sabato 31 marzo 2018

Il cero pasquale e la Santa Luce di Gerusalemme

Il cero pasquale

L’origine del cero pasquale è incerta. Alcuni la misero in rapporto con i lumi di gioia che si accendevano nella gran notte di Pasqua, in chiesa e fuori; simbolo vivo della illuminatio spirituale ricevuta dai neofiti mediante il Battesimo. Eusebio racconta, che l’imperatore Costantino ad diurnam usque lucem continuavit cereas candelas sublimissimas per totam civitatem accendentibus illis, qui ad id erat deputati. Erant autem lampades igneae totum locum ilustrantes, ita ut mysticas vigilias clara die splendidiores redderent. E’ curioso a questo proposito quanto racconta lo stesso Eusebio, di Narciso, vescovo di Gerusalemme (intorno al 200), il quale, avendo troppo tardi avvertito che, nella notte di Pasqua, i ministri non avevano preparato olio sufficiente per alimentare le numerose lampade della Chiesa, per cui i fedeli erano costernati, fattele riempire d’acqua, questa, prodigiosamente, si tramutò in olio.

Altri, invece, con maggior fondamento, derivano l’origine del Cero dal Lucernarium (λυχνικὸν), l’Ufficio vespertino con cui, fin dalla più remota antichità, si iniziava in quasi tutte le Chiese la vigilia della domenica e quella solennissima della Pasqua; e nella quale si offriva e si consacrava a Cristo, splendore del Padre e luce indefettibile, il lume (lucerna) destinato a diradare le tenebre della notte.

Egeria, ad esempio, descrivendo l’ufficio serale nell’Anastasi di Gerusalemme, ricorda il lume che si traeva dall’interno della cappella del S. Sepolcro da una lampada che vi ardeva di continuo, e con cui incenduntur omnes candelae et cerei et fit lumen infinitum. Si può ben presumere che quanto si faceva ogni sera, venisse tanto più ripetuto all’inizio della solenne veglia pasquale. E’ appunto quanto ci riferisce un Ordo di Gerusalemme del V sec.: Vespere sabbathi cereus in sancta Anastasi accenditur. Episcopus primo ps. 112 recitat; deinde tres cereos accendit; post eum diaconi et universus denique coetus fidelium. Post haec ecclesiam repetitur ad vigiliam paschalem incipiendam. Si rende con ciò sufficientemente spiegato come mai il diacono, il quale era incaricato del servizio di illuminazione della chiesa, venisse ad assumere l’alto compito di benedire il Cero alla presenza del vescovo e del presbiterio. A lui infatti spettava preparare il formulario relativo, secondo uno schema tradizionale ben conosciuto, o, qualora se ne sentisse incapace, procurarsi da persone competenti un testo degno di figurar bene in una sì solenne circostanza.

Questo ad ogni modo è certo, che la benedizione del Cero nella notte di Pasqua, di probabile provenienza orientale, rimonta assai addietro nella storia liturgica, non dopo certamente la seconda metà del IV secolo. Abbiamo una lettera di san Girolamo, scritta nel 384 a un certo Presidio, diacono di Piacenza, che gli aveva chiesto un carmen cerei, nella quale il santo dottore, pur dandogli con qualche ironia un rifiuto, lascia comprendere che tale usanza non era nuova, né propria della sola chiesa di Piacenza. S. Agostino ricorda di aver composto alcuni versi in laude quidam cerei, e s. Ambrogio, secondo le ricerche del Mercati, sembra essere autore di un Praeconium paschale in versi contenuto nell’Antifonario di Bangor e di quello ancora in uso presso il rito ambrosiano. Inoltre dal concilio IV di Toledo (633) si rileva che a quell’epoca erano scarse le chiese in Occidente le quali non avessero ancora introdotto il rito della benedizione della lucerna e del cereus in pervigiliis Paschae.

