I sermoni di san Leone "sul digiuno del decimo mese" sottolineano i riferimenti agricoli di questo digiuno. Questo riferimento appare ancora nei formulari del leoniano, ma in essi è accompagnato già da un'allusione alla prossima venuta di Cristo. Benché qualche orazione sia stata ritoccata a questo scopo, i formulari gelasiani non sono ancora sistematicamente conformati al nuovo tempo dell'avvento. La cosa è compiuta nella nuova scelta di orazioni che appare con il gregoriano e che è riprodotta nel messale romano. L'assimilazione è totale per le letture e i canti, tutti fissati già nei più antichi documenti.
Le letture delle Messe sono tolte da Isaia. Alle sette pericopi che si leggono ancora, si aggiungeva una volta Is. 42, 1-9 che è stato poi sostituito da Dan. 3. L'epistola del sabato (II Tess., 2, 1-8), che tratta della parusia non è stata scelta forse per questo motivo, ma per il versetto 8 che cita Is. 11, 4.
Come le letture di Isaia, anche i Vangeli si riferiscono alla venuta di Cristo nella carne.
Alcune parti in canto sono tolte dalle letture di Isaia oppure da Zaccaria. Le altre sono tolte dal salterio. Accanto ad estratti isolati dei Sal 23,118 e 144, alcuni salmi sono stati usati sistematicamente per le loro allusioni alla venuta di Dio, e la parte comune di questi estratti indica il passo sul quale è messo l'accento. Il Sal 18, salmo d'introito del mercoledì, ha fornito tre antifone al sabato (parte comune, il versetto 7a). Il Sal 84 ha dato due antifone al venerdì (parte comune, il versetto 8). Il Sal 79, salmo d'introito del sabato, ha dato a questo giorno quattro antifone (parte comune, il versetto 3).
Particolarmente nota è la liturgia del mercoledì di queste Tempora: nel Mattutino la Chiesa non legge nulla del profeta Isaia, come aveva invece fatto per tutto il resto del tempo di Avvento; si contenta di ricordare il passo del Vangelo di san Luca nel quale è narrata l'Annunciazione della Santa Vergine, e legge quindi un frammento del Commento di sant'Ambrogio su questo stesso passo. La scelta di questo Vangelo, che è lo stesso della Messa, secondo la usanza di tutto l'anno, ha dato una particolare celebrità al Mercoledì della terza settimana di Avvento. Si può vedere, da antichi Ordinari in uso presso parecchie e insigni Chiese, tanto Cattedrali che Abbaziali, come si trasferissero le feste che cadevano in questo Mercoledì; come non si dicessero in tale giorno in ginocchio le preghiere feriali; come il Vangelo
Missus est, cioè quello dell'Annunciazione, fosse cantato nel Mattutino dal Celebrante rivestito d'una cappa bianca, con la croce, i ceri e l'incenso, e al suono della campana maggiore; e come, nelle Abbazie, l'Abate dovesse tenere una omelia ai monaci, allo stesso modo che nelle feste solenni.
Proprio grazie a questa usanza, siamo in possesso di quegli splendidi trattati omiletici che sono i Sermoni
supra "Missus est" di S. Bernardo abate di Chiaravalle, di cui riportiamo il primo.
