Papa Onorio nel mosaico absidale di S. Agnese fuori le mura |
Presentiamo in traduzione la prima parte del pregevole opuscolo anti-infallibilista redatto in latino come "documento di posizione" in occasione dei lavori del Concilio Vaticano I da mons. Joseph de Hefele (1809-1893), sintetizzando quanto presentato dal vescovo stesso in una più ampia opera in tedesco uscita in contemporanea. De Hefele fu docente di Patristica e Storia della Chiesa all'Università di Tubinga, autore di una fondamentale edizione critica dei Padri Apostolici e di una apprezzabile e monumentale Storia dei Concili della Chiesa in sette volumi.
Nella prima parte del suo opuscolo, steso secondo il metodo della quaestio, tipico della trattatistica teologica latina medievale, l'Autore analizza i documenti storici relativi a Papa Onorio e al Concilio Costantinopolitano II, concludendo che Onorio realmente professò solennemente (ex cathedra) un'eresia e che il Concilio medesimo lo condannò come eretico, ricusando dunque con argomenti storici le due erronee credenze del neo-cattolicesimo che il Papa sia infallibile e che egli sia superiore al Concilio (e dunque da esso non giudicabile).
C.J. De Hefele, Causa Honorii Papae, Neapoli, De Angelis, 1870, 28 pp. Trad. it. di Nicolò Ghigi ©
LA CAUSA DI ONORIO PAPA
Sezione prima
Non si discetta del fatto se Papa Onorio nell'intimo del suo cuore avesse un intendimento eterodosso oppure no; ma il primo quesito in assoluto è questo:
I. Forse che Onorio ha prescritto qualcosa ex cathedra come dogma di fede, che in verità tuttavia era qualcosa di eretico?
A questo si aggiunge un secondo quesito:
II. Forse che qualche Concilio Ecumenico si è arrogato il diritto di pronunziare una sentenza riguardo il Pontefice che così ha deciso, e di condannarlo dunque come eretico?
In terzo luogo infine ci si chiede:
III. In quale senso tale condanna fu recepita e ritenuta dai contemporanei, e specialmente dai Romani Pontefici?
PRIMO QUESITO.
1. Nel quinto secolo dell'era cristiana Nestorio Patriarca di Costantinopoli, asserendo che in Cristo vi fossero due nature (l'umana e la divina), osò avanzare al punto di distruggere l'unità della persona. Detta eresia di Nestorio fu condannata dal III Concilio Ecumenico, celebratosi in Efeso nell'anno 431.
2. Nell'errore esattamente opposto incorse pochi anni dopo Eutiche, archimandrita di Costantinopoli, affermando che Cristo constasse sì di due nature, che tuttavia sarebbero associate tra loro per unità così intimamente da renderle una natura soltanto; sicché dunque Cristo sarebbe composto da due nature, ma non consisterebbe in due nature. Il quale errore, il Monofisismo, fu rigettato dal IV Concilio Ecumenico Calcedonese nell'anno 451.
3. Entrambi gli errori, ancorché sconfitti, non scomparvero tuttavia del tutto; in verità, nell'impero greco romano il Monofisismo soprattutto annumerava molteplici seguaci; e poiché le forze dell'impero medesimo venivano a soffrire a cagione di tali liti religiosi, agl'imperatori premette particolarmente il ripristino della pace e dell'unità.
4. Spinto da tal desiderio, ancorché trattando la materia in modo infelice, l'imperatore Eraclio nell'anno 627 circa, tenuto consiglio con Sergio, Patriarca di Costantinopoli, e coi vescovi Ciro, Teodoro e altri, propose che da quel momento si tramandasse quale vera dottrina che in Cristo vi sarebbero sì due nature, ma una sola volontà, e una sola operazione, cioè energia. Tale esperimento di ripristinare la concordia si chiama Monotelismo. Detta formola si sperava avrebbe riconciliato i Monofisiti con la Chiesa; parea loro infatti che asserendo la duplice natura di Cristo essa fosse conforme alla dottrina della Chiesa, e al contempo speravano che potesse placare i Monofisiti affermando l'unità di volontà ed energia.