Fra queste era Roma. S. Gregorio M., in una lettera del 601 all’arcivescovo Mariniano di Ravenna, menziona la consacrazione del Cero pasquale come un rito particolare di quella città: a vigiliis quoque temperandum (Mariniano era infermo) et preces quae super cereum in Ravennate civitate dici solent, vel expositiones Evangelii, quae circa paschale solemnitate a sacerdotibus fiunt, per alium dicantur. Perciò nonostante che il Liber Pontificalis attribuisca a papa Zosimo (c. 417) d’aver concesso ai diaconi delle chiese suburbicarie (parreciae) licenza di benedire il Cero (e la notizia non è del tutto sicura), in realtà il rito non fu introdotto propriamente parlando, nell’uso locale di Roma prima del sec. VIII.

Il sacramentario gelasiano è il primo a darcene notizia con una formula di benedizione, inquadrata in un rituale semplicissimo. Verso l’ora ottava del sabato santo, l’arcidiacono, alla presenza di tutti i ministri sacri e del clero, si presenta all’altare con il Cero, e, fatta su questo una croce, lo accende con la fiamma d’una candela desunta da tre lampade accese il giovedì santo e tenute nascoste, giacché nella parasceve tutto doveva essere tenebra e squallore; in seguito lo benedice con solenne Preconio pasquale e il rito ha fine.

Senonché, dopo la riforma liturgica carolingia, che introdusse elementi gallicani e germanici con le conseguenti elaborazioni rituali del sec. X-XI, la cerimonia iniziale di questo giorni ne risultò confusa e restò tale ancora nelle rubriche sanzionate dal Messale di Pio V.

Un più logico assetto rituale era presentato da un Ordo dell’alta Italia, che rimonta alla fine del sec. X. Il diacono, innanzitutto, accende il Cero con una fiamma ricavata dal nuovo fuoco, poi lo segna con la croce, quindi lo addita ai fedeli, salutandolo tre volte Lumen Christi; da ultimo ne fa con il canto dell’ Exultet la solenne oblazione a Dio.

Da Mario Righetti, Storia liturgica, vol. II


Il miracolo della Santa Luce a Gerusalemme

Ogni Sabato Santo (Sabato della Santa e Grande Settimana) a mezzogiorno nella chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme si rinnova il grande miracolo della Luce Santa che si accende spontaneamente, interessando, gioendo e infondendo esultanza e fede in coloro che hanno l'onore e la benedizione d'essere presenti per la cerimonia nella quale essa appare.

La mattina del Sabato Santo, prima che avvenga la cerimonia della Luce Santa, ha luogo un controllo scrupoloso e completo della tomba terminato il quale essa viene sigillata con una mistura di miele e cera preparata lungo il mattino. Tale controllo avviene per escludere categoricamente la presenza di qualche oggetto nel Santo Sepolcro in grado di causare del fuoco. Dopo che la tomba viene sigillata, le autorità vi fanno aderire la cera con dei sigilli.

La cerimonia della Santa Luce avviene alle ore 12 ed è costituita da tre fasi:

a) Il canto della Litania d'Intercessione;
b) L'entrata del Patriarca di Gerusalemme nel Santo Sepolcro;
c) Le invocazioni del Patriarca affinché appaia la Luce Santa.

Seguendo la tradizione, a mezzogiorno del Sabato Santo, il Patriarca Greco-Ortodosso accompagnato dal suo seguito (archipresbiteri, presbiteri e diaconi) e dal Patriarca Armeno entra nel Santo Sepolcro mentre le campane suonano a lutto. Prima che il Patriarca entri nel Tempio, il custode della Sacrestia del Santo Tempio ne fa uscire la lampada che arde perennemente. In questo giorno la lampada che arde perennemente viene estromessa per accendere le candele solo con la Luce Santa. Provenendo dall'interno del Tempio dell'Apostolo Giacomo, il Patriarca entra nel santuario e siede sul suo trono patriarcale. Quindi i rappresentanti di Armeni, Arabi, Copti e altri, passando dinnanzi al Patriarca, lo salutano baciandogli la mano in modo d'aver diritto a ricevere la Luce Santa. Secondo le consuetudini, infatti, se essi non ossequiano il Patriarca Ortodosso, non hanno diritto a ricevere la Santa Luce dalle sue mani. Immediatamente dopo, inizia la Santa Litania d'intercessione che viene cantata per tre volte attorno al Santo Sepolcro e termina davanti ad esso. Da questo momento, gli officianti si levano in piedi.

