mercoledì 29 aprile 2020

Squalor vetustatis: l'atteggiamento dei novatori davanti alla tradizione liturgica

Leggendo il Motu Proprio Abhinc duo annos del 1913, col quale si completa e approva definitivamente il grande stravolgimento liturgico del Breviario Romano iniziato nel 1911 con la costituzione apostolica Divino afflatu, a un certo punto s'incontra un'espressione alquanto particolare per descrivere l'ufficio romano tradizionale: squalor. Si tratta di un espressione alquanto pesante, se detta nei confronti di una struttura rituale che vanta un'antichità più che millenaria, che non ci aspetteremmo mai di trovare in bocca a un Papa come S. Pio X.

L'ufficio nel 1910 aveva indubbiamente molteplici problemi, dovuti all'ingolfamento del santorale con troppo numerose feste doppie, sovente di santi privi di sentito culto ed inseriti nel calendario unicamente per acconsentire (non necessariamente a titolo gratuito) alle pressanti richieste di ordini religiosi che in tal modo intendevano dar lustro alla propria famiglia. Questa però, semmai, è l'incoscienza di chi, tra il XVII e il XIX secolo, ha appesantito oltre misura un calendario dalla struttura delicata come quello dell'ufficio romano.

Un'espressione cruda come squalor indica chiaramente la mentalità deleteria dei novatori, pronti a picconare senza ritegno le tradizioni più antiche: tutto ciò è vecchio, polveroso, non corrisponde alla mentalità dell'uomo moderno, dobbiamo inventarci da capo qualcosa di nuovo per sostituirlo. La stessa mentalità che, come è da tutti riconosciuto, aveva animato la squadra di Bugnini nel 1955 prima e nel 1969, cancellando senza ritegno riti e preghiere che la sapienza degli Apostoli e dei Padri aveva stabilito, definendoli come "superati" o "inutili", si ritrova nella commissione incaricata della riforma del Breviario sotto il pontificato di Pio X.

Gli scopi dichiarati di detta commissione erano affatto legittimi e auspicabili, anzi richiesti sin dai tempi di Benedetto XIV: una revisione sostanziale del numero e del grado delle feste e delle lezioni patristiche e agiografiche. Un lavoro molto simile a quello compiuto sotto Pio V e confluito nel Breviario del 1568, insomma. Il prodotto finale, tuttavia, fu ben diverso: a fronte di una riduzione veramente minimale o quasi nulla del numero e del grado delle feste (accompagnato da un simpatico balletto di alcune feste dalla domenica ai giorni infrasettimanali, più volte cambiate tra 1911 e 1913), ci si ritrova davanti a rubriche completamente modificate, ad antifone di tradizione medievale soppresse e riscritte ex novo, ma soprattutto a uno schema di distribuzione settimanale del salterio che non ha nulla a che fare con la tradizione romana. Salmi che la tradizione plurisecolare di tutti i riti aveva identificato come vespertini portati nell'ufficio del mattino, divisione di salmi (pratica che a Roma non si era mai conosciuta), la distruzione della triade di salmi laudativi alla fine dell'ufficio mattutino, pratica che rimonta addirittura alla sinagoga, pregata da Nostro Signore medesimo durante la Sua vita terrena...


 
La fine delle Laudi della Domenica in un Breviario tradizionale (totum, Augustae Taurinorum, Marietti, 1900) e un Breviario riformato da Pio X (pars verna, Turonibus, Mame, 1933)