5. Pochi tra i teologi compresero il carattere di detta formola d'unione proposta; diversamente, difficilmente avrebbe potuto sfuggir loro che questa si piegava completamente al Monofisismo. La volontà pertiene senza dubbio alla natura, e non alla persona; così ad esempio nella Santissima Trinità si distinguono tre persone, ma una sola natura o sostanza, e perciò nella Trinità non si riconoscono tre volontà, ma una soltanto. Poiché già confessiamo che in Cristo vi siano due nature realmente distinte, conseguentemente dobbiamo riconoscere che vi siano in Lui pure due volontà. E quanto detto circa la volontà, vale parimenti per l'operazione, cioè per l'energia. Cristo mangiò, dormì, bevve; in ciò identifichiamo una sola, umana operazione; lo stesso Cristo pure risuscitò i morti e sanò miracolosamente i malati, e in ciò vediamo una distinta operazione o energia.
6. Uno degli autori del monotelismo, Ciro Arcivescovo di Alessandria (già di Faside in Colchide), nel 633 circa ripristinò l'unione con alcuni Monofisiti d'Egitto, insistendo nella formola che in Cristo vi fosse una sola energia (μία ἐνέργεια). Alla quale i Monofisiti aveano ben donde applaudire, sendoché a lor soli, e non alla Chiesa universale, questa formola arrideva. Nel medesimo tempo in Alessandria eravi quel famoso e dotto monaco Sofronio di Gerusalemme (che sarebbe ivi divenuto poi Patriarca), che avversava codesta nuova formola. Ma poiché Ciro lo ignorava, Sofronio si recò a Costantinopoli, ricercando il patrocinio di Sergio; ignorava infatti che anche Sergio aderisse alla nuova eresia. Il recarsi presso Sergio non fu tuttavia del tutto inutile, poiché quegli, volendo serbare una via mediana, propose che, pur non parlandosi in alcun modo di due energie (e volontà), come avrebbe voluto Sofronio, non si sarebbe utilizzato neppure il termine μία ἐνέργεια. Sergio dipoi si rivolse a Papa Onorio e al suo parere, ricercando un pari consenso. Nella sua lettera, Sergio scrive che non si dovrebbe concedere a nessuno di affermare che vi siano una sola oppure due energie; il termine μία ἐνέργεια infatti sarebbe stato sospetto, come se si negassero le due nature di Cristo (cosa che sarebbe da monofisiti); parimenti l'affermare l'esistenza di due energie avrebbe offeso non pochi, nella misura in cui da ciò sarebbe conseguito che si debbano ascrivere a Cristo due volontà tra loro contrarie (θελήματα). (E certo sarebbe falso dire il contrario!)
7. Papa Onorio rispose a Sergio, e la sua epistola (I) si conserva integralmente nell'originale latino e in un'antica traduzione greca. Si riporta di seguito un sunto di ciò che il Papa disse in questa epistola:
a) Bene facesti a vietare l'uso del termine μία ἐνέργεια, nella misura in cui si potrebbe sospettarlo di Monofisismo; parimenti nel termine δύο ἐνέργειαι si potrebbe trovare del Nestorianesimo, e nessuno dei due termini del resto è biblico. Per il resto il termine δύο ἐνέργειαι si deve reputare falso; Cristo infatti ἐνέργησε πολυτρόπως, cioè ha operato in molti modi (ad esempio, ora mangiava, beveva, dormiva, insegnava, sanava gl'infermi, etc.). Onorio dunque confondeva l'ἐνέργεια, cioè il modo dell'operazione in sé, con le sue singole manifestazioni. Le sue parole riguardo a tal punto così sonano: "Non è opportuno volgersi indietro circa questi dogmi ecclesiastici, che non paiono esser stati spiegati né dai vertici sinodali che hanno indagato su ciò, né dall'autorità canonica, cioè che qualcuno osi predicare che in Cristo vi siano una o due nature, etc" (Mansi, Collect. Concil., t. XI, p. 542). E poco dopo: "Noi infatti non abbiamo compreso dalle sacre scritture se Nostro Signor Gesù Cristo e il suo Santo Spirito abbiano operato con una soltanto o con due operazioni, ma solo che ha operato in molti modi" (Mansi, l.c.). E infine: "Questo insieme a noi predichi la vostra fraternità... esortandovi a fuggire dall'uso della parola 'una operazione' o 'duplice operazione', indotta dalle nuove proposte, [confessiate] con noi un solo Signore Gesù Cristo..." (Mansi, l.c., p. 543).
