di Nicola de GrandiC. De Predis, Guarigione del figlio lunatico,
miniatura di XIV secolo
Il tempo dopo l’Epifania ambrosiano presenta caratteristiche interessanti e peculiari, specie in confronto con la corrispondente stagione liturgica romana. Infatti, in rito romano, sin dalla sua prima attestazione - il Lezionario di Würzburg, scritto nel 700 c.a. - vi è un numero elevatissimo di pericopi evangeliche assegnate a questo tempo liturgico, addirittura fino a superare il numero delle possibili domeniche prima della Quaresima. Con il Comes di Murbach, di un secolo successivo, il tempo dopo l’Epifania romano è già pienamente strutturato.
In rito ambrosiano invece, come dimostrano i primi testimoni del suo antico ordo lectionum, il tempo dopo l’Epifania si forma solo molto gradualmente. Inoltre, in rito romano non si omette mai alcuna delle domeniche situate fra l’Epifania e l’inizio del tempo pre-quaresimale, al punto che le rubriche successive alla riforma tridentina prescrivono di recuperare le domeniche perdute trasferendole nel tempo dopo Pentecoste. Il ciclo delle Domeniche dopo l’Epifania è dunque considerato come un mosaico unitario, ciascuna delle cui tessere deve ogni anno essere presente, anche se in posizioni diverse. Di contro, in rito ambrosiano, le domeniche che in ogni anno non ricorrono vengono semplicemente omesse. Questo si spiega come memoria del fatto che esse furono aggiunte, attingendo largamente dai libri romani, per riempire lo spazio disponibile prima della Quaresima.
Unica, significativa eccezione, prevista già dall’ordo noto come “Beroldus novus” del 1269, è l’ultima domenica del tempo dopo l’Epifania - segnata sul messale attuale come “Sesta Domenica dopo l’Epifania”, e in quelli d’età pre-borromiana “Quinta dopo l’Epifania”, poiché la sesta non ricorre se non in casi molto rari. Essa non può mai essere omessa, e i testi liturgici di questa domenica vengono sempre utilizzati per l’ultima prima dell’inizio del tempo pre-quaresimale. Per cercare di comprendere le ragioni di questa peculiarità è utile tornare ancora sinteticamente sulla storia del tempo liturgico dopo l’Epifania nei libri ambrosiani.
Il Codice di Busto, come ha dimostrato Mons. Borella, contiene tracce di un ordo lectionum molto antico, sicuramente precedente alla revisione di età carolingia del nostro rito. All’interno dello stesso codice, ed in particolare proprio per questa stagione liturgica, è inoltre possibile ravvisare fra il Capitolare e l’Evangelistario prove di due fasi redazionali distinte e successive, in cui il Capitolare rappresenta lo stadio più antico. Il Capitolare registra infatti letture per le sole prime due domeniche dopo l’Epifania, senza segni di correzioni posteriori, mentre l’Evangelistario fissa le pericopi delle prime quattro, riportando inoltre correzioni nell’ordine delle stesse, allo scopo di avvicinarsi al modello romano. Terminato il ciclo delle domeniche dopo l’Epifania, inoltre, il Capitolare attesta uno stadio del tempo pre-quaresimale in cui ancora non è presente la Domenica in Settuagesima, mentre l’Evangelistario la registra già. In nessuno dei due codici è invece ancora presente un testo per la Quinta domenica dopo l’Epifania, di cui ci stiamo ora occupando.
Nell’Evangelistario dei Cardinali Diaconi (seconda metà del IX sec.), nel Missale Bergomense (metà IX sec.) e nel Messale di Biasca (fine IX sec.), ormai pienamente conformi alla risistemazione carolingia, compare lo stesso ordine delle letture delle prime quattro domeniche del tempo dopo l’Epifania del Busto “corretto”. Negli ultimi due, trattandosi di messali plenari, inoltre va gradualmente aggiungendosi anche l’eucologia. In questo ultimo codici si è inoltre ormai stabilizzato anche il testo evangelico per la “Quinta Domenica dopo l’Epifania”, che è tutt’ora conservato nel Messale Ambrosiano. Dobbiamo dunque concludere che essa si stabilizzò nell’ordo lectionum ambrosiano con l’intervento carolingio.
Esso è tratto dal XVII capitolo del Vangelo di San Matteo. Ne riportiamo di seguito il testo in traduzione: “Il quel tempo, si avvicinò al Signore Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è lunatico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua; l’ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito. Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno “. (Matt. 17, 14-20)
L’epifonema conclusivo fa sì che questa pericope acquisisca una intonazione chiaramente penitenziale, perfettamente consentanea al successivo tempo pre-quaresimale. Inoltre la pericope del Vangelo di Matteo, a differenza delle altre di questa stagione, non ha alcun parallelo nella tradizione romana, dunque il suo inserimento non può essere causata una volontà romanizzante. Come giustificare dunque la sua introduzione, e la peculiare funzione che essa assume nell’ordo lectionum ambrosiano?
