domenica 3 dicembre 2017

Dominica I Adventus

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confíde, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.
Glória Patri. Sicut erat.
Ad te levávi ánimam meam...

A te ho innalzato l'anima mia, mio Dio, in te confido, non arrossirò: e non prevarranno su di me i miei nemici: e infatti tutti quelli che ti aspettano non saranno confusi.
Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi cammini.
Gloria al Padre. Come era.
A te ho innalzato l'anima mia...

(Antiphona ad introitum)

Con questa domenica la Chiesa entra in un nuovo anno liturgico, e contemporaneamente inizia il tempo dell'Avvento, un periodo di penitenza, di conversione, di vigilanza, in preparazione alla solenne commemorazione della prima venuta di Nostro Signore sulla terra, ricordandoci pure dell'attesa della imminente seconda venuta, quando egli verrà qual giudice a giudicare i vivi e i morti. L'Avvento è un tempo che va disegnandosi a Roma attorno al VI secolo ad opera di S. Gregorio Papa (così Benedetto XIV e molti altri), riprendendo delle tradizioni precedenti diffuse in tutto l'ecumene Cristiano, raccomandazioni al digiuno e all'osservazione di una "Quaresima" in preparazione del Santo Natale, andando a fissarsi attorno al IX secolo (come testimoniano gli scritti, tra gli altri, di Amalario e S. Nicolò I Papa) come un periodo di quattro settimane di mitigata penitenza. In questo periodo, la liturgia si veste di viola, si levano i fiori dall'altare, l'organo tace, come in Quaresima; non è per verità un periodo di digiuno e astinenza, ma nondimeno è richiesta ai fedeli una certa penitenza, essendo un tempo di meditazione ed ascesi, esercizio spirituale in preparazione del Natale.

La domenica Ad te levavi (detta anche Aspiciens a longe dall'inizio del primo responsorio del Mattutino) dimostra fin dalle prime parti dell'ufficio divino il carattere di attesa che sarà proprio di tutto l'Avvento: Regem venturum Dominum, venite adoremus! è l'antifona che viene ripetuta nel cuore della notte all'inizio dell'Ufficio, durante il quale inizia la lettura continuativa, che si protrarrà per tutti i quaranta giorni, del libro del Profeta Isaia (scritto probabilmente attorno al VIII secolo a.C.), il quale predisse con estrema precisione i caratteri del Messia. Tutte le antifone a tutte le ore dell'Ufficio mutano in ragione di questo tempo, riprendendo quei dolci versetti dell'Antico Testamento che descrivono l'Emmanuele veniente con potenza sulla terra.
La Stazione di oggi è a S. Maria Maggiore. È sotto gli auspici di Maria, nell'augusta Basilica che onora la Culla di Betlemme, e che perciò è chiamata negli antichi monumenti S. Maria ad Praesepe, che la Chiesa Romana ricomincia ogni anno il Ciclo sacro, volendo anche simbolicamente avvicinarsi alla Natività di Nostro Signore.

La Messa di questa prima domenica, tuttavia, a differenza dell'Ufficio che concentra tutti i suoi poetici testi sulla prima venuta, è tutta incentrata sulla seconda venuta, quella del Giudizio. E infatti è apertamente escatologica l'Epistola di S. Paolo ai Romani, che ci ricorda che è già l'ora di destarci dal sonno, imperocché la nostra salvezza (la trionfale venuta di Cristo) è più vicina rispetto a quando iniziammo a credere. Sì: assai poco manca alla venuta di Cristo, ed essa può sopravvenire da un giorno all'altro, quando meno l'uomo se l'aspetta. E San Paolo ci garantisce che essa è vicina, anche se il tempo degli uomini è certamente diverso dal tempo di Dio, e pertanto, chi ha voluto individuare una data precisa per il Giudizio, ha sempre fallato. Dunque, la notte del nostro peccato è finita attraverso l'opera redentrice di Nostro Signore sulla Croce, ed ora è sempre più vicino il giorno luminoso in cui ai giusti sarà data l'eterna beatitudine che han meritata, e ai dannati la punizione sempiterna che spetta loro. In vista di questo giorno, che potrebbe coglierci in ogni momento, quia nescimus diem neque horam qua Dominus venturus sit, S. Paolo ci esorta a gettar via da noi le opere delle tenebre, i peccati, le impurità, e a rivestirci di un'armatura di luce, di carità, di grazia. Ci esorta a camminare come alla luce del sole, non nelle empietà e nelle ubriachezze, non tra litigi e invidie, ma ci invita a rivestirci di Nostro Signore Gesù Cristo stesso, a prendere su di noi il suo dolce e soave giogo che potrà condurci alla salvezza per le nostre anime. Meravigliosamente descrive questa pericope l'atteggiamento che il Cristiano dovrà imparare durante l'Avvento, a guisa di modello per tutta la vita: è un atteggiamento di morigeratezza, di sobrietà, in cui evitare il più possibile il peccato, e anzi detestarlo, accostarsi al Sacramento della Confessione, schivare tutte le occasioni che potrebbero distrarre la nostra anima dalla ricerca dei beni celesti e dalla preparazione necessaria al giudizio implacabile che la riguarderà. Ed ecco, appunto, che tutta la liturgia delle prime due settimane di Avvento è un invito a considerare l'imminenza della seconda venuta, e ad esser pronti (estote parati! ci raccomanda Nostro Signore stesso) a ricevere questa visita terribile e gloriosa, il Dies irae. Al contempo, essa è anche un invito a discipliare il nostro animo, per poterlo disporre a godere il massimo beneficio spirituale dalle festività natalizie, rendendo il nostro cuore simile a un meraviglioso Presepe che attende che il Signore Gesù in persona venga a visitarlo la Notte di Natale.

Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis
Mostraci o Signore la tua misericordia: e donaci il tuo Salvatore.
(Graduale)

Sullo stesso tema è anche il Vangelo di questa domenica, la pericope di Luca XXI sul Giudizio Finale, la versione di Luca dello stesso lungo brano che si è letto la domenica precedente nella versione di Matteo. E dunque, poiché tutta la nostra vita tende a un'attesa del Regno e a una ricerca dei suoi tesori, la Chiesa ha voluto che lo stesso Vangelo venisse letto all'inizio e alla fine dell'Anno liturgico, ricordandoci quale sia lo scopo unico del Cristiano. E ascoltando le parole con cui Gesù descrive il giorno in cui saran scosse le potestà dei cieli, il Gueranger ci invita a pregare così in questo tempo di Avvento: "Dobbiamo dunque aspettarci di veder giungere d'improvviso la tua terribile Venuta, o Gesù! Presto tu verrai nella tua misericordia per coprire le nostre nudità, come veste di gloria e d'immortalità; ma tornerai un giorno, e con sì terrificante maestà che gli uomini saranno annientati dallo spavento. O Cristo, non perdermi in quel giorno d'incenerimento universale. Visitami prima nel tuo amore. Voglio prepararti la mia anima. Voglio che tu nasca in essa, affinché il giorno in cui le convulsioni della natura annunceranno il tuo avvicinarsi, possa levare il capo, come i tuoi fedeli discepoli che, portandoti già nel cuore, non temevano affatto la tua ira."


La Chiesa Bizantina, avendo mantenuto pressoché intatti i costumi liturgici e l'ortoprassi del IV secolo, non ha una collezione di uffici propri per il tempo di Avvento (si prosegue infatti fino a Natale la lettura del Vangelo secondo S. Luca iniziata qualche settimana prima, secondo il ciclo annuale), se non qualche riferimento al Natale nei testi degli uffici dei Santi; cionondimeno, osserva un lungo periodo di preparazione alla festa, dal 15 novembre (giorno seguente alla festa di S. Filippo secondo il Calendario greco, il che giustifica il nome popolare di "Quaresima di S. Filippo") al 24 dicembre, e dunque di 40 giorni come la Quaresima, chiamandolo appunto "Quaresima del Natale", che viene santificato anch'esso attraverso il digiuno e la penitenza. Si tratta però di un digiuno molto meno rigoroso che nella Quaresima della Pasqua (ancorché vietati carne, uova e latticini, per la maggior parte dei giorni è lecito di prendere olio, vino e pesce), giustificato dal fatto che la succitata è una venerabile istituzione apostolica, mentre la Quaresima del Natale è di istituzione monastica (la stessa motivazione fu addotta in Occidente per abbandonare, nel secolo, la pratica del digiuno dell'Avvento, al qual proposito mons. Lambertini ci ricorda come tuttavia i fedeli non siano minimamente per ciò dispensati anche dalla meditazione e da tutte quelle pratiche destinate a mettere in uno stato di preparazione alla grande festa della Nascita di Gesù Cristo).

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