venerdì 10 luglio 2020

Καὶ ἐκεῖ ποῦ 'ναι ἡ Ἁγία Σοφία, μὲς τοὺς λόφους τοὺς ἐπτά


 Nell’indifferenza generale dell’Occidente, da diverse settimane circolava la notizia, diventata ufficiale questo pomeriggio, che Santa Sofia sarebbe ritornata ufficialmente una moschea. La decisione del governo rientra in un programma di re-islamizzazione della Turchia, in direzione opposta alla svolta laicista operata dal generale Atatürk tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso: proprio Atatürk nel 1935 aveva fatto chiudere il tempio al culto islamico, anche se è da dire che di fatto dai turchi musulmani è sempre stata considerata moschea e trattata come tale anche negli ultimi decenni: già dal 2013, comunque, i muezzin cantano l’invito alla preghiera islamica dai minareti della Grande Chiesa.

Inutili sono stati i tentativi di mediazione e le proteste del Patriarca Ecumenico, del Patriarca di Tutte le Russie Kirill e delle autorità civili russe. C’è da dire che pure la situazione precedente, ovvero quella del museo, costituiva una prevaricazione del sacro edificio, che fu costruito con lo scopo preciso e unico di ospitare il culto cristiano. Sorgeva del resto a Costantinopoli, la prima città al mondo in cui furono costruite alla sua fondazione solo chiese cristiane (eccetto un piccolo tempio della Fortuna, comunque chiuso nel giro di pochi decenni), progettata da un imperatore cristiano per essere la capitale dell’Impero Cristiano. Santa Sofia, la chiesa della Divina Sapienza, ha rappresentato per secoli il centro del Cristianesimo bizantino: le sue centinaia di chierici, il suo complesso cerimoniale, le liturgie patriarcali alla presenza ieratica dell’Imperatore, erano il simbolo del binomio perfetto che per secoli ha retto l’Impero Romano. Spogliata di gran parte delle sue ricchezze dalla barbarie dei Franchi nel 1204, continuò a rappresentare il cuore della Città fino alla sua caduta, quel triste martedì 29 maggio del 1453.


Un racconto tradizionale greco narra che quando i soldati ottomani fecero irruzione nel santo tempio, si stava celebrando la Divina Liturgia. La cosa è alquanto plausibile, dacché l’imperatore aveva dato ordine che continue liturgie fossero offerte durante l’assedio (un modo di affrontare le tragedie molto diverso, sicuramente più cristiano, rispetto a quello oggi dimostrato persino da certi ecclesiastici occidentali…). Durante la proscomidia, quando irruppero i nemici, il sacro calice fu portato al cielo da ali d’angelo: allo stupore dell’arciprete, dal cielo fu risposto che in questo modo la Divina Comunione è stata protetta dall’impeto degl’infedeli; fu inoltre promesso che questo santo calice ritornerà quando nuovamente le sante preghiere saranno udite in quel tempio, nella Grande Chiesa. Questo calice sarebbe, secondo alcune tradizioni, il Santo Graal (esistono altre versioni minoritarie, per esempio che l’arciprete sarebbe fuggito col calice e poi affondato in mare per consacrare per sempre a Cristo il Bosforo). Ma quel che conta è la grande promessa: prima o poi, Santa Sofia tornerà a essere un tempio cristiano. Questa è l’unica cosa che il Cristiano deve sperare e attendere.

Se infatti il falso culto dei maomettani profana una chiesa, non meno essa è profanata da impieghi “laici”, cioè per tutto ciò che non sia il culto della Divina Maestà. Qualche anno fa a Venezia ci fu una grandissima protesta per la trasformazione temporanea (in occasione di una biennale d’arte) della chiesa dell’abbazia della Misericordia a Cannaregio in una moschea; protesta giustissima, accompagnata da numerose funzioni di riparazione che ottenne la revoca della concessione del luogo agli islamici (che a quanto pare non erano mai stati autorizzati a trasformarlo in luogo di culto maomettano). Oggi quella medesima chiesa, comprata da una società di eventi, è impiegata per dei festini alla moda, con gli altari utilizzati come banconi per le bibite se non peggio; eppure nessuno si lamenta. Molti, purtroppo, hanno scambiato tutto ciò per una battaglia di civiltà, una battaglia culturale, in cui il problema della trasformazione della chiesa in moschea è uno schiaffo culturale all’Occidente, piuttosto che alla religione Cristiana: per questo la trasformazione in tempio del divertimento, della cultura laica profanatoria e dissacrante, non disturba queste persone. Allo stesso modo, non si può lamentare la riconversione di Santa Sofia in moschea senza deplorarne anche l’uso laico.

Non siamo qui per difendere una civiltà o una cultura: siamo chiamati a difendere la fede in Cristo dei Cristiani pii e ortodossi. Ed è per questo che si deve continuare a sperare e a pregare che Dio si degni di stornare da noi la sua ira, e riconsegni Santa Sofia e Costantinopoli nelle mani dei Cristiani.

Una canzone greca che rammenta la tradizione della scomparsa del santo Calice

Le parole del titolo dell'articolo ("E là dov'è Santa Sofia, sui suoi sette colli...") sono i primi versi della 113a strofa dell'Inno alla Libertà di Dionysios Solomos: in questa e nella successiva si descrive come la maledizione di Dio (ἡ κατάρα τοῦ Θεοῦ) spazzi via da Santa Sofia i corpi senz'anima dei turchi (ὅλα τ' ἄψυχα κορμιά), perché da lì li raduni il fratello della Luna (il diavolo).

2 commenti:

  1. Purtroppo pare che questo accadra'. Lessi da qualche parte che il ritorno della Grande Chiesa al culto cristiano fosse prevista pure dal monaco S.Paisios dell'Athos. Speriamo sia cosi', per intanto speriamo e preghiamo che non spariscano rovina le sacre immagini musive che sono rimaste sulle pareti del tempio dissacrato.
    Giordano.

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  2. Volevo dire che "non patiscano rovina" i mosaici di Agia Sophia. Mi auguro che non siano così intransigenti nell' occultare le immagini antropomorfe. In fondo la basilica fa parte dei siti tutelati dall' unesco. Mi auguro che questo abbia un peso.

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