La riforma piana contiene alcuni elementi indubbiamente accettabili; la revisione delle norme di traslazione è accettabile; la garanzia di un privilegio della domenica rispetto alle feste doppie è accettabile se non auspicabile, considerata la moltiplicazione delle stesse; l'adozione del salterio feriale nella maggior parte delle feste, salvo i due ranghi più alti, si può parimenti accogliere per buona [1]. Ma a quale scopo una riforma così radicale e novatrice del salterio? Una delle ragioni addotte fu il peso che l'Ufficio Divino costituiva per il clero che lo doveva recitare. Questa pericolosa disaffezione del clero alla preghiera liturgica era una tendenza ormai da molti decenni, ma nel corso del XX secolo raggiunse gli apici. Nel Medioevo era normale per qualsiasi canonico o religioso cantare in coro tutti gli uffici, compresi quelli extra nei giorni di rango inferiore; nessun domenicano avrebbe mai pensato di essere meno "predicatore", di avere meno tempo di predicare, dovendo dedicare otto ore della propria giornata al canto della lode a Dio. Già dal Cinquecento questa mentalità liturgica si affievolisce, quando gli ordini controriformistici, col pretesto del non perdere tempo che si potrebbe spendere nella predicazione, insomma nella "vita attiva", adottano la prassi di leggere in tono retto gli uffici in coro, o peggio di non celebrarli proprio, come i Gesuiti. L'equilibrio tra vita attiva e vita contemplativa, tra lavoro e preghiera, che caratterizza il Cristianesimo, ed è meravigliosamente simboleggiato nelle figure di Marta e Maria nel Vangelo di Luca, inizia a rompersi in favore della prima, con una tendenza all'attivismo sempre maggiore. Quelli che oggi pensano solo ai migranti anziché alla liturgia, se fossero nati sessant'anni prima avrebbero pensato sempre alla dottrina sociale anziché alla liturgia: per i "tradizionalisti" forse sarebbero più cattolici, ma agli occhi di qualsiasi Padre della Chiesa o santo medievale sarebbero apparsi eretici, se non praticamente atei. Tornando a noi, la pratica liturgica quotidiana decade definitivamente con le soppressioni rivoluzionarie di capitoli e conventi, e gli ostacolati tentativi di rinascita della vita monastica nell'Ottocento francese non sortiscono purtroppo gli effetti desiderati. Arriviamo così al detto Novecento, in cui il clero e i vescovi chiedono insistentemente una riduzione del loro carico di preghiera, divenuto oramai la lettura privata di un Breviario; quello che i loro padri, senza tutte le comodità inventate nel secolo precedente, trovavano il tempo di cantare in coro per otto ore al giorno, questi non avevano tempo di leggere a mente per un paio d'ore. Paradossalmente, mentre tutte queste riforme si compiono per alleggerire il peso della preghiera liturgica, il can. 152 del Codice di Diritto Canonico del 1917 impone al clero la novità dell'obbligo della preghiera non liturgica quotidiana, cioè il Rosario e la visita al Sacramento. L'anomalia di ciò è notata persino dal liturgista Léon Gromier in un suo brillante articolo del 1955 [2].

Abbiamo brevemente descritto quanto pretestuosa fosse la lamentela del clero per l'eccessivo peso dell'ufficio. Ora tuttavia, ammettendola ma non concedendola, vedremo di presentare alcune soluzioni. In alcuni kelià dell'Athos e in generale in Grecia, dove soprattutto in seguito alla turcocrazia i monasteri sono per la maggioranza piccoli e ospitano un numero limitato di monaci, complice anche la lunghezza dell'ufficio superiore a quello romano, essendo difficile per quei pochi interrompere frequentemente il lavoro manuale durante il giorno per recarsi in chiesa a cantare le ore, almeno Terza e Sesta vengono cantillate a memoria dai monaci, generalmente in coppia, durante il lavoro. La cosa non è difficile, poiché i salmi sono uguali tutti i giorni, e cambia solo il tropario della festa, che è generalmente ricordato essendo cantato a ogni ora; le similitudini con le ore tradizionali romane sono molte, visto che si recitavano le stesse parti del salmo 118 tutti i giorni, con le uniche varietà di capitoli, responsori e colletta, che potevano comunque essere mandati a memoria. Nelle cattedrali e nelle parrocchie greche, dove pur quotidianamente si canta (anche se vi è un solo prete) il Mattutino e il Vespro, le ore minori sono sovente tralasciate. Un'eliminazione di queste nella recita privata del breviario avrebbe alleggerito un po' il peso dell'ufficio, senza costringere a una rimodulazione totale del salterio.

