giovedì 6 febbraio 2020

Considerazioni liturgiche sparse - parte 1

Questo post e il suo seguito sono frutto di considerazioni sparse, avute durante colloqui personali a tema liturgico nelle scorse settimane. Esse sono state qui raccolte volutamente in modo disorganico, senza cercare di dare al testo una struttura logica consequenziale, impresa che sarebbe stata per verità non facile data la totale disomogeneità dei contenuti; sono state solamente inserite alcune note affine di precisare i riferimenti bibliografici, e qualche connettivo per evitare ripetizioni inutili.

1. Circa l'osservanza delle norme liturgiche

Mi è recentemente capitato di osservare le foto di alcune liturgie pontificali celebrate in varie località dell'orbe cattolico. La cosa è certamente lodevole, poiché, dopo la messa papale, è nella messa pontificale che massimamente può contemplarsi lo splendore della liturgia romana; nondimeno, ai nostri occhi appare non di rado un tristo spettacolo, ovverosia che questo splendore venga offuscato dal ripetersi dei sempre medesimi errori, i quali, venendo riprodotti pur dopo numerosi appelli alla correzione degli stessi, risultano non più occasionali e perdonabili dimenticanze, sibbene vere e proprie offese volontarie allo spirito della liturgia e all'importanza delle sue norme.

Ci sarà sicuramente qualche bempensante [1] pronto ad accusare lo scrivente di esagerato rubricismo. Come se fosse un insulto perseguire la corretta esecuzione delle norme liturgiche stabilite dalla Tradizione! La rubrica non si segue per vezzo, né per sterile obbedienza, ma perché essa riferisce un costume ereditato dai Padri e vestito di una simbologia liturgica precisa, che rimanda direttamente ai principi, di ispirazione apostolica e patristica, sui quali è costruita la liturgia stessa. Accade talora che, anche da noi, una norma liturgica, specialmente se riformata in età relativamente recente, possa esser fatta oggetto di contestazione: questa si deve però basare su un'analisi precisa dei principj della liturgia, che sono indissolubilmente legati all'ortodossia della fede, non sull'arbitrio personale, né tantomeno su una considerazione di circostanza o sulla trascuratezza volontaria dell'essenza stessa della norma. Infatti:
- da un'analisi dei principj della liturgia, concetto sul quale i maggiori e più retti liturgisti hanno sempre insistito, spesso purtroppo indarno, possono nascere delle riflessioni serie. Ad esempio: il Caeremoniale Episcoporum, nella sua edizione principe del 1600, prevede che il Suddiacono canti l'Epistola extra presbyterium [2]; questo inciso sparisce nelle ultime edizioni. Tuttavia, considerando la prassi antica di cantare le pericopi scritturali dagli amboni posti non di rado nel mezzo della navata, prassi mantenuta per consuetudo legitima ove praticata a norma del medesimo Caeremoniale, appare chiaro che il canto dell'Epistola fuori dal presbiterio maggiormente risponda ai principj liturgici. Un'analisi di questo tipo, basata sui principj, è quella fatta da mons. Léon Gromier nel suo mirabile Commentaire [3] al Cerimoniale dei Vescovi.
- da un arbitrio personale nascono mostri liturgici, poiché -soprattutto in una società dominata dal pensiero razionalista quale l'odierna- il personale sentire del liturgista, quando non ha principj su cui poggiarsi, è esposto a condizionamenti che lo conducono in una direzione del tutto opposta rispetto alla mens dei Padri e degli Apostoli. Quando poi a un sentire non retto si accompagna un'impostazione teologica problematica se non manifestamente eretica, il disastro è in arrivo: le riforme liturgiche del secolo scorso ne sono patente testimonianza.
- dall'inosservanza e dalla trascuratezza non nasce nulla fuorché il disprezzo per la liturgia stessa. Caso mille volte esaminato, e che nonpertanto si ripresenta con una certa regolarità, impietoso teste dell'incuria di certuni: l'uso dei sandali e dei calzari. Già QUI abbiamo avuto modo di spiegare, riprendendo anche in quella circostanza l'errore di non metterli, il loro significato legato alla missione stessa del Vescovo in quanto successore degli Apostoli e al munus della predicazione evangelica. Orbene, poiché non esiste argomento di principio liturgico che osti all'uso dei sandali e dei calzari (salvo uno palesemente sospetto di eresia, id est rifiutare il dovere cristiano di annunziare il Vangelo e la conversione a Cristo); né supponiamo vi sia una decisione ponderata, ancorché arbitraria ed erronea, da parte di queste persone che viceversa si mostrano bendisposti all'uso anche eccessivo (nel senso di non necessario giusta le norme liturgiche) di suppellettili preziose; allora rientriamo pienamente in questo terzo caso. Non abbiamo i sandali, ma non importa, trascuriamo a cuor leggero la norma e facciamo ugualmente il Pontificale!
Seguendo questa linea di pensiero, arriverà il giorno in cui non avranno l'ostia e il vino, ma faranno ugualmente la messa...