Dopo la Litania, il Santo Sepolcro viene dissigillato, il Patriarca smette i suoi paramenti pontificali e rimane solo con la tunica bianca. Il Governatore di Gerusalemme e l'Ispettore di Polizia esaminano il Patriarca davanti a tutti in modo da assicurare i presenti che egli non abbia qualsiasi oggetto atto a trasmettere fuoco. Dopo questo controllo, Sua Beatitudine, il Patriarca di Gerusalemme prende delle torce spente ed entra nel Santo Ciborio con i dignitari Armeni. Ogni lampada è spenta e non vi è nulla di acceso nel Santo Tempio e nel Santo Sepolcro.

All'interno del Santo Sepolcro il Patriarca prega inginocchiato chiedendo a Nostro Signore Gesù Cristo di trasmettere la sua Luce Santa come dono che santifichi le persone. Al momento in cui egli prega c'è un assoluto silenzio fintanto che non si avverte un sibilìo accompagnato quasi simultaneamente da lampi blu e bianchi di Luce Santa che invadono tutto il luogo, come se milioni di flash fotografici lampeggiassero tutto attorno illuminando le pareti circostanti. Allora le lampade s'illuminano miracolosamente. Contemporaneamente, all'interno del Santo Sepolcro, le torce tenute dal Patriarca, che continua a pregare, s'accendono spontaneamente con la Santa Luce. La folla scoppia in forti acclamazioni mentre lacrime di gioia e di fede cadono dagli occhi dei presenti.
Per diversi minuti la Santa Luce non ha le caratteristiche del fuoco. Questo succede per il tempo in cui il Patriarca esce dal Santo Sepolcro e dona la Luce al popolo. Chiunque può toccare il fuoco delle 33 candele e non viene scottato. Dopo 33 minuti la fiamma torna ad avere caratteristiche normali.

Solo il Patriarca Greco-Ortodosso ha il privilegio, l'onore e la possibilità di fare questa cerimonia. Nel corso del tempo sono stati fatti dei tentativi da altri ma il miracolo non si è mai realizzato. Ad esempio nel 1549, secondo le cronache storiche, gli Armeni corruppero il sultano Mourat per ottenere il permesso di recarsi nella Chiesa del Santo Sepolcro per presenziare la cerimonia. Immediatamente il sultano glielo concesse. Gli Armeni, entrando nel Tempio, ne estromessero i Greci. Il Patriarca greco fu pieno di tristezza quando vide gli Armeni raccolti nella chiesa e pregò fuori all'entrata, accanto alle colonne della porta. Improvvisamente, la colonna centrale si squarciò con una profonda fenditura e da essa si emanò la luce propagandosi lungo la via e dando fuoco alle torce del Patriarca. Nel frattempo, l'Emiro di Agarino dal minareto dirigeva il suo sguardo verso la strada. Quando vide questi eventi gridò: "La fede dei Cristiani è grande! Il vero Dio è solo Uno, il Dio dei Cristiani! Credo a Cristo risuscitato dai morti. Mi inginocchio a Lui come mio Dio!". Dopo di ciò cadde dal minareto e ne rimase incolume. I musulmani lo catturarono e lo decapitarono. La sua reliquia è tenuta fino a quest'oggi nel Monastero della Grande Vergine di Gerusalemme.

La Luce Santa simboleggia in modo miracoloso la Risurrezione di Cristo. È un miracoloso dono del Cielo che si è sempre ripetuto da secoli, un dono della Luce del mondo che è Cristo. La scienza non può spiegare questo grande miracolo e, in questo tempo di trionfo scientifico, non è stata tentata neppure una spiegazione teorica. D'altronde come può essere spiegato un autentico miracolo?

Testimonianza di un pellegrino (da internet)

Breve documentario sul miracolo della Santa Luce

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