Quella abbozzata qui è una soluzione, ma ce ne possono essere tante altre. Sicuramente, l'unica che non si sarebbe dovuta prendere in considerazione era modificare l'ordine tradizionale dei salmi. In età tridentina, due cose venivano presentate come intoccabili nella liturgia, vista la loro antichità venerabile: il Canone della Messa e il salterio del Breviario. Cambiare uno di questi sarebbe stato prossimo all'eresia, sarebbe stato rinnegare, svalutare, considerare inadeguata ("erosa dallo squallore della vetustà") la tradizione che aveva santificato la Chiesa sin dai tempi dei Padri. Eppure nel 1911-13 i novatori non ebbero remore a picconare quel millenario edificio che era il salterio romano. Nulla di strano che cinquant'anni dopo un successore del Papa che approvò questo primo picconamento non ebbe remore ad aggiungere il nome di un santo nel Canone dell Messa. E appena sette anni dopo il salterio fu nuovamente picconato, anzi sminuzzato in tanti pezzettini distribuiti lungo il corso di un mese, e il Canone della Messa fu nuovamente e molto più pesantemente violato, persino nel suo cuore.

In questi giorni, un famoso teologo e sedicente liturgista, Andrea Grillo, in una sua serie di scritti contro il motu proprio Summorum Pontificum, continua a sostenere che la necessità della riforma del Messale Romano negli anni '60 fu dovuta al fatto che i padri conciliari del Vaticano II avessero ritenuto inadeguata la "forma" antica del Messale. Un disprezzo per le forme antiche e per la tradizione apostolica che come si vede ha origini lontane, ma che è da sempre l'atteggiamento di chi vuole innovare con la distruzione, secondo le proprie idee o secondo presunti bisogni pastorali, piuttosto che secondo lo spirito dei Padri. Un disprezzo e una facoltà di distruzione che nessuno ha il diritto di avere di fronte alla Tradizione, nemmeno dei padri conciliari, nemmeno un papa.

_____________________________________
NOTE

[1] A questo punto forse ci sarebbero solamente due problemi da risolvere, ossia a chi spetti la salmodia feriale e a chi non spetti: con una desiderabile e assai sostanziale riduzione del numero di doppi, si potrebbe lasciare quella festiva a questi ultimi ed estendere invece la feriale ai semidoppi. Resta inoltre da studiare il modo di distribuire armonicamente i 12 salmi (raggruppati due a due sotto un totale di 6 antifone) del mattutino feriale in tre notturni per le feste semidoppie. Una soluzione sul modello domenicale sarebbe un primo notturno di 6 salmi e due notturni da 3, ma bisognerebbe rivedere completamente il corpus antifonale; mantenendo le antifone si potrebbero avere tre notturni "anomali" da 4 salmi.

[2] L. GROMIER, La simplification des rubriques du missel et du bréviaire, in Revue de Droit Canonique 5 (1955), p. 175

20 commenti:

  1. "Nessuno ha il diritto di avere [questo atteggiamento] di fronte alla Tradizione, ... nemmeno un papa".

    Oggi fr. Hunwicke pubblica un bell'articolo sulla soppressione della festa del Patrocinio di S. Giuseppe, e scrive: "There is a story that B Pius IX said "I am Tradition", but, so it seems to me, it was Pius XII who behaved as if he were".

    In un caso o nell'altro, se ci si domanda cosa sia il papismo, inteso come deviazione dalla prassi ecclesiale patristica, ecco un esempio!

    RispondiElimina
  2. Nelle immagini sono mostrate a confronto le pagine delle Laudi di un breviario tradizionale e di un breviario piano. Segnatamente, nelle Laudi di una domenica di Pasqua, non solo vi è la soppressione dei salmi 149-150 (comunque la modifica più grave), ma anche quella del salmo 66 (che un tempo costituiva un unicum col 62), dei nove Alleluja che facevano da antifona ai primi tre salmi e della bellissima antifona "Surrexit Christus de sepulcro" al Cantico dei Fanciulli.

