venerdì 13 settembre 2019

Il culto al Santo Chiodo: il rito della Nivola

di Luca Farina

Una delle celebrazioni certamente più caratteristiche e interessanti che si svolgono nel Duomo di Milano è certamente quella del rito della Nivola. Agli occhi di un cattolico, però, esso non è solamente qualcosa di scenografico, ma essenzialmente un gesto di fede.

Come noto, nella cattedrale ambrosiana è conservato uno dei chiodi della Santa Croce, posto nel catino absidale. Tale chiodo è conservato in un tabernacolo (all’altezza di circa 40 metri) costantemente illuminato da una lampada rossa, visibile fin dalle porte d’ingresso. Esso è presente fin dal 20 marzo 1461, quando fu traslato dall’antica basilica di Santa Tecla. Questa preziosa reliquia viene prelevata per essere mostrata ai fedeli con un rito particolare, quello della “Nivola”.

Di facile intuizione anche per i non meneghini, questa parola significa nuvola in dialetto. Affinché il Santo Chiodo venga traslato dal tabernacolo all’altare si fa uso di una sorta di ascensore, decorato a forma di nuvola. Di foggia barocca, la struttura è composta da una base a forma di nembo in lamiera, due angeli sui lati reggenti una torcia e, come se fosse un palco, tendine rosse, tra le quali vi è lo spazio per inserire la croce che ospita la teca col Santo Chiodo; i dipinti sono di Paolo Camillo Landriani. La configurazione attuale è del 1624. Vi è anche una seduta per consentire all’Arcivescovo o al canonico che lo sostituisce, generalmente l’Arciprete, di prendervi posto durante l’ascesa e la discesa.


Questa celebrazione, introdotta e fortemente voluta da San Carlo Borromeo, si svolgeva dal 3 maggio, festa dell’Invenzione della Santa Croce, al 5 maggio. Gli esordi si ebbero nel 1576, quando il presule volle portare in processione penitenziale [1] il Santo Chiodo al fine di scongiurare da Dio la pestilenza. Inizialmente la Nivola era manovrata a mano con funi ed argano. Si racconta che nel ‘700 accadde che i tiratori persero la coordinazione, le funi si imbrigliarono e la struttura si inclinò pericolosamente, esponendo a serio rischio il canonico che vi era seduto. Negli anni ’60, a causa dei lavori di restauro, la celebrazione fu sospesa. Solamente negli ultimi decenni il rito fu restaurato, traslato però al sabato più vicino al 14 settembre, festa dell’Esaltazione della Santa Croce (anche nel rito ambrosiano la festa del 3 maggio fu soppressa dalle riforme giovannee, applicate poi con decreto dell’allora Arcivescovo Montini in qualità di capo rito[2]).


Alle ore 15 del sabato si celebrano i Vespri votivi della Santa Croce, presieduti dall’Arcivescovo in forma pontificale (indossando i paramenti della Messa, come da tradizione del Vespero pontificale ambrosiano, assistito dall’arciprete in qualità di prete assistente e da due canonici diaconi, che vestono dalmatica e stola sopra veste paonazza e rocchetto) o, in sua assenza, dall’arciprete. Dopo il canto dell’inno VexillaRegis, il celebrante si porta nella cappella feriale, prende posto sulla Nivola e si reca a prelevare il Santo Chiodo. Nei momenti di salita e di discesa vengono intercalati canti e brani del Passio di San Giovanni. Giunta la reliquia all’altare il Vespro prosegue, al termine del quale viene impartita la benedizione con la medesima.


Il giorno seguente, domenica, vengono celebrati i Vespri capitolari, al termine dei quali il Santo Chiodo viene portato, sotto il baldacchino rosso, in processione per le navate del Duomo. Anticamente, però, la processione arrivava fino alla chiesa di San Sepolcro.

Il lunedì, passate le quaranta ore di esposizione, al termine della Messa e dei Vespri, il Chiodo della croce viene riposto, facendo nuovamente uso della Nivola.

La partecipazione degli Arcivescovi, però, non fu sempre frequente: il Cardinale Martini, spesso, non partecipava all’intero rito ma giungeva solamente in abito corale e stola rossa al momento delle traslazione.

Anche per quanto riguarda i fedeli c’è da dire che non sempre essi si comportano come tali: molte persone, appena giunto il Santo Chiodo all’altare, vanno via, ignorando che i Vespri debbano ancora continuare.

In questa società in cui la Croce è considerata strumento di ludibrio e, in nome della laicità di stato, ci si strappa i capelli per i crocifissi nelle aule scolastiche o di tribunale, vedere onorare il segno della nostra salvezza, tramite il Santo Chiodo, da molte persone di giovane età significa che la redenzione operata da Nostro Signore non è stata vana, ma è ancora attuale e vivificante.

In conclusione, si sente spesso affermare che questo rito è inutile poiché la reliquia non è autentica: se anche così fosse (ma non ci sono elementi per affermare ciò, quando invece la Tradizione milanese non ne ha mai dubitato e, anzi, vescovi rigorosi come San Carlo o il Beato Schuster hanno sempre creduto alla sua autenticità [3]), una mentalità freddamente razionalista, non cristiana, giudicherebbe questo rito come qualcosa di assurdo, ma il cristiano non venera quel pezzo di ferro, ma ricorda la salvezza che venne da Nostro Signore Gesù Cristo tramite il legno della Croce e il ferro dei chiodi.

Il rito celebrato dall'Arcivescovo Scola nel 2015

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NOTE

1: questa processione è ritratta da Gian Battista della Rovere, in cui si vede San Carlo, vestito in maniera penitenziale con la corda al collo, incedere con la croce contente il Santo Chiodo sotto il baldacchino rosso. Questo dipinto fa parte del cosiddetto “ciclo dei quadroni di San Carlo”, esposti in Duomo intorno al 4 novembre, ricorrenza liturgica dello stesso.
2: l’Arcivescovo Metropolita di Milano, è di diritto capo-rito: in quanto tale, ogni riforma liturgica del Sommo Pontefice deve essere poi ratificata e confermata da lui. Ne sono esempio i Messali, che non portano il nome, per esempio, di Pio XII o Giovanni Paolo II, ma, rispettivamente, dei Cardinali Schuster e Colombo.

3: con un approccio veramente rigoroso, San Carlo Borromeo e il Beato Alfredo Ildefonso Schuster, vollero sempre controllare, durante le visite pastorali, l’autenticità delle reliquie esposte alla venerazione dei fedeli nelle varie chiese.

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