Una acuta annotazione di Patrizia Carmassi ci instrada forse verso una possibile risposta. Il lezionario della Biblioteca Ambrosiana A 23 bis inf., risalente al XIII sec., ma certamente ricopiato da un antigrafo molto più antico, contiene un elenco di “lectiones” profetiche per tutto l’anno liturgico, e presenta una correzione molto significativa proprio sulla Quinta Domenica dopo l’Epifania. La rubrica “Dominica Quinta post Epiphaniam” vi è difatti cancellata con un tratto di penna, e sostituita con “Dominica in Septuagesima”. Dobbiamo dunque supporre che l’antigrafo da cui il copista stava traendo i testi non riportasse ancora la Settuagesima, ma solo la Quinta Domenica dopo l’Epifania. Accortosi del problema, il copista sentì di dovere operare una sostituzione - e non una aggiunta - di quest’ultima con la Settuagesima. I due testi dovevano dunque in qualche modo essere sentiti come alternativi nel loro ruolo di introduzione alla stagione pre-quaresimale. Scegliere la Settuagesima doveva comportare la cancellazione della Domenica Quinta come introduzione al tempo della Pre-Quaresima.
Possiamo forse trovare conferma a questa ipotesi nel codex Mediolanensis, un evangeliario sicuramente appartenente alla provincia ecclesiastica milanese che riporta note liturgiche di VII- VIII sec. Nella sua redazione originale esso, come il Capitolare di Busto, non prevedeva né le domeniche IV e V dopo l’Epifania né la Settuagesima. Tuttavia, in quello stesso secolo IX in cui i libri “propriamente ambrosiani” stavano subendo la revisione carolingia, furono aggiunte da una nuova mano le annotazione per le domeniche IV e V dopo l’Epifania, con gli stessi testi che si trovano nei messali ambrosiani. Non si aggiunse invece la Settuagesima, che in età carolingia già sicuramente esisteva. Evidentemente, anche in questo caso, il copista dovette considerare i due testi equivalenti e alternativi. Inserendo la Domenica Quinta, la Settuagesima risultava in qualche modo superflua. I compilatori dei due Messali di Biasca e Bergamo e l’Evangelistario dei Cardinali Diaconi invece, proseguendo sulla linea di una risistemazione generale del calendario liturgico che lascia meno “vuoti” possibile, optarono per inserire entrambe le domeniche. Una scelta più coerente nell’ottica ordinatrice propria della revisione carolingia, ma meno coerente da un punto di vista tematico.
Ma esiste una prova esterna ai codici fin qui elencati che possa giustificare l’uso della pericope matteana come introduzione al tempo pre-quaresimale? Esaminando le tradizioni liturgiche non romane, è possibile scoprire alcuni indizi.
Nella tradizione A del Rito Ispanico, la più antica delle due esistenti, conservataci dal Liber Commicus, datato dal VII al IX secolo, è presente una sola domenica pre-quaresimale denominata “ante carnes tollendas”. La pericope evengelica prevista per quel giorno è Matt. XVII, 1-20. Essa abbraccia dunque l’ampia porzione del capitolo XVII che va dalla Trasfigurazione all’episodio del figlio lunatico presente anche nella nostra pericope ambrosiana.
In due dei lezionari pervenutici dell’antico rito gallicano - quello di Luxeuil con note del VI sec. e quello frammantario conservato a Würzburg del VII sec. - la lettura della stessa Domenica, qui denominata “post Cathedram S. Petri”, è circoscritta a Matt. 17, 1-9: la Trasfigurazione. L’episodio della Trasfigurazione in molte tradizioni liturgiche - inclusa quella romana che legge questa pericope alla Seconda Domenica di Quaresima - è collegato al periodo di preparazione alla Pasqua. Infatti le figure di Mosè ed Elia, che appaiono accanto al Signore rivestito di gloria, sono considerate prefigurazioni dei catecumeni, in quanto compirono entrambi un digiuno di quaranta giorni per santificarsi prima di vedere Dio, così come faranno i catecumeni nei quaranta giorni precedenti alla Pasqua. Questa interpretazione è già nota al nostro S.Ambrogio, che vi accenna nel suo “Commento al Cantico dei Cantici” 15, 1857d: “Moyses in monte positus quadraginta diebus Legem accipiens, cibum corporis non requirebat: Elias ad illam festinans requiem, rogabat ut acciperetur anima sua a se: Petrus aspiciens et ipse in monte Dominicae resurrectionis gloriam, nolebat descendere, dicens: Domine, bonum est nos hic esse.” - “Mosè stando sul monte quaranta giorni per ricevere la Legge, non aveva bisogno di cibo per il suo corpo; Elia, affrettandosi al suo riposo, chiedeva che Dio prendesse la sua anima; Pietro vedendo anch’egli sul monte la gloria della Resurrezione del Signore, non voleva discendere e disse: Signore, è bello stare qui”.