2. Circa la messa pontificale al faldistorio

Sempre guardando le già citate foto, alcune delle quali riguardanti un Pontificale celebratosi in occasione della Purificazione della Beata Vergine, e preceduto dalla benedizione delle candele e dalla processione con le stesse, si è riaperto una questione già da tempo discussa: la messa pontificale al faldistorio, ponendosi nel mezzo tra la messa pontificale al trono e la messa solenne, è più vicina alla prima o alla seconda?
La messa pontificale avviene in ragione del trono, che è il centro di tutta la sacra funzione, è del clero cattedrale: il capitolo parato, i diaconi assistenti, gli stessi ministri inferiori parati... al di fuori di questo contesto è molto difficile trasportare il senso delle cerimonie del pontificale. La messa al faldistorio, anticamente, era circostanza assai rara: a celebrarla erano sostanzialmente i vescovi senza giurisdizione (ausiliarj e titolari) e i prelati con diritto ai pontificali (i quali però pontificavano in una forma ulteriormente ridotta e ancor più vicina alla semplice messa solenne, normata in altro modo). L'evenienza di un Vescovo che si trovasse a celebrare una messa pontificale al di fuori della sua diocesi, in epoca storica, doveva essere alquanto rara; oggi, poiché i Vescovi che celebrano in rito antico raramente sono Ordinarj diocesani e anche laddove ciò avvenisse non di rado celebrano fuori dalla propria diocesi, a meno che questi non decidano di appropriarsi più o meno indebitamente dei distintivi della giurisdizione [4], la messa pontificale al faldistorio viene praticata in modo estremamente più diffuso. E questo nonostante i testi normativi siano alquanto taciti su questa forma (il Caeremoniale Episcoporum in primis, che fa cenno al Pontificale al faldistorio in modo sparso nei suoi varj capitoli, con indicazioni raccolte provvidenzialmente in unum dal Gromier alle pp. 314 e ss. del già citato Commentaire), e le indicazioni dei manuali di cerimonie presentino perciò numerose variazioni, quasi tutte dovute al fatto che si cerchi la somiglianza col pontificale al trono piuttosto che alla messa solenne (con l'eccezione di qualche autore originale che prescrive soluzioni hapax e peculiari per la sola messa al faldistorio).

Due questioni hanno suscitato le immagini della detta messa della Purificazione:
1. Se alla processione (della Candelora ovvero delle Palme) precedente la messa al faldistorio la croce sia portata da un alter subdiaconus o dal suddiacono della messa;
2. Se sia lecito ai sacri ministri sedere, a capo coperto, sui gradini dell'altare.

1. A differenza del Giovedì e del Venerdì Santi, dove la rubrica del Messale prescrive esplicitamente la presenza, anche alla messa solenne cantata da un semplice prete, di un alter subdiaconus, a portare la croce alla messa delle Palme e a quella della Candelora è il suddiacono della messa. La situazione è diversa al Pontificale al trono, sia che il Vescovo celebri pontificalmente la sola benedizione con processione, e un canonico poscia canti la messa, sia che il Vescovo pontifichi pure alla messa. Il Caeremoniale Episcoporum prescrive che alla benedizione intervenga il capitolo e che il Pontificante sia assistito dai due diaconi assistenti; onde la necessità di un subdiaconus portans crucem, chiaramente parato con pianeta piegata, durante la processione. Lo stesso precisa che durante la processione il diacono e il suddiacono della messa, e l'eventuale celebrante, finora rimasti al loro posto in abito di coro, indossino i paramenti per la Santa Azione, e non partecipino dunque alla processione [5].
Poiché al faldistorio non vi sono i diaconi assistenti, alla benedizione assistono il celebrante il diacono e il suddiacono della messa, parati con le pianete piegate. Poiché dunque si ricade in una situazione del tutto identica alla messa solenne cantata da un semplice prete (a eccezione della presenza del faldistorio che sostituisce il cornu epistolae come luogo di presidenza per le benedizioni, ma è un dettaglio affatto ininfluente), sembra oltremodo logico che ci si debba conformare alla messa solenne e incaricare il suddiacono della messa di portare la croce, anziché parare un altro suddiacono per inopportuna somiglianza con il pontificale al trono.

