sabato 30 giugno 2018

La seconda Messa della festa dei Ss. Pietro e Paolo giusta l'uso antico dell'Urbe

Pubblichiamo di seguito l'analisi che il Card. Schuster fa della seconda Messa del dì natale dei Santi Apostoli giusta l'antico uso romano, che poi è divenuta la Messa odierna del secondo giorno infra l'ottava, tramandata nel Tridentino sotto il nome di Commemorazione di San Paolo Apostolo.

Per l'introduzione storica, si veda il post precedente.




Alla seconda Messa.
Stazione a san Paolo.

«Quando Apostolicus duas missas celebrat una die, in eas non lavat os, nisi post officium: sed, absque intervallo, finita priore, incipitur altera». Così oggi il Sacramentario Gregoriano; la qual rubrica ci è stata già spiegata da Prudenzio quando, dopo descritta la messa dell'aurora a san Pietro, narra del Pontefice che a grandi passi s'affretta a guadagnare la basilica di san Paolo, per ripetervi l'istesso rito: «Mox huc recurrit duplicatque vota».
Questa seconda stazione il dì 29 giugno, attestataci dalle più antiche fonti liturgiche romane, dovè mantenersi in onore fin verso i tempi d'Adriano I. Fu solo nel secolo VIII, che al classico concetto della Roma Papale, la quale nella predicazione dei Santi Apostoli Pietro e Paolo vedeva un unico inizio della Chiesa Romana, un unico fondamento del suo spirituale edificio, due occhi in un corpo, due chiavi di salute, quella cioè dell'autorità gerarchica affidata a Pietro e quella del Magistero fra le genti concessa a Paolo, prevalse un altro criterio pratico di comodità. Trasferendo la stazione sulla via Ostiense al giorno seguente, la festa sarebbe riuscita men faticosa e più solenne.
Questa dilazione tuttavia venne ad indebolire alquanto lo spirito primitivo della solennità, il dies bifestus e politurgico di Prudenzio. Descrivendo perciò l'ordine del Messale attuale, noi terremo anche conto del posto primitivo che occupavano quei riti negli antichi Sacramentari.

La messa del 29 giugno sul sepolcro di san Paolo, è quasi identica a quella che abbiamo già anticipato il 25 gennaio. Le differenze sono poche e le noteremo.
La prima colletta è la stessa, tranne che, invece di parlare di conversione, si parla del suo natale: «cuius Natalitia colimus». Questa preghiera tuttavia speciale per san Paolo, che noi ritroviamo oggi per la prima volta nel Gelasiano, sostituisce una colletta più antica comune ad ambedue gli Apostoli, e riferitaci dal Leoniano. Eccola:

«Item ad sanctum Paulum»
«Apostolico, Domine, quaesumus, beatorum Petri et Pauli patrocinio nos tuere, et eosdem quorum tribuisti solemnia celebrare, securos fac nostros semper esse custodes».