    Qualcuno potrà spiegare mai le profonde ragioni pastorali apportati da queste modifiche? Sarà forse il tempo di un'antifona che cambierà l'opinione di un chierico già insofferente verso il suo precipuo scopo nella vita, cioè la liturgia?

    RispondiElimina
  3. In the 'liturgical books of 1962' the Solemnity of St. Joseph simply does not exist as this beautiful feast was suppressed in 1956 to be replaced by the appalling 'San Giuseppe Comunista'. The 19th March returned to being the primary feast of St. Joseph. The vast majority of 'traditionalists', who vociferously support the 'liturgical books of 1962', are completely and blissfully unaware of the existence of the Solemnity of St. Joseph yet alone its abolition. A few who are aware of it substitute the Office of the feast for the execrable Joe the Worker travesty on May 1st.
    Così conclude ordorecitandi.blogspot.com (alias The Saint Lawrence Press blog) il suo post dedicato alla festa del Patrocinio di S. Giuseppe.
    Ed io ringrazio traditiomarciana per aver permesso di cogliere attraverso un link questo fiore e, quindi, per aver dato modo di tirarsi un pò su con un sorriso, dopo le amarezze provate nel dover prendere atto ancora una volta dello sfacelo liturgico del cattolicesimo occidentale.

    RispondiElimina
  4. Buon giorno. Mi sembra di capire che il problema di fondo sia in che modo viene concepito il potere del Papa. Egli ha cioe' il potere di cambiare la tradizione apostolica? Ha cioe' un potere assoluto sulla chiesa e sul suo culto e persino sulla sua dottrina stessa? Pare di sì vedendo il comportamento dei papi anche solo nell' ultimo secolo. Un' altra domanda sorge ancora più in profondita': la dottrina cattolica circa il papato (come noi la conosciamo o come comunemente si intende) fu sempre creduta anche al tempo degli apostoli? Mi pare che l' argomento non sia di poco conto, specie quando si nota, almeno apparentemente, come i papi sembrano esprimere insegnamenti talora difformi dalla tradizione, o forme cultuali a volte del tutto nuove all' interno della chiesa.
    Non so se sono stato chiaro nell' esposizione, la ringrazio della cortese attenzione.
    Giordano.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il problema di fondo è come ogni cristiano, ma soprattutto il chierico, deve porsi di fronte alla liturgia, e alla tradizione liturgica che gli è stata consegnata dagli Apostoli e dei Padri.

      Per quanto riguarda il Papa, ovviamente egli non può cambiare la Tradizione Apostolica, per il semplice fatto che la fede si basa su tale tradizione. Un atto di un Concilio che sia contrario alla Tradizione non ha alcun valore; e non ha alcun valore un atto di un Papa contrario a tale Tradizione.

      Elimina
    2. Su come fosse inteso il papato in età patristica, non da uno qualsiasi, ma da S. Gregorio Magno in persona, la invito a leggere qui: https://traditioliturgica.blogspot.com/2018/11/la-chiesa-di-gregorio-magno-e-oggi.html

      Elimina
    3. La ringrazio vivamente. Ho letto con molto interesse la lettera del grande papa Gregorio Magno che sembra molto chiara. A me sembra di capire che Gregorio non intendesse il suo essere Vescovo di Roma come di un monarca che regna su un regno, ma come vescovo tra altri vescovi. Pero' questosembra contrastare in maniera aperta con il modo di intendere il papato nei secoli successivi fino a oggi, basti pensare al Dictatus papae. Dunque l' interrogativo che resta, anche per i laici come me: la dottrina del papato come ando' a formarsi e fissarsi rappresenta una alterazione inaccettabile (cosi' per i cristiani ortodossi) del papato? Gregorio e Pio IX sembrano opporsi a vicenda. Io non sono esperto e mi scuso se ho espresso considerazioni banali.

      Elimina
    4. Il dictatus papae, secondo me, è un falso problema: esso mira a stabilire il primato della Chiesa sull'Impero, non tanto del papato sugli altri episcopati. Dà per scontata la situazione del mondo occidentale, in cui l'unica città che aveva un sufficiente prestigio, l'unica sede patriarcale d'occidente, era quella romana.