2. Pour s’asseoir, les trois ministres vont au banc du prêtre célébrant; ils s’y placent, le prêtre assistant le plus proche de l’évêque, le diacre à la suite, le sous-diacre à, l’autre bout [6]. L'indicazione è precisa e perentoria: bisogna usare il banco che s'impiega alla messa solenne, e non è dunque possibile che i sacri ministri siedano sui gradini dell'altare. Non è possibile instaurare paragoni né con i ministri delle insegne che siedono ai gradini del trono (il trono è una cosa completamente diversa dall'altare, con un significato ben preciso nel suo utilizzo), né tanto meno con la cappella papale, nella quale la situazione è dettata da norme gerarchiche del tutto interne [7]. Il fatto che, non sussistendo le relazioni gerarchiche predette, le consuetudini della cappella papale non si applicassero ai pontificali al faldistorio nelle altre chiese, nemmeno all'interno dell'Urbe, è testimoniato, oltreché dalla logica, dalla foto sottoriportata. Inoltre, come spiegato alla nota 7, i sacri ministri che alla cappella papale sedevano sui gradini dell'altare non si coprivano, il che sarebbe stato indecente.

Pontificale al faldistorio in S. Giovanni al Laterano, celebrato nei primissimi anni del XX secolo, regnante Leone XIII. Come si vede, i sacri ministri sono assisi sulla panca dal lato dell'epistola.
(fonte dell'immagine: J. DARC, Léon XIII et sa Cour, Paris, Empis, senza data)

Continua...

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NOTE

[1] Nota per gl'improvvidi che, non potendo attaccare il contenuto di questo articolo, cercano di criticarne la forma per svilirlo: le regole ortografiche (non fonetiche) dell'Italiano prevedono che la consonante nasale, avanti a consonante occlusiva, si realizzi graficamente m e non già n. Poiché bempensante, essendo parola composta, ha tutto il diritto di scriversi senza interruzione grafica (decisione che spetta all'arbitrarietà delle convenzioni linguistiche), venendosi a incontrare n e p occorre trasformare la prima seguendo le predette norme ortografiche. Ita est ac simpliciter.

[2] Caeremoniale Episcoporum jussu Clementis VIII Pont. Max. novissime reformatum, Romae, ex Typographia linguarum externarum, 1600, lib. II, cap. VIII.

[3] L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum, Paris, La Colombe, 1959

[4] Il decreto 4023 della Congregazione dei Riti del 9 maggio 1889 (non incluso dunque nell'ultima edizione del Caeremoniale che è del 1882) rimette alla facoltà degli ordinarj di cedere il trono ad altro vescovo, purché non sia il suo coadiutore, ausiliare, né il vicario generale della sua diocesi, né un canonico del suo capitolo. Questo mitiga la rigida disciplina fino ad allora in vigore, e giustificata dalla ragion d'essere del trono (e del pastorale che vi è indissolubilmente legato).
Come sappiamo, purtroppo, i Vescovi della Fraternità Sacerdotale San Pio X tendono a celebrare ubique al trono, pur essendo vescovi ausilarj e non disponendo di giurisdizione veruna. Questo, oltre a essere liturgicamente insensato, è teologicamente pericoloso, poiché dispone a pensare che la giursdizione venga concessa insieme all'ordine durante la consacrazione episcopale. Questo errore, diffuso tra i vescovi degli anni '50, è poi entrato nei documenti del Concilio Vaticano II (cfr. Lumen gentium, § 21 e ss.).

[5] Caeremoniale Episcoporum, lib. II, cap. XVI. Il commento del Gromier (Commentaire du Caeremoniale episcoporum, op. cit., p. 380) fornisce alcune indicazioni aggiuntive per l'ipotesi in cui il Vescovo pontifichi al trono pure alla messa anziché assistervi, ma non già per l'eventualità di benedizione e messa al faldistorio, a quanto pare un'opzione improbabile a quel tempo. Esso ammette che i canonici che serviranno come diacono e suddiacono della messa, nel caso in cui questa sia cantata pontificalmente al trono, prendano parte alla processione, poiché avranno tempo per pararsi durante Terza. Questo non può essere usato come controargomento indicante che alla processione possono partecipare e i sacri ministri e l'alter subdiaconus - come pure taluni hanno malamente cercato di fare - poiché i ministri qui non sono ancora parati, ma sono in abito canonicale e dunque non sono ancora ministri, ma lo diventeranno solo alla messa; inoltre la precisazione del Gromier si basa sul canto di Terza, che senza trono e capitolo non ha ragion d'essere.

[6] L. GROMIER, Commentaire du Caeremoniale episcoporum, op. cit., p. 315. Poco più avanti si richiama il Caeremoniale, lib. I, cap. XIX.

[7] Alla messa pontificale al faldistorio celebrata da un prelato alla presenza del Sommo Pontefice, giusta precisa indicazione del Patrizi Piccolomini, i sacri ministri siedono sui gradi dell'altare senza coprirsi. Ciò avviene per diverse ragioni, legate però alla gerarchia della cappella: ovvero per non trovarsi su una panca di fronte al Papa, il che sarebbe scandaloso allorché gran parte della prelatura sedeva sui gradini del trono o stava direttamente in piedi, e perché al posto della panca eravi il seggio del vicecamerlengo, che come Governatore dell'Urbe deve essere sempre pronto di fronte al Papa.

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