SERMONI SOPRA L'EVANGELO "MISSUS EST"
del Mellifluo Dottore e ultimo de' Padri, S. Bernardo, Abate di Chiaravalle
SERMONE I
1. Perché mai l’Evangelista ha voluto indicare tante cose con il loro nome in
questo passo? Credo che l’abbia fatto perché noi non trascurassimo nulla di
quanto egli con tanta diligenza si è studiato di raccontare. Nomina infatti il
Nunzio che viene inviato e il Signore da cui fu mandato, la Vergine alla quale è
mandato, e anche lo Sposo della Vergine, la discendenza di entrambi, la loro
città e la loro regione. E questo perché? Pensi forse che siano indicazioni
superflue? No, certamente. Se infatti non cade una foglia senza una ragione, né
cade sulla terra un passero all’insaputa del Padre celeste, potrei io forse pensare
che dalla bocca del santo Evangelista sia uscita una parola superflua,
specialmente nel racconto della storia sacra del Verbo (incarnato)? Non lo
penso. Tutte quelle parole infatti sono piene di profondi misteri e spandono una
celeste soavità, a condizione che uno le mediti con diligenza e sappia succhiare
il miele dalla roccia (Dt 32, 13). In verità, in quel giorno i monti hanno stillato
dolcezza, e i colli fecero scorrere latte e miele (G13, 18; Es 3, 8) quando dall’alto
dei cieli stillava la rugiada e le nubi piovevano il giusto e la terra si apriva,
germogliando con letizia il Salvatore (Is 45, 8; 35, 2); quando, manifestando il
Signore la sua benignità, e dando la nostra terra il suo frutto, su quel monte
eccelso, pingue e ferace, la misericordia e la verità si incontrarono, la giustizia e
la pace si baciarono (Sal 84, 13. 11; 67, 16). Pure in quel tempo, questo beato
Evangelista, uno, e non piccolo, tra gli altri monti, con il mellifluo linguaggio ci
ha descritto il desiderato inizio della nostra salvezza e, quasi investito dal vento
caldo (austro) e dai raggi del Sole di giustizia, ormai vicino a nascere ha sparso
il profumo di celesti aromi. Si degni ancora Dio di mandarci la sua parola e
spanda anche per noi; faccia soffiare il suo spirito, e ci renda intelligibili le
parole del Vangelo: siano esse al nostro cuore più desiderabili che l’oro e le
pietre molto preziose, e ci diventino anche più dolci che un favo di miele.
2. Dice dunque: L’Angelo Gabriele fu mandato da Dio (Lc 1, 26). Non penso che
questo Angelo sia di quelli inferiori, di quelli che sogliono di frequente portare
annunzi dal cielo alla terra; ciò si deduce chiaramente dal suo stesso nome che
significa Fortezza di Dio, e dal fatto che egli non viene mandato da un altro
Angelo a lui superiore, ma viene detto mandato da Dio stesso. Perciò
l’Evangelista ha precisato: Fu mandato da Dio; ovvero ha detto: Da Dio perché
non si pensasse che Dio aveva rivelato il suo disegno a qualcuno degli spiriti
beati, prima che alla Vergine, fatta eccezione per l’arcangelo Gabriele che tanto
eccelleva tra i suoi compagni da apparire degno del suo nome, e degno di
portare tale messaggio. Del resto al messaggio si adattava il suo nome. A chi
infatti meglio conveniva annunziare Cristo, che è la virtù di Dio, se non a lui, il
cui nome significava la stessa cosa? Forza di Dio è infatti lo stesso che virtù di
Dio. Né disdice o è sconveniente chiamare con lo stesso nome il Signore e il suo
messaggero, sebbene il medesimo nome sia attribuito per diversa ragione
all’uno e all’altro. Cristo difatti è chiamato fortezza o virtù di Dio in senso
diverso dall’Angelo: questi è detto virtù di Dio solo per partecipazione Cristo
invece è tale per essenza, ed è lui che, più forte di quel forte armato che era
solito custodire indisturbato la sua casa, venne a debellarlo con la sua potenza e
così gli strappò la preda che teneva in suo potere. L’Angelo invece è stato
chiamato fortezza di Dio, o perché ha meritato il privilegio di annunziare la
venuta di questa Virtù di Dio, o per il fatto che doveva confortare la Vergine,
per natura timorosa, semplice e vereconda perché non si spaventasse per la
novità del miracolo; ciò che egli fece. «Non temere, o Maria, disse, hai trovato grazia
presso Dio» (Lc 1, 30). Si può anche ragionevolmente credere che sia lo stesso
Angelo, anche se l’Evangelista non lo nomina, che ha confortato lo sposo di
Maria, anche lui uomo umile e timorato. Giuseppe, gli dice, figlio di Davide, non
temere di prendere con te Maria tua sposa (Mt 1, 20). È pertanto conveniente che a
Gabriele sia affidato questo compito; anzi appunto perché gli è imposto tale
ufficio gli sta bene il nome con cui è chiamato.