Nell'odierno Messale, la prima lezione è quella appunto che il Comes di Wurzburg assegna, come dicemmo, alla messa vigiliare (Gal., I, 11-20). Paolo, a difendere innanzi ai Galati l'autenticità del suo apostolato, narra la propria storia e dimostra che, non essendo egli stato mai alla scuola d'alcun Apostolo ed avendo ricevuta la rivelazione evangelica direttamente da Dio, era Apostolo al pari dei Dodici, scelto da quello stesso che aveva eletto i Dodici. Non è
quindi ammissibile, come pretendevano i giudaizzanti tra i Galati, alcuna divergenza o rivalità tra Paolo e gli Apostoli. Identico è lo spirito, identica la missione. Anzi Paolo qualche anno prima s'è recato in Gerusalemme ίστορήσαι Κηϕαν, e s'è trattenuto con lui ben quindici giorni, quasi a sottoporre pubblicamente al controllo del Capo visibile della Chiesa il suo insegnamento.
Va rilevata una frase: «Cum autem placuit... ut revelaret Filium suum in me, ut evangelizarem illum in gentibus». La grazia, prima di sospinger Paolo a predicare Cristo, trasforma lui stesso in Cristo; lo rivela cioè al mondo prima nella vita e poi nelle parole dell'Apostolo.
Giusta il citato Comes, «in Nat. S. Pauli», la lezione era la stessa che abbiamo già riferito il 25 gennaio, col racconto della conversione del Dottor delle genti sulla via di Damasco.
Il responsorio graduale è il medesimo che il 25 gennaio; il verso alleluiatico però è il seguente: «Paolo, Apostolo Santo, predicatore di verità e Dottor delle genti, intercedi per noi».
Perchè Paolo, pur non appartenendo al coro dei Dodici, ha meritato d'esser preposto agli altri, anzi, di venir chiamato insieme con Pietro, Principe degli Apostoli? San Leone Magno risponde, che tale privilegio è dovuto alla divina elezione. Il Signore ha voluto che Paolo fosse il più insigne trofeo della sua misericordia; il persecutore doveva divenire l'Apostolo per eccellenza, e quegli che da principio aveva nuociuto più che altri mai agli esordi della
Chiesa, doveva affaticarsi più che tutti gli altri Apostoli per la diffusione del santo Vangelo: «Abundantius illis laboravi». Per questo il Signore ha disposto che, mentre delle gesta degli altri Apostoli ci sono state tramandate ben poche notizie, gli Atti e le Epistole documentassero invece a sufficienza la vita di Paolo, perchè da sola essa costituisse la regola ed il modello d'ogni vita veramente pastorale ed apostolica.
Nè Iddio ha onorato il suo grande «operaio» con quest'unico privilegio. Come Pietro vive e governa nei suoi successori, cosi anche Paolo continua ogni giorno in tutto il mondo la predicazione per mezzo dei suoi scritti, che la Chiesa legge quasi regolarmente alla messa.
Dopo morto, Paolo ha goduto ancora di altri privilegi. Il culto della sua splendida basilica sepolcrale già da oltre XIV secoli è affidato ai discepoli del Patriarca Cassinese, i quali dì e notte la fanno echeggiare dei canti del Divino Ufficio, eseguito con tutto quello splendore cosi devoto, di cui i benedettini hanno conservata la tradizione. Le sessanta e più abbazie che altra volta ufficiavano le basiliche Romane, sono venute meno quasi tutte; sopravvive ancor rigogliosa quella sulla via Ostiense, e che per riguardo a Paolo, i Pontefici nelle loro bolle intitolano senz'altro: «sacratissimum monasterium in quo tuum Venerabile Corpus celebri memoria requiescit». In quel sacro luogo i monaci, sulle orme della Regola di san Benedetto, continuano nella povertà evangelica, nell'ubbidienza e nella castità quella vita religiosa che, essendo stata iniziata dapprima dai santi Apostoli, nell'alto medio evo veniva detta appunto apostolica. Ed assai bellamente la Divina Provvidenza all'ombra della basilica di san Paolo apri una «dominici schola servitii», come appunto san Benedetto definisce il suo monastero, perchè alla custodia del sepolcro del Dottore universale, - i cubiculares di san Leone - venisse deputato, non un altro ordine religioso, colle sue tradizioni ascetiche, i suoi Santi, i suoi sistemi dottrinali, le sue finalità particolari, per quanto venerande e santissime, ma l'Ordine Benedettino il quale, al dir di san Bernardo, preesistendo a tutti gli altri ed essendo sorto nell'evo Patristico, vive semplicemente e puramente della vita cattolica della Chiesa, e senza particolarismi dottrinali, predica ed insegna con lei per mezzo dei santi Dottori Gregorio Magno, Beda il Venerabile, san Pier Damiani, sant'Anselmo, san Bernardo, ecc., nutrendo la sua pietà alle fonti stesse della pietà ecclesiastica in grazia della sacra
liturgia.
La lezione evangelica è come per la festa dell'antico compagno di Paolo nell'apostolato, san Barnarba, il dì 11 giugno. Il Lezionario di Wurzburg nondimeno, a questa seconda stazione nella basilica Ostiense assegna la medesima pericope evangelica che abbiamo già riferita il 25 gennaio.
Tutto il resto della messa nell'odierno Messale è comune alla festa della Conversione di san Paolo. Invece, nel Leoniano la colletta sulle oblate è la seguente:
«Munera supplices, Domine, tuis altaribus adhibemus, quantum de nostro merito formidantes, tantum beati Petri et Pauli, pro quorum solemnibus offeruntur, intercessionibus confisi». - Sempre insieme i due Apostoli, anche nella stazione natalizia sull'Ostiense. -
Il prefazio è quello riferito più sopra.
Manca nel Leoniano una preghiera speciale pel ringraziamento; nel Gregoriano invece troviamo la seguente, che però è importante perchè, conforme l'antica tradizione, si riferisce anch'essa, non al solo Paolo, come nell'odierno Messale, ma ad ambedue gli Apostoli.
«Perceptis, Domine, Sacramentis, beatis Apostolis intervenientibus deprecamur, ut quae pro illorum celebrata sunt gloria, nobis proficiant ad medelam».

Togliamo dal Sacramentario Leoniano quest'altra colletta, che risente ancor tutta dello stile e della mentalità del grande Leone: «Omnipoiens, sempiterne Deus, qui ineffabili sacramento ius Apostolici principatus in Romani nominis arce posuisti, unde se Evangelica veritas per tota mundi regna diffunderet; praesta ut quod in orbem terrarum Eorum praedicatione manavit, Christianae devotionis sequatur universitas».

A. I. Schuster, Liber Sacramentorum VII, Torino, Marietti, 1930, pp. 307-314

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