L’esattezza nell’osservanza dei tempi non è così importante come l’offesa della divisione e dello scisma (S. Giovanni Crisostomo, citato da Opere (in russo), I 2, San Pietroburgo, 1898, p. 667).
In un precedente post ci siamo occupati della differenza nel calcolo della Pasqua tra il calendario giuliano e quello gregoriano, spiegando come cambi il modo di riferirsi alla lunazione. Ora intendiamo presentare alcune informazioni storiche circa la progressiva introduzione, dal XVI secolo a oggi, del nuovo calendario in tutto il mondo, e dei problemi che ha comportato. L'esattezza astronomica (o, nel caso del gregoriano, la verosimiglianza con un minor margine di errore rispetto al giuliano) non è sempre necessariamente una buona cosa, specialmente quando per seguirla si modificano tradizioni antiche, si creano divisioni, e non da ultimo si complica la vita alla gente, sendoché il calendario giuliano con la sua regolarità permetteva una fruizione tabellare molto semplice per i calcoli astronomici, in assenza di rilevatori precisi come quelli moderni e di un'ampia diffusione di dati come quella possibile con le attuali comunicazioni. Questo è il motivo per cui, benché si conoscesse sin dai tempi del venerabile Beda che ci fosse uno slittamento di date, nessuno mai volle cambiare l'antico calendario, e Beda stesso fu acceso difensore del calendario e del paschalio romani, cioè giuliani, a fronte di quelli celtici; è pure il motivo per cui l'umanista e astronomo italo-francese Giuseppe Giusto Scaligero (1540-1609) si basò sul calendario giuliano per creare la sua cronologia dei giorni universali (il cosiddetto "giorno giuliano"), ancor oggi in uso presso gli astronomi come strumento più efficace per identificare rapidamente una data, come ribadito da Herscher nel 1849, proprio grazie alla ripetitività schematica del giuliano.
La bolla Inter gravissimas esprime come proprio intento quello di restaurare l'antica data della Pasqua; tuttavia il mettere mano a una questione già nota da tempo fu accelerato da un fattore molto più prosaico: dall'Impero tedesco, teatro di sanguinosa confusione tra protestanti e cattolici che non si sarebbe ben delineata sino alla Guerra dei Trent'Anni, giungevano notizie che i cattolici e i protestanti sovente pregavano nelle stesse chiese e partecipavano insieme ai riti. Una situazione, in un certo senso, simile a quella che i Padri Niceni si trovarono ad affrontare, quando alcune comunità cristiane celebravano la Pasqua insieme ai giudei. Riformare il calendario avrebbe evitato ogni possibile celebrazione comune delle feste, e perciò parve bene a Gregorio XIII, animato da alcuni vescovi centroeuropei, di procedere quanto più in fretta possibile col delineare un nuovo calendario. Il problema, semmai, è che l'introduzione del nuovo calendario non ruppe solo l'unità celebrativa con i protestanti, ma anche con l'Ortodossia e persino tra le stesse comunità cattoliche di diversi paesi.
In gran parte d'Europa e delle Americhe, dai possedimenti ispano-portoghesi d'oltreoceano allora sotto Filippo II sino alla Confederazione polacco-lituana degli Jagelloni, la gente si addormentò un giovedì 4 ottobre e si risvegliò in un venerdì 15 ottobre. Seguirono presto la Francia, le provincie olandesi cattoliche, e il resto dell'Europa cattolica entro il 1590. Per 6-7 anni la Pasqua fu celebrata diversamente in alcuni paesi cattolici, che non avevano ancora adottato il nuovo calendario, venendo così a mancare persino l'unità interna. In Polonia non mancò una forte resistenza della popolazione e dell'episcopato locale, che non vedeva il motivo per cui dovessero essere cambiate le date in cui i padri celebravano le festività, ma alla fine del secolo su pressione dei legati papali e degli ordini religiosi fu cambiato il calendario (cfr. F.K. GINZEL, Handbuch der mathematischen und technischen Chronologie: Das Zeitrechnungswesen der Völker, vol. III, Leipzig, 1914, pp. 266ss.).
W. Hogarth, Dibattito elettorale, 1755. Tradizionalmente si ritiene
che il contrasto ivi raffigurato riguardi proprio gli "eleven days".
