quello della Trasfigurazione, in cui appunto Elia
appare insieme a Mosè sul Tabor per affiancare la luminosa manifestazione della
Divinità del Salvatore. All’offertorio è cantato per antifona il brano di S.
Giacomo impiegato alle Laudi, mentre l’orazione sopra le oblate mette in
correlazione l’olocausto dedicato a Dio da Elia (cfr. III Re 18,38) con il
sommo sacrificio di Cristo.
Il
Canone è introdotto dal Prefazio proprio del Santo Profeta, elegante panegirico
che magnifica le imprese del santo, in virtù della cui parola caelum continuit, mortuos excitavit, tiranno
percussit, sacrilegos necavit, vitaeque monasticae fondamenta constituit, e
prosegue narrandone con ispirati verbi il suo miracoloso transito, e lo esalta
quale Praecursor venturus secundi
adventus Jesu Christi Domini nostri. L’antifona della Comunione è tolta
anch’essa dal terzo libro dei Re (19, 8), in cui Elia si rifocilla prima di
ascendere al monte di Dio: il paragone che s’instaura è sublime, nella misura
in cui il monaco comedit et bibit il
Corpo e il Sangue di Cristo, Sacramento eccelso che lo conduce alla vetta
spirituale. Tale comparazione è pressoché esplicitata dall’orazione dopo la
Comunione.
Ai
II Vespri le antifone sono diverse da quelle dei primi, pur mantenendo il
medesimo tema e sfruttando le medesime fonti. Dopo l’inno Audiat miras, per antifona viene cantato un brano del terzo libro
dei Re commemorante un altro miracoloso evento della vita di Elia, quand’egli per turbinem ascende in cielo: Tulit Elias pallium suum, et percussit aquas
Jordanis, quae divisae sunt in utramque partem, et transierunt ipse et Eliseus
per siccum: et ascendit Elias per turbinem in caelum.
E’
interessante notare che i Carmelitani dell’Antica Osservanza, i quali hanno
mantenuto invece il loro rito proprio, impiegano dei testi sostanzialmente
diversi dai loro fratelli riformati per questa grande festa. L’introito è tolto
dal salmo Zelo zelatus sum, come per
tutti i servi devoti del Signore; nel Graduale si narra l’ascensione di Elia al
Carmelo e di com’egli venne miracolosamente nutrito; il carme allelujatico, di
composizione ecclesiastica, si dimanda: quis
potest similiter gloriari tibi?, commemorando alcuni dei suoi più noti
miracoli. L’offertorio è però uguale a quello in uso presso gli Scalzi, mentre
per Communio i Calzati impiegano il brano di Malachia che i Riformati adoperano
per introito.
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NOTE
NOTE
(1) Commemorato nella festa dei SS. Filippo e
Giacomo Apostoli; l’ufficio era in uso solo nella parrocchiale di S. Geremia,
che lo celebrava come patrono, con rito doppio di I classe. Triste è notare che
lo scorso anno la Chiesa di S. Geremia, oramai nota solo perché destinata a
custodia delle spoglie di S. Lucia dopo la distruzione della chiesa dedicata
alla martire siracusana, ha definitivamente mutato il proprio titolo in “Santuario
di S. Lucia”, venendo meno così proprio uno di quei caratteri peculiari della
Chiesa Veneta, quale il culto per i santi veterotestamentari.
(2) Dal 1806, solo
commemorato nella festa della Dedicazione della Cattedrale, fuorché nella
chiesa di S. Giobbe in Cannaregio, ove era celebrato con rito doppio di I
classe.
(3)
Cristoforo Tentori, nelle sue Osservazioni
sopra le Memorie del Galliccioli, contesta la classificazione di S. Lazzaro
quale santo veterotestamentario, argomentando col fatto che secondo la Tradizione
(“è cosa trita, e notoria”) egli fu Vescovo della Chiesa di Cristo, e pertanto
la Tradizione avesse assegnato alla sua memoria alcune parti dal Comune dei
Vescovi. Parimenti, giusta la retta opinione del Tentori, sono da considerarsi
neotestamentari S. Marta e S. Maria Maddalena, dacché han vissuto parte della
loro vita sotto la Nuova Legge, mentre i già citati santi come Simeone Profeta,
S. Gioacchino, S. Anna, S. Zaccaria etc. sono da considerarsi
veterotestamentari (o “parzialmente neotestamentari” per il Tramontin) perché
morirono prima dell’abolizione della Vecchia Legge.
(4)
San Girolamo Emiliani, santo veneziano, nel Calendario Romano al 20 luglio,
nell’urbe lagunare è celebrato l’8 febbraio, giorno del suo transito.
(5)
Alcuni commentatori, cercando di giustificare quest’affermazione di fede
popolare, ipotizzarono ch’egli e Mosè non fossero morti perché sarebbero dipoi
dovuti comparire sul Tabor al momento della Trasfigurazione, dando dunque una
lettura prettamente e sanamente cristologica al fatto.
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