La tradizione mozarabica invece, come detto, prolunga l’estensione della pericope della unica “Dominica ante carnes tollendas” sino ad includere l’episodio del “figlio lunatico”. Come giustificare questa scelta? Sant’Isidoro di Siviglia (565- 636) nel suo “Sugli Uffici Ecclesiastici” legge l’esorcismo di Cristo al figlio lunatico come figura dell’esorcismo battesimale: «Exorcismus autem sermo increpationis est contra immundum spiritum in energumenis, sive catechumenis factus, per quem ab illis diaboli nequissima virtus et inveterata malitia, vel violenta incursio expulsa fugetur. Hoc significat lunaticus ille, quem increpavit Jesus, et exiit ab illo daemonium (Matth. XVII). Potestas autem diaboli exorcizatur, et insufflatur in eis, ut ei renuntient, atque, eruti a potestate tenebrarum, in regnum sui Domini per sacramentum baptismatis transferantur.» (De ecclesiasticis officiis, 83) - «L’esorcismo è poi una preghiera deprecatoria contro ad uno spirito immondo pronunziata sui posseduti, o sui catecumeni, grazie a cui vengono espulse da loro e messe in fuga la malvagia potenza del diavolo, e la sua inveterata malizia. Questo è il significato di quel lunatico che rimproverò Gesù, e da cui uscì un demonio (Matt. XVII). Viene esorcizzata la potenza del diavolo e si soffia su di loro, affinché vi rinunzino e, strappati dalla potenza delle tenebre, siano portati nel regno del loro Signore attraverso il sacramento del battesimo».
Questa lettura tipologica di Sant’Isidoro incontrò grande fortuna nell’VIII secolo, tanto da trovarsi riprodotta quasi letteralmente nelle numerose “Expositiones” - florilegi di sentenze dei Padri sul rito del battesimo che furono inviate nell’anno 812, poco dopo la conquista carolingia della Langobardia Maior, in forma di lettera a Carlo Magno da numerosi Vescovi dell’Impero. Ci sono pervenute le versioni di Amalario Fortunato di Treviri, Jesse di Amiens, Teodolfo di Orléans, Leidrado di Lione e, in territorio italico, Massimo di Aquileia e Odilberto di Milano. Esse fanno tutte riferimento all’episodio del figlio lunatico in un contesto di preparazione al battesimo con queste parole: «Hoc significavit lunaticus ille quem increpavit Dominus Jesus, et exiit ab isto daemonium. Potestas autem diaboli exorcizatur et insufflatur in eis, ut ei renuntient; atque erepti a potestate tenebrarum, in regnum sui Domini, per sacramentum baptismatis, transferantur.» - «Questo fu infatti il senso di quel figlio lunatico, che il Signore Gesù rimproverò, facendone uscire un diavolo. Infatti, la potenza del diavolo viene esorcizzata in costoro [scil. nei catecumeni] e si soffia su di essi, affinché vi rinunzino; e affinché infine essi, rapiti dal potere delle tenebre, vengano portati, per mezzo del sacramento del battesimo, nel regno del Signore».
L’introduzione di questo episodio evangelico in preparazione al tempo quaresimale nelle tradizioni ispanica e ambrosiana può dunque certamente essere attribuito alla sua lettura figurale, testimoniata già nel VI secolo in Isidoro di Siviglia, ma poi largamente diffusa e accettata in tutto l’Occidente cristiano. Mentre dunque, fra i due episodi narrati nelle due pericopi contigue, entrambi interpretati come prefigurazione del battesimo, il rito ispanico inserisce nella preparazione alla Quaresima ambedue, il rito gallicano solo il primo, e la tradizione ambrosiana scelse di inserire solo il secondo. Dunque, mentre la pericope matteana della Trasfigurazione non figurò dunque mai nel “proprium de Tempore” del rito ambrosiano - nel nostro ordinamento essa è invece il Vangelo della festa di San Genesio - l’episodio del figlio lunatico divenne a tal punto caratterizzante della introduzione ambrosiana alla pre-quaresima che si stabilì la consuetudine, poi codificata già nel Beroldo Nuovo, di non ometterne mai la proclamazione prima dell’inizio del tempo pre-quaresimale.
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