I paesi protestanti naturalmente non adottarono il nuovo calendario inizialmente: anzi, alcune provincie olandesi, passate sotto governo protestante, riadottarono subito il giuliano; tuttavia, tra XVII e XVIII secolo, per facilitare gli scambi internazionali, quasi tutti i paesi (e di conseguenza le chiese, spesso legate alla compagine statale) passarono al nuovo stile. Danimarca e Norvegia adottarono il nuovo calendario nel 1700, ma continuarono a calcolare la Pasqua in un modo diverso, non coincidente né col giuliano né col gregoriano, impiegando le tavole rudolfine elaborate da Keplero nel 1627. Altrove vi furono problemi di calcolo: la Svezia tentò di adottarlo nel 1700, con un "adattamento graduale" da compiersi entro il 1740 per allineare le date, ma col risultato che ci furono errori e dimenticanze, e per aggiustarli ci si vide costretti a inventare... il 30 febbraio 1712! La Gran Bretagna lo adottò con il New Style Act nel 1750, e non mancarono proteste popolari al grido di: "Give us our eleven days back!". La cosa più difficile, comprensibilmente, doveva essere di punto in bianco trovarsi a festeggiare le proprie feste in una data completamente diversa da quella osservata sino a quel punto da tempi immemorabili.
Più interessante è la vicenda dell'introduzione del nuovo stile, o in realtà del neo-giuliano, un malfunzionante miscuglio tra il calendario gregoriano e il paschalio giuliano, giunta solo nella prima metà del secolo scorso, nelle Chiese Ortodosse. Attorno al 1580, il Patriarca di Costantinopoli Geremia II Tranos aveva avuto contatti col Papa di Roma, e pare fosse disponibile ad introdurre pure nella Chiesa greca il nuovo calendario. Al di là della figura controversa di questo Patriarca, in un sinodo tenutosi a Costantinopoli nel 1583, tra varie proposizioni che miravano a evitare la latinizzazione degli ortodossi della diaspora, i Padri sinodali anatemizzarono il nuovo calendario "creato da astronomi senza Dio"; secondo il sigillion sinodale, quanti desiderano questa innovazione "distruggono le usanze della Chiesa che abbiamo ricevuto dai nostri Padri".
Benché questa decisione non abbia valore dogmatico, fissa un punto molto importante: l'uso secolare non può essere interrotto senza gravi danni. E questo si vide perfettamente quando per l'introduzione del nuovo calendario al Patriarcato di Costantinopoli spinse nel 1922 il già patriarca di Alessandria ora eletto al trono fanariota, massone e più volte violatore di canoni, Melezio IV Metaxakis, seguendo una pista in verità già tracciata dai suoi predecessori Antimo VII e Gioacchino III. In Grecia, in un'epoca di panellenismo e trionfo della Megali Idea, per cui Costantinopoli sarebbe dovuta tornare greca entro pochi anni vista la sconfitta turca nel conflitto mondiale (speranza che sarà vanificata dal violento nazionalismo dei Giovani Turchi, che in quegli stessi anni iniziavano le purghe contro i Greci del Ponto, e dal pesante insuccesso militare dell'esercito greco nel 1924, che porterà peraltro alla caduta della monarchia), il Re gli venne incontro adottando a livello civile il calendario gregoriano nel 1923; il Santo Sinodo non ratificò subito l'adozione, e questo comportò alcuni problemi nella celebrazione della festa nazionale il 25 marzo / 7 aprile di quell'anno; il 10 marzo 1924 il Santo Sinodo decise di passare al neo-giuliano, e di tutta risposta i fedeli si accamparono a protestare sotto la Chiesa Metropolitana di Atene contro questa modifica dell'ordine tradizionale. Molto clero e una buona parte del popolo si rifiutò di cambiare le date tradizionali delle feste, e in una decina d'anni si andò costituendo la Chiesa dei Veri Cristiani Ortodossi di Grecia, detti comunemente paleoimerologhiti, cioè vecchio-calendaristi, che oggi conta tra i fedeli quasi il 10% della popolazione greca, e mediamente la componente più fedele e pia, e non solo religiosa per facciata, e ha ottenuto a fasi alterne nuova visibilità e fortuna grazie al suo strenuo opporsi all'ecumenismo, di cui la riforma del calendario è vista come primo passo.
circa le proteste dei fedeli contro l'introduzione del nuovo calendario
A Metaxakis non interessava certo allineare il calendario al cielo, e infatti non lo fece (il neo-giuliano infatti è solo apparentemente uguale al gregoriano, in realtà accumula un ritardo diverso: praticamente, è un terzo, infondato astronomicamente e antitradizionale metodo di calcolo, che per accidens coinciderà col calendario gregoriano sino al 2800): gli premeva avvicinarlo alle chiese occidentali, in modo raffazzonato, per motivi ecumenisti, e al contempo seminare la divisione tra le chiese ortodosse in un momento già difficile. La chiesa bulgara, che adottò il nuovo calendario, era considerata eretica da tutte le altre; la chiesa di Romania barattò il nuovo calendario col titolo patriarcale per Bucarest, ma pure lì una buona fetta di popolazione rifiutò l'innovazione, e oggi si contano circa tre milioni di vecchi calendaristi in Romania, senza contare quelli all'estero.