b) Nel modo in cui in tale esposizione Onorio rifiutò il termine ortodosso δύο ἐνέργειαι, così al contempo prescrisse quale regola di fede un termine eretico, asserendo: "Laonde diciamo che sia una sola la volontà (ἕν θέλημα) di Nostro Signor Gesù Cristi, poiché egli certamente assunse la nostra natura, ma non la nostra colpa; quella natura, cioè, che fu creata prima del peccato, non quella corrotta dopo la prevaricazione... Non è dunque stata assunta dal Salvatore la natura corrotta, che ripugnerebbe la legge della sua mente". (Mansi, l.c., p. 539). Onorio dunque argomenta così: "Cristo ha assunto la vera umanità, la piena natura umana, non però la natura umana corrotta dal peccato, ma così com'era prima della caduta; perciò in Cristo non v'era la legge della carne, che avverserebbe la legge della mente". Fin qui dice rettamente, ma da qui dovrebbe aver ragionato nel seguente modo: "Perciò in Cristo non v'era la volontà carnale, peccaminosa, ma soltanto la buona volontà umana, conforme in tutto alla divina volontà; e per questo preciso motivo eranvi due volontà: la divina cioè e l'umana, quella buona". Onorio tuttavia confuse queste due volontà, e trascese la buona volontà umana, consona in tutto alla divina volontà, giungendo ad affermare così: "Perciò affermiamo che vi sia una sola volontà del Nostro Signore". Con queste parole, prescrisse come dottrina di fede della Chiesa la formola principale, il termine tecnico del Monotelismo.
8. Poco dopo, Papa Onorio inviò un'altra lettera a Sergio, della quale epistola II sopravvivono soltanto due frammenti. In questi Onorio ripetutamente rifiuta il termine ortodosso δύο ἐνέργειαι, dicendo e prescrivendo: "certamente il vocabolo relativo all'unica o alla duplice operazione, introdotto di recente, è estraneo alla predicazione della fede", affermando al contempo che fosse sconveniente che al Salvatore si attribuissero una o due operazioni (Mansi, l.c., p. 579). Così nel primo frammento. Nel secondo, dalla conclusione dell'epistola, si legge: "Per quanto poi pertiene al dogma ecclesiastico, dobbiamo definire che non vi siano una o due volontà nel mediatore tra Dio e gli uomini" (Mansi, l.c.). Da tali citazioni è chiaro che Onorio volea dare una definizione dommatica, enunziare un dogma della Chiesa, e al contempo rigetto un termine dommatico ortodosso. Circa il termine "una o due volontà" in codesti frammenti nulla è contenuto, ed è ignoto se ne parlasse nella parte perduta della seconda epistola.
Da quanto detto si deduce ormai chiaramente che Papa Onorio abbia rigettato il termine tecnico ortodosso δύο ἐνέργειαι, e che abbia dichiarato come vero un termine specificatamente eretico, ἕν θέλημα, e che dunque così abbia prescritto di credere a questo duplice errore, come aveva fatto anche la Chiesa Costantinopolitana. Al termine della II sezione ritorneremo sul termine "parlare ex cathedra".
SECONDO QUESITO.
Entrambe le epistole di Onorio furono lette al VI Concilio Ecumenico Costantinopolitano nell'anno 680; la prima nella XII sessione generale, la seconda nella sessione XIII, alla presenza e con la presidenza di tre legati del Papa Agatone, i due Cardinali presbiteri Teodoro e Giorgio, e il Cardinale diacono Giovanni.
