domenica 3 ottobre 2021

Considerazioni liturgiche sparse - parte 2

Riprende, dopo molto tempo, questa rubrica: si tratta di considerazioni sparse, sorte dopo discussioni ed esperienze dirette. Esse sono state qui raccolte volutamente in modo disorganico, senza cercare di dare al testo una struttura logica consequenziale, impresa che sarebbe stata per verità non facile data la totale disomogeneità dei contenuti.

1. Circa il servizio alla Messa cantata

Nei libri liturgici il modello di celebrazione base è quello della Messa solenne, dove il sacerdote è regolarmente assistito da diacono e suddiacono. Nondimeno, in molte realtà legate alla liturgia tradizionale ciò non si verifica quasi mai, se non in rarissime occasioni come le feste patronali, dove l’accorrere di sacerdoti permette la celebrazione in terzo. 

Almeno nelle domeniche e nelle feste doppie, però, dovrebbe essere celebrata la Messa cosiddetta cantata, vale a dire una riduzione della forma solenne non esplicitamente normata dai libri liturgici, dove i ruoli spettanti a diacono e suddiacono vengono spartiti tra il sacerdote ed i chierici di servizio.

I compiti legati al ministero ordinato (il canto del Vangelo, dell’Ite, missa est…) spettano al celebrante, ma quelli che non lo richiedono possono e, anzi, debbono essere svolti dai chierici, tonsurati o laici che siano.

Per esempio, ai chierici è richiesto di cantare l’Epistola (Ritus servandus in celebratione Missae, n.7; si tratta dell'unica rubrica di tutto il Messale che parla della messa cantata senza sacri ministri; ivi si specifica che l'unica differenza tra il canto dell'epistola fatto dal suddiacono e quello dal chierico è che quest'ultimo non chiede la benedizione e non bacia la mano del celebrante dopo la lettura, per ragioni ignote) e si potrebbe obiettare che il ministro, se in tenera età, non è capace di cantare in latino; si risponde che il servizio dovrebbe essere svolto se non soltanto almeno nella maggior parte da uomini ben preparati. Il chierico, all’offertorio, porta il calice dall’altare alla credenza e, dove è consuetudine, lo svela dopo che il celebrante gli ha dato mandato toccando il velo. Dopo la purificazione toccherà di nuovo a lui riportarlo, liberando il celebrante da quest’incombenza.

Nel rito ambrosiano, inoltre, spetta al chierico, quando manca il diacono, la turificazione del retro dell’altare e il bacio del lato settentrionale durante l’incensazione d’offertorio.

Non ha alcun senso vedere Messe cantate dove il celebrante porta il calice all’ingresso e lo riporta all’uscita e canta l’Epistola: il rispetto per l’ordine sacro non deve divenire clericalismo, dove la liturgia diventa il momento di protagonismo del sacerdote (cosa ancor più evidente, poi, nella liturgia riformata).

Il celebrante, letta privatamente la lezione, siede e ne ascolta il canto da parte del chierico (Chiesa di S. Maria della Consolazione, Milano, foto di NLM)


2. Circa l'abito dei servienti

Sempre rimanendo in tema di servizio liturgico, parliamo ora dell’abito dei chierici servienti la ierurgia. Coloro che accedono all’altare è come se divenissero, temporaneamente, dei chierici; perciò dovrebbero vestire l'abito di coro, salvo che oggettive ed eccezionali ragioni (come la mancanza materiale e irrimediabile di abiti adatti) lo impediscano.

In età medievale e in alcuni riti monastici si diffuse l’uso di servire con il camice, prima che esso fosse inteso come l’abito del sacrificio (è utilizzato, infatti, solo per la Messa); nei monasteri e nei conventi il servizio è svolto dai novizi, che fanno uso del loro regolare abito religioso. Nella prassi secolare, invece, il servizio è svolto, secondo tradizione, in abito talare e cotta. 

L’abito talare va portato completo di colletto: il CJC del 1917, al canone 683, parla di habitus clericalis, senza menzionare alcuna riduzione da operare; sull’uso della fascia v’è discussione tra gli autori, poiché non è chiaro neppure se essa possa essere indossata da tutti i semplici sacerdoti. Una buona regola è quella di uniformarsi all’uso locale del clero. Alla veste si sovrappone la cotta (non il rocchetto!), il cui pizzo non può mai eccedere ed essere maggiore della stoffa stessa. La sobrietà della liturgia romana contrasta con l’uso di croci pettorali, zucchetti, mozzette, berrette: lo sciogliersi di fronte a fotografie di stuoli di chierichetti con mozzetta e berretta nella Spagna franchista o in talarina azzurra e cotta con i paramani foderati nelle Americhe non è amore per la Tradizione ma edonismo.





Chierichetti parati come dei piccoli canonici...
Tradizione o gioco?
(Foto di Ceremonia y Rubrica)





L.F.

5 commenti:

  1. Grazie per questo bell' articolo.
    Una domanda: dunque anche nella messa antica potrebbe cantare l' epistola un laico qualsiasi (certamente in grado di cantare degnamente). Ma anche il "passio" alla Domenica delle Palme?
    E se ho capito bene dovrebbe mettere la sottana nera e la cotta bianca, anche se laico? Non so se mi sbaglio, ma da qualche parte ho letto che non sarebbe una buona cosa far mettere l' abito clericale ai laici per servire messa. Infatti oggi preferiscono far mettere l' alba (che non mi sembra un camice) a chierichetti e chierichette. Che senso ha che un laivo si vesta con l' abito corale se non è chierico per servire messa? Questo è il chiarimento che volevo conoscere, grazie.

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    1. Come detto sopra, quando un laico riceve la benedizione per servire in altare, egli diventa equiparato in tutto e per tutto a un chierico durante il suo servizio. Poi certamente i chierici dovrebbero essere prima o poi tonsurati per il servizio all'altare, ma visto che la prassi decaduta degli ultimi secoli era di tonsurare solo i candidati al sacerdozio venivano a mancare i chierici servienti in parrocchia.
      L'alba (che E' il camice) nell'uso romano è l'abito del sacrificatore, direi che è ancora più inadatto.

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    2. Ecco, questo mi mancava, che il laico viene benedetto per servire all' altare, una sorta di mandato.

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  2. anni fa ero il turiferario in una comunità V.O. e non veniva incensati all'offertorio i ministranti perchè 'non erano chierici'; si incensava solo il seminarista con gli ordini minori quando c'era. è corretta come pratica? io oggi la ritengo discutibile perchè:
    - il turiferario incensa il popolo sempre;
    - le incensazioni (eccetto quella all'elevazione) sono un modo per rendere tutto quello che partecipa alla celebrazione del sacrificio (doni, altare, ministri etc) più degno, gradito e santificato, e non un modo per 'dare onore'.

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    1. La pratica non trova senso né giustificazione. Al massimo si potrebbe obiettare che la rubrica parla di incensazione del coro e del popolo, ma non dei servienti (siano essi tonsurati o meno), ma allora non si dovrebbe incensare nemmeno il seminarista. Inoltre la prassi consueta attestata è quella di incensare i servienti. I punti da lei proposti sono senz'altro corretti, ma è pure da segnalare l'equiparazione del laico benedetto al servizio all'altare a un chierico durante le sue funzioni, che è il cardine (spesso negletto) su cui si basa tutto l'impianto.

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