      Anche la detenzione del potere temporale da parte di un vescovo non è un problema in sé, seppur si potrebbe obiettare che questo possa distoglierlo dal suo mandato di pastore. Il problema è che se un vescovo può essere un monarca temporale, non può essere un monarca della Chiesa, perché essa è stata costituita da Nostro Signore con una gerarchia, ma non con una monarchia. E' interessante notare che questa pretesa di potere in ambito spirituale diventi più forte in corrispondenza della perdita del potere temporale.

      Elimina
    5. Per quanto riguarda la dottrina del papato, lasciamo parlare i fatti. Qui (http://traditiomarciana.blogspot.com/2019/08/tra-primato-e-giurisdizione-una-fonte.html) vediamo come era considerata l'autorità papale nel Medioevo più avanzato. Nella disputa tra Oriente e Occidente il papato è in secondo piano, la questione chiave è e resta il Filioque.

      La concezione odierna del Papato, quella che ha permesso gli scempi della dottrina e della liturgia cui lei si è riferito, è irrimediabilmente viziata dall'Ottocento in poi, con la fine delle chiese nazionali e, in un certo senso, della pienezza della vita liturgica di gran parte del clero. Di questo parlerò in un prossimo post.

      Come vede, non ho dato una risposta diretta al suo interrogativo, che non è affatto banale, ma le ho presentato una serie di argomenti da cui si può ben evincere una conclusione.

      Elimina
    6. Tutto molto chiaro. Gia' leggere Gregorio Magno fa un grande effetto e in se da gia' una risposta. Ora resterebbe da capire come il ben noto passo evangelico della "consegna delle chiavi" venisse inteso, visto che leggendolo, sembra la prova provata del fatto che Cristo abbia conferito a San Pietro un ufficio particolare nella Chiesa. Ma non voglio ulteriormente appesantire la discussione e dare ulteriore noia. La ringrazio vivamente.

      Elimina
  5. I apologise for writing in English. It is a pity that modern Catholics are so obsessed with legality and legalism that they completely ignore the social,psychological, spiritual, cultural and heritage considerations in the changing of the liturgy. Sensible people will just "get on with it" and celebrate the ancient and glorious liturgy that we have inherited.

    RispondiElimina
  6. Vorrei porre una semplice domanda: come dovremmo comportarci, per tirare le fila del discorso, nella recita del breviario?
    Ignorare il fatto che il Summorum Pontificum consente solo le rubriche del '62? Utilizzare le rubriche di Pio X? O piuttosto quelle pre-piane, nella forma cioè più tradizionale? Io propenderei, facendo un bilancio, per quest'ultima opzione, sebbene ciò porti con sé un ulteriore problema: come comportarsi con l'ipertrofia del santorale? Ridurre arbitrariamente molte feste doppie a semplici commemorazioni, per preservare la recita del salterio feriale?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La domanda è semplice, ma la risposta meno. Cerco di rispondere alle varie domande. Il Breviario Romano un cattolico lo dice in virtù della bolla Quod a nobis. Non di altri documenti successivi che non possono concedere ciò che non era possibile vietare. Dunque è inutile fissarsi sulla norma. Tra l'altro, il motu proprio si apre dicendo che ciò che era santo per le generazioni passate non può essere vietato ora: un tale principio ha senso se si riferisce ai libri liturgici che hanno invalso e santificato per secoli, non per sette anni.
      Io ho detto per anni il breviario di Pio X. Ha un buon equilibrio sotto alcuni aspetti, ma sentivo un gran vuoto, per esempio, a non recitare i salmi laudativi. Così, anche grazie al consiglio di un amico, sono passato alle rubriche pre-piane, anche se vi faccio qualche adattamento di calendario per i motivi che Lei stesso ha indicati. In sostanza adotto le norme di precedenza della domenica di Pio X ed elimino molti santi "moderni" dal santorale (anche per delle ragioni personali che qui non sto a spiegare). Volendo, linkato a destra nel blog c'è anche il CTO, la proposta di adattamento del santorale fatta da un suddiacono americano molto esperto di liturgia.