3. Fu dunque mandato da Dio l’Angelo Gabriele (Lc 1, 26). Dove? In una città della
Galilea chiamata Nazaret. Vediamo se da Nazaret, come dirà Natanaele (Gv 1, 46),
può venire qualcosa di buono. Nazaret significa fiore. A me sembra che le
parole e le promesse fatte da Dio ai Padri, Abramo cioè, Isacco e Giacobbe siano
state come un seme della rivelazione divina gettato dal cielo sulla terra, del
quale seme è scritto: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un seme,
saremmo diventati come Sodoma e simili a Gomorra (Is 1, 9). Questo seme fiorì nelle
meraviglie operate da Dio quando Israele uscì dall’Egitto, nelle figure e simboli
misteriosi che lo accompagnarono durante tutto il viaggio per il deserto fino
alla terra promessa, e in seguito nelle visioni e nei vaticini dei Profeti e nell’
ordinamento del regno e del sacerdozio fino all’ avvento di Cristo. Non a torto
Cristo è considerato come frutto di questo seme e di questi fiori, secondo le
parole di Davide: Il Signore elargirà il suo bene, e la nostra terra darà il suo frutto
(Sal 84, 13); e ancora: Un frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Sal 131, 11).
In Nazaret dunque viene annunziata la nascita di Cristo, perché nel fiore c’è la
speranza del frutto. Ma, spuntato il frutto, il fiore cadde, perché apparendo la
verità nella carne, la figura scomparve. Perciò è detto che Nazaret è una città
della Galilea, cioè una città di passaggio, perché alla nascita di Cristo sono
passate tutte quelle cose che ho detto sopra, le quali, come dice l’Apostolo
«erano accadute loro come figure» (1 Cor 10, 11). Anche noi, che ormai possediamo
il frutto, vediamo che quei fiori sono caduti; e mentre ancora si vedevano
fiorire, si prevedeva che sarebbero passati. Per questo dice Davide: come l’erba
che germoglia al mattino, che al mattino fiorisce e germoglia, e alla sera è falciata e
dissecca (Sal 89, 6). Alla sera, cioè quando venne la pienezza dei tempi, in cui
Dio mandò il suo Unigenito, fatto da donna, fatto sotto la legge, secondo ciò che
ha detto: Ecco,faccio nuove tutte le cose (Ap 21, 5), le cose vecchie passarono e
scomparvero, a quel modo che, appena il frutto comincia a crescere, i fiori
cadono e inaridiscono. Per cui è ancora scritto: Seccò l’erba, e cadde il fiore; ma la
Parola del Signore rimane per sempre (Is 40, 8).
4. Cristo pertanto è il buon frutto che rimane in eterno. Ma dov’è l’erba che è
seccata? Risponda il Profeta: Ogni carne èfzeno (erba), e tutta la sua gloria è come
ilfiore dell’erba (Is 40, 6). Se ogni carne è erba, dunque fu erba quel popolo
carnale dei Giudei. Non è forse seccata l’erba, mentre quel popolo, vuoto di
ogni contenuto spirituale, si contentò dell’arida lettera? Se non è caduto il fiore,
dov’è dunque il regno, dove il sacerdozio, dove sono i Profeti, il tempio, dove
infine quelle meraviglie di cui soleva gloriarsi dicendo: « Quanto abbiamo udito e
conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato (Sal 77, 3). E ancora: le cose che ha
comandato ai nostri padri di far conoscere ai loro figli (ivi 5)? Questo per spiegare
perché sia stato detto:...a Nazaret, città della Galilea.