a) Sin dall'inizio della XIII sezione il Concilio dichiarò: "Ritrattando le epistole dommatiche, sia quella di Sergio ad Onorio, allora Papa dell'Antica Roma, e similmente pure l'epistola scritta da lui (cioè da Onorio) in risposta al detto Sergio, e trovandole del tutto estranee ai dogmi apostolici... in quanto seguono le false dottrine degli eretici, le rigettiamo in ogni modo e le aborriamo come dannose per l'anima. E di questi, cioè tra coloro i cui empj dogmi aborriamo, giudichiamo si debbano cancellare dalla Santa Chiesa di Dio i lor nomi, quelli cioè di Sergio, di Ciro, etc., i quali tutte pure Papa Agatone cancellò, [come da lui detto] in una comunicazione privata all'Imperatore". (Papa Agatone diede ai legati che inviò al VI Concilio Ecumenico una lettera indirizzata all'Imperatore Costantino Pogonato, nella quale rigettava i detti autori del Monofisismo. Del suo predecessore Onorio, tuttavia, non faceva in essa alcuna menzione). Ma il VI Concilio Ecumenico, volendo sottoporre pur lui a una censura, proseguiva nel suo decreto nel modo seguente: "Con questi poi abbiam ritenuto (συνείδομεν) di rigettare dalla Santa Chiesa universale di Dio, e parimenti di anatemizzare, anche Onorio, che fu Papa dell'Antica Roma, poiché abbiamo trovato negli scritti che da lui son stati rivolti a Sergio, che seguì in tutto il pensiero di quest'ultimo, e confermò gli empj dogmi (Mansi, l.c., p. 554 sq.). Il Concilio giustamente non affrontò la questione se Onorio pensasse realmente ciò, ma pronunziò la propria sentenza sui fatti, cioè sull'aver approvato l'eresia nella sua lettera.
b) Alla fine della medesima XIII sessione fu letta anche la seconda epistola di Onorio, e dal Sinodo fu decretato che fosse bruciata insieme agli altri documenti come dannosa per le anime; la qual cosa fu eseguita (Mansi, l.c., p. 582).
c) Alla fine della XVI sessione, il Sinodo proclamò: "A Sergio eretico anatema, a Ciro eretico anatema, a Onorio eretico anatema, a Pirro eretico anatema" (Mansi, l.c., p. 622).
d) Di ancora maggior peso sono i fatti avvenuti nella XVIII e ultima sessione (16 settembre 681). Nel decreto di fede che fu allor promulgato, e che costituisce il principale documento del Sinodo, leggiamo: "Ma poiché colui il padre della malizia si trovò una serpe per collaboratore, e per mezzo di questi portò morte velenosa all'umana natura, e così volse alla propria volontà i suoi organi, intendiamo Teodoro che fu episcopo di Farana, Sergio, e pure Onorio, che fu papa dell'Antica Roma, Ciro, che fu Papa di Alessandria, etc..., non mancò per mezzo loro di suscitare gli scandali dell'errore nella pienezza della Chiesa, disseminando l'eresia" (Mansi, l.c., p. 635).
e) Dopoché tutti i Padri Conciliari, e i tre legati pontifici, ebbero sottoscritto questo decreto di fede, il Sinodo acclamò: "Tutti dunque professiamo... molti anni all'Imperatore... a Teodoro di Farana anatema, a Sergio e Onorio anatema, a Pirro e Paolo anatema... a tutti gli eretici anatema". (Mansi, l.c., p. 655).
f) Dipoi, in un memoriale consegnato all'Imperatore da tutti i presenti al Sinodo, compresi ancora i legati pontifici, il Sinodo ripeté l'anatema di Onorio: "Anatemizziamo Teodoro, Sergio... e con questi Onorio, che fu presule di Roma, nella misura in cui li seguì in questa (eresia)" (Mansi, l.c., p. 666).
Da tutto ciò consegue che il VI Concilio Ecumenico:
1) si arrogò il diritto di pronunziare una sentenzia su un Papa che parlava ex cathedra; e
2) di condannare il decreto di fede da lui pronunziato ex cathedra, e di anatemizzarlo pel fatto che avesse confermata una dottrina eretica.
Di fatto dunque fu emesso un giudizio sulla decisione dommatica del Sommo Pontefice.
TERZO QUESITO.
Invero non si troverebbe nessuno di quell'epoca che credesse che il Concilio avesse agito non giustamente o senza la competente autorità nel procedere contro Onorio, e infatti:
a) tutti i vescovi presenti al Sinodo approvarono sottoscrivendo la sentenza;
b) gli stessi leganti pontifici presenti e che presiedevano al giudizio diedero il proprio assenso, non opponendo alcunché, né contro la competenza del Concilio né contro la correttezza materiale della sentenza sinodale.