      Elimina
    2. In fondo, l'uso di un calendario adattato è l'arbitrio minore che si può fare. Una buona idea per un risultato bilanciato è prendere il calendario del 1568 ed eventualmente aggiungere, piuttosto che prendere quello del 1910 e togliere.

      A questo compromesso sono dovuto giungere per continuare a dire l'ufficio romano, che è comunque la mia tradizione natia. L'ufficio bizantino, per il quale ho comunque un particolare amore e ha un equilibrio interno veramente ammirevole, lo sentirei meno "mio" ad adottarlo in esclusiva.

      Elimina
    3. Grazie di cuore per la pronta risposta, che in fondo incontra perfettamente le conclusioni cui ero giunto in cuor mio.
      Io stesso, in fondo, sono animato dalla stessa necessità: continuare a recitare un ufficio che sento "mio", che mi è più affine. Frequento da anni una parrocchia ortodossa, ma nonostante il viscerale amore che provo verso quella veneranda liturgia, non riuscirei a recitare l'ufficio bizantino con la stessa tranquillità di sentirmi, in qualche modo, "a casa mia".

      Elimina
  7. The other possibility is to use the Monastic Office (O.S.B.) which has much of the psalter of pre-Pius X, it has the Old Hymns, s less crowded calendar, the Miserere and Laudate psalms and Lauds.It is an excellent office.

    RispondiElimina
  8. Ringraziando l'autore di questo articolo-veramente interessante-vorrei fare una domanda...io ho il breviario monastico del '30, in quel breviario, il salterio ha una disposizione che é molto simile a quella descritta nell'articolo stesso dall'autore. Ora, mi rendo conto che la domanda può sembrare fuorviante ma, a parte il santorale diverso da quello Romano, quale sarebbe il contro di pregare l'Ufficio Divino con tale breviario? Ringraziando anticipatamente per l'attenzione saluto cordialmente

    RispondiElimina
  9. L'ufficio monastico è un'ottima scelta; ha un salterio proprio, diverso da quello romano, ma comunque rimontante all'antichità (come si evince dai caratteri citati sopra da Shaun Davies). Io personalmente non ho mai provato a pregarlo, pur possedendone i libri; penso che a trattenermi siano più che altro questioni di abitudine (per esempio i 4 salmi al Vespro mi suonerebbero molto strani).
    Il suo più grande vantaggio sono comunque gli inni antichi, cioè precedenti alla riforma di Urbano VIII.

    RispondiElimina
  10. Gentilissimo,
    Innanzitutto grazie per la risposta,
    Quindi il salterio monastico disposto secondo la regola di San Benedetto ha delle affinità col la disposizione dei salmi cosí come vengono pregati nei monasteri orientali- come quelli del monte Athos- o non ha nulla a che fare con esso?
    So che i certosini si alzano a mezzanotte per pregare l'Ufficio in quell'ora, ma non so se ha un nesso con la tradizione bizantina e credo che, comunque, il breviarium cartusiense non abbia nessi con quello monastico.
    Può aiutarmi a capire un po' tali differenze, grazie.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La regola di S. Benedetto ha un ordine completamente suo, diverso dunque sia dal salterio romano che da quello bizantino. Sono tradizioni rituali diverse. Alcuni elementi sono però presenti in tutti i salteri, perché rimontano all'età apostolica medesima se non alla sinagoga, come il miserere all'inizio e i salmi laudativi alla fine dell'ufficio dell'alba etc.

      Anticamente il Mattutino era costituito da quattro uffici separati, tre veglie (i tre Notturni) e l'ufficio albare (le Laudi), poi unificate per comodità. La tradizione liturgica cartusiana, che ha ovviamente relazioni con quella benedettina e romana, ha fissato l'orario di tale ufficio a mezzanotte.
      Una di queste veglie in antichità avveniva propriamente a mezzanotte, e corrisponde al mesonittico che si canta nella tradizione bizantina. L'orthros bizantino sostanzialmente corrisponderebbero all'ultima veglia e le Laudi.

      Elimina