5. In questa città fu dunque mandato da Dio l’Angelo Gabriele. A chi fu
mandato? Ad una Vergine sposa di un uomo di nome Giuseppe (Lc 1, 27). Chi è
questa Vergine così venerabile da essere salutata da un Angelo, e così umile da
essere sposa di un falegname? Bel connubio della verginità con l’umiltà; molto
piace a Dio quell’anima in cui l’umiltà dà pregio alla verginità, e la verginità
adorna l’umiltà. Ma di quanta venerazione pensi che sia degna colei nella quale
l’umiltà è esaltata dalla fecondità, e la maternità consacra la verginità? La senti
proclamare vergine, la senti umile; se non puoi imitare la verginità dell’umile,
imita l’umiltà della vergine. È virtù lodevole la verginità, ma è più necessaria
l’umiltà. La prima è consigliata, l’altra è comandata. Alla prima sei invitato, alla
seconda sei obbligato. Della verginità è detto: Chi può comprendere, comprenda»
(Mt 19, 12); dell’umiltà è detto: Se non diventerete come questo bambino non
entrerete nel regno dei cieli (Mt 18, 3); alla prima è promessa una ricompensa, la
seconda è di stretta necessità. Insomma, puoi salvarti senza verginità; senza
umiltà non lo puoi. Può, dico, piacere l’umiltà che rimpiange la verginità
perduta; ma senza umiltà oso dire che neppure la verginità di Maria sarebbe
stata gradita a Dio: Su chi, dice, si poserà il mio Spirito, se non sull’umile e compunto
di cuore? (Is 66, 2). Sull’umile, ha detto, non sul vergine. Se dunque Maria non
fosse stata umile, non sarebbe disceso in lei lo Spirito Santo. E se non fosse
disceso in lei lo Spirito Santo, neppure avrebbe concepito per opera di Lui.
Come infatti avrebbe concepito da Lui senza di Lui? È dunque chiaro che,
perché essa concepisse per opera dello Spirito Santo, Dio, come essa confessa, ha
riguardato l’umiltà della sua serva (Lc 1, 48), piuttosto che la sua verginità, concepì
però per la sua umiltà. Anzi, è chiaro anche che se la verginità piacque,
certamente fu in vista della sua umiltà.
6. Che ne dici tu che ti insuperbisci della tua verginità? Maria, dimentica di sé,
si gloria della sua umiltà; e tu, trascurando l’umiltà ti vanti della tua verginità?
Dio, dice Maria, ha guardato l’umiltà della sua serva. E chi è questa serva? Una
vergine santa, sobria, devota. Sei forse tu più casto di lei? più devoto? O forse la
tua pudicizia è più gradita della castità di Maria, di modo che per renderti
accetto a Dio senza umiltà ti basti la tua, mentre a Maria non bastò la sua?
Infine, quanto più sei degno di onore per il singolare dono della castità, tanto
maggior danno fai a te stesso per il fatto che ne deturpi lo splendore
mescolandola con la superbia. Al punto che ti converrebbe piuttosto non essere
vergine che insolentire a causa della tua verginità. Non è di tutti la verginità;
molto di meno sono quelli che con essa hanno l’umiltà. Se dunque non puoi se
non ammirare la verginità in Maria, studiati di imitarne l’umiltà, e per te è
sufficiente. Che se sei anche vergine, e sei anche umile, chiunque tu sia, sei
davvero grande.
7. Ma c’è ancora una cosa da ammirare in Maria, la verginità unita alla
fecondità. Non si è mai sentito dire che una donna fosse insieme madre e
vergine. Oh, se riflettessi anche di chi è madre, fin dove salirebbe la tua
ammirazione per la sua grandezza? Non ne concluderesti che la tua
ammirazione non potrà mai essere adeguata? Non la giudicherai forse, anzi la
Verità stessa non la giudicherà degna di essere esaltata al di sopra degli stessi
cori Angelici, lei che ha avuto Dio per figlio? Non osa forse Maria chiamare
figlio colui che è Dio, e Signore degli Angeli? Dice infatti: Figlio, perché ci haifatto
così? (Lc 2, 48) Quale degli Angeli oserebbe fare questo? È sufficiente per essi, e
lo considerano già un grande onore, il fatto che, essendo spiriti per natura, li
abbia Dio gratificati col farli e chiamarli Angeli, come dice Davide: Fa degli
Spiriti i suoi Angeli (Sal 103, 4). Invece Maria, riconoscendosi Madre, chiama con
fiducia figlio suo quella Maestà a cui gli Angeli servono. Né Dio disdegnò di
essere chiamato quello che si degnò di farsi. Infatti poco appresso soggiunge
l’Evangelista: Ed era sottomesso a loro (Lc 2, 51). Chi? A chi? Dio agli uomini: Dio,
dico, al quale stanno sottomessi gli Angeli, al quale obbediscono i Principati e le
Potestà, era sottomesso a Maria; e non solo a Maria, ma per Maria anche a
Giuseppe. Ammira dunque l’una e l’altra cosa, e vedi tu cosa sia più degna di
stupore, o la benignissima degnazione del Figlio, o l’eccellentissima dignità
della Madre. Doppio motivo di meraviglia, doppio miracolo, e che Dio si faccia
obbediente a una donna, umiltà senza esempio, e che una donna comandi a
Dio, eccellenza senza uguale. A lode delle vergini si canta come di un loro
privilegio che seguono l’agnello ovunque vada (Ap 14, 4). Di quali lodi sarà
pertanto degna colei che anche gli va innanzi?