c) Tale sentenza sinodale fu confermata non solo dall'Imperatore, ma pure dal sommo Pontefice, che la ripeté con le proprie parole. Così infatti Papa Leone II (Agatone era intanto morto il 10 gennaio del 682), in un rescritto all'Imperatore dice: "Parimenti anatemizziamo gl'ideatori di questo nuovo errore, cioè Teodoro di Farana, Ciro di Alessandria, Sergio, etc., nonché Onorio, che non illustrò questa chiesa apostolica con la dottrina della tradizione apostolica, ma tentò di sovvertire la fede immacolata con un profano tradimento (secondo il testo greco: permise di sovvertire, παρέχωρησε), e tutti coloro che sono caduti nel suo errore" (Mansi, l.c., p. 731).
d) Lo stesso Papa Leone II in una lettera ai vescovi di Spagna dice: "Furono multati con l'eterna condanna Teodoro, Ciro, Sergio, etc., insieme a Onorio, che non spense la fiamma del dogma eretico che principiava ad ardere, come sarebbe convenuto all'autorità apostolica, ma con la sua negligenza la attizzò (Mansi, l.c., p. 1052).
e) Similmente scrisse al Re delle Spagne Ervigo: "Furono condannati... e insieme a loro Onorio di Roma, che lasciò che fosse macchiata l'immacolata regola della tradizione apostolica" (Mansi, l.c., p. 1057). Papa Leone II toccò con esattezza la materia scrivendo: "la attizzò con la sua negligenza" e "lasciò che fosse macchiata". Si rendeva infatti conto dalla I lettera di Onorio che a lui era stata presentata davanti agli occhj la retta dottrina sulla persona di Cristo, cioè la dottrina Calcedonese, ed egli tuttavia avea concluso che fosse falsa, e anche qualora non avesse un sentimento eretico nel cuore, purtuttavia fattivamente egli condannò un termine specificatamente ortodosso (δύο ἐνέργειαι), e approvò un termine specificatamente eretico (ἕν θέλημα). Onorio non fece ciò mosso da una cattiva volontà, ma per negligenza, e così permise e consentì che fosse macchiata la dottrina. Perciò Papa Leone II riconobbe la condanna conferita dal Sinodo ecumenico ad Onorio come dotata di giusti motivi; né gli venne in mente di mettere in dubbio la competenza del Concilio.
f) L'anatema rivolto ad Onorio fu ripetuto continuativamente dai Concili Ecumenici VII e VIII, a entrambi i quali erano presenti i legati pontifici; pure Papa Adriano II (867-872) riconobbe come giusta tale condanna, poiché Onorio "era stato accusato di eresia, pel qual solo fatto fu lecito resistere alle sue azioni". Dacché a tutti è noto che pure nel medioevo, quando il potere papale era al massimo del suo fiorire, era dottrina universale della Chiesa che il papa a causa dell'eresia, ma anche pel solo motivo dell'eresia, potesse essere deposto, la qual dottrina è entrata pure nel Corpus juris canonici (*).
g) Nel Liber diurnus, cioè nel formulario della Curia Romana (dal V all'XI secolo) si ritrova un'antica formula di giuramento pontificio, senza dubbio ordinata da Gregorio II (all'inizio del secolo VIII), con la quale qualsiasi Pontefice, prima di ricevere l'incarico, era tenuto a giurare di riconoscere il VI Concilio Ecumenico, che condannò all'anatema sempiterno gli autori della nuova eresia (il Monotelismo), cioè Sergio, Pirro, etc., con Onorio, "poiché diede fomento alle asserzioni degli eretici" (Liber diurnus, ed. Eugène de Rozière, Paris 1869, n. 84).
Da ciò consegue che fino al secolo XI ogni Pontefice che desiderava l'incarico dovea affermare con giuramento:
A) Che il Concilio Ecumenico possa giudicare un Papa almeno per eresia;
B) Che Onorio fu a buon diritto condannato dal VI Concilio Ecumenico, poiché col suo editto di fede approvò l'eresia.
(*) NOTA DELL'AUTORE: Dicono taluni che si posa agire contro un papa per eresia soltanto come uomo privato; ma se questo accadesse, secondo il caso in cui un papa cada in eresia, perché non potrebbe accadergli di pronunziare pure ex cathedra l'eresia che accoglie nel cuore, talché dovrebbe tenersi per certo come dottrina cattolica? E in ciò non si deve presumere in lui una cattiva volontà!
Nessun commento:
Posta un commento