8. Impara, uomo, ad obbedire; impara, terra, a sottometterti; impara o polvere a
ottemperare. Parlando del tuo Creatore l’Evangelista dice: Ed era loro sottomesso
(Lc 2, 51) , a Maria cioè e a Giuseppe. Arrossisci, superba cenere! Dio si umilia, e
tu ti esalti? Dio si sottomette agli uomini, e tu, bramoso di dominarli, ti metti
avanti al tuo Creatore? Dio volesse che, quando penso tali cose, Egli si degnasse
di rispondermi come quando sgridò l’Apostolo Pietro: Vattene da me, Satana,
perché non pensi secondo Dio (Mt 16, 23). Perché tutte le volte che desidero di
comandare agli uomini, mi sforzo di precedere il mio Dio, e allora veramente
non penso secondo Dio. Di lui è detto infatti: Era loro sottomesso. Se non
disdegni, o uomo, di imitare l’esempio di un uomo, certamente non sarà cosa
indegna dite seguire il tuo Creatore. Forse non potrai seguirlo dovunque vada:
accetta per lo meno di seguirlo mentre Egli scende a te. Cioè, se non puoi
praticare la via sublime della verginità, segui Dio almeno per la via sicurissima
dell’umiltà. Anche le vergini, se dovessero deviare da questa via retta, neppure
esse, a dir vero, seguirebbero l’Agnello dovunque va. Segue l’Agnello colui che
è umile, ma è impuro, lo segue chi è vergine, ma superbo, ma nessuno dei due
può dire di seguirlo dovunque va, perché il primo non può seguire nel suo
candore l’Agnello senza macchia, né il secondo si degna di scendere alla
mansuetudine del medesimo Agnello che restò muto non solo davanti ai
tosatori, ma ai suoi uccisori. Tuttavia sceglie la via più salutare il peccatore che
segue Cristo nell’umiltà, che non chi si insuperbisce per la verginità, perché
quello è purificato dalla sua immondezza mediante l’umiltà, mentre alla
pudicizia di questo porta pregiudizio la sua superbia.
9. Ma felice Maria, cui non mancò né l’umiltà, né la verginità. E una verginità
singolare, a cui la maternità non portò offesa, ma onore; e pure una umiltà
speciale che non fu tolta, ma elevata dalla verginità feconda; una fecondità del
tutto incomparabile, accompagnata dalla verginità e dall’umiltà. Quale di tutte
queste cose non è meravigliosa? Quale non incomparabile? Quale non
singolare? Farebbe meravigliare se tu non esitassi nell’esprimere il tuo pensiero,
se cioè stimi più degna di ammirazione la stupenda fecondità in una vergine, o
l’integrità in una madre, o la sublimità della Prole, o l’umiltà in una persona
così eccelsa. Ma senza dubbio alle singole qualità è da preferirsi l’insieme di
tutte, ed è incomparabilmente più bello e più felice il considerarle tutte riunite
nella medesima persona di Maria. E quale meraviglia se Dio, che si legge e si
vede ammirabile nei suoi Santi, si è dimostrato più ammirabile nella sua
Madre?
Venerate dunque, o coniugi, l’integrità in una carne corruttibile; ammirate
anche voi, sacre vergini, la fecondità nella vergine; imitate, uomini tutti, l’umiltà
della Madre di Dio. Onorate, Angeli santi, la Madre del vostro Re, voi che
adorate la Prole della nostra Vergine, che è nostro e vostro Re, riparatore del
nostro genere umano, restauratore della vostra città. A Lui, così sublime tra di
voi, fattosi così umile tra noi, salga da voi e da noi la riverenza dovuta alla sua
dignità e l’onore e la gloria dovuti dalla sua degnazione nei secoli dei secoli.
Amen.