sabato 27 ottobre 2018

L'Epistola Cattolica di San Giuda Taddeo

Nella vigilia della festa dei Santi Simone e Giuda, presentiamo brevemente la lettera di «Giuda, servo di Gesù Cristo, fratello di Giacomo», dunque tradizionalmente attribuita all'Apostolo San Giuda Taddeo (cfr. Origene, Ad Romanos 5, I e Tertulliano, De cultu fem. I, 3).

La qualifica servo di Gesù Cristo può indicare semplicemente che chi scrive è un cristiano: qui però presenta uno che ha un servizio speciale, un ministero nella comunità dei fedeli. Circa l'autore, taluni hanno avuto perplessità nell'identificare il Taddeo come l'autore di tale epistola: nel testo della lettera l'autore non si identifica come un apostolo e farebbe riferimento agli apostoli come ad un gruppo di cui non fa parte (17-18). Tuttavia il versetto 1,17-18, secondo altri autori, non sarebbe sufficiente ad escludere Giuda dal circolo dei dodici apostoli.
Secondo diversi autori si potrebbe trattare anche del Giuda riportato come fratello di Gesù (Adelfòtheos) dalle fonti evangeliche, o ancora di altri personaggi con lo stesso nome.
Alcuni studiosi ritengono inoltre lo scritto pseudoepigrafico: l'autore sarebbe un anonimo ebreo cristiano a conoscenza della Lettera di Giacomo e di altre opere ebraiche, come l'Assunzione di Mosè e l'Apocalisse di Enoch, che avrebbe voluto dare maggiore credibilità allo scritto associandogli il nome di uno dei fratelli di Gesù.
In ogni caso, la Tradizione identifica il Taddeo come autore di tale epistola, e tanto basti almeno nell'attribuirle il suo valore religioso.

La data di composizione è incerta. Nella lettera la fine del mondo e il giudizio universale sono peraltro attesi come imminenti e gli insegnamenti degli apostoli sono tramandati come orali; questi elementi, insieme alla mancanza di riferimenti alla distruzione del Tempio, farebbero risalire la datazione al tempo del cristianesimo primitivo, con date proposte oscillanti tra il 50 e il 90, ancorché taluni abbiano cercato di postdatarla sino ai primi decenni del II secolo. Ai fini della datazione può essere utile considerare che da una parte l'autore forse conosceva la Lettera di Giacomo, dall'altra che la Seconda lettera di Pietro (3,3) cita Giuda 18.

Le comunità destinatarie dovevano essere composte in maggioranza di giudeo cristiani, dal momento che la lettera fa largo uso dell’A.T e di apocrifi giudaici, perciò bisogna orientarsi verso le aree della Palestina e della Siria, anche considerando che tali aree non erano le destinatarie della seconda lettera di Pietro.

Giuda voleva già scrivere una lettera alle comunità Palestinesi e dell’area Antiochena, ma l’impulso determinante lo ebbe di fronte all’infiltrarsi in esse di falsi cristiani. Questi perversi maestri prima erano ai confini delle comunità perché molto compatte, ma poi camuffandosi si erano infiltrati fino a partecipare alle agapi fraterne.
La loro identità, così come la presenta la lettera, è affine a quella dei Nicolaiti.  Questi falsi maestri pretendevano di dominare i demoni con gli insulti e non con la potenza di Cristo; e poiché scendevano nel terreno dell’odio, rimanevano vittime dei demoni. Questi perversi maestri negavano la divinità di Cristo e aprivano alla licenziosità della carne professando il dualismo manicheo, intendendo che i peccati della carne non contaminano lo spirito, poiché esso è dotato della conoscenza (gnosi).

L’autore è chiaramente di origine giudaica, ma conosce bene la lingua greca, nonostante la presenza di numerosi semitismi, desunti in gran parte dai LXX. La lettera è piena di vivacità, energia autorevole che gli proviene, considerandola posteriore alla seconda di Pietro, dall’autorevolezza di quella lettera, oltre che dal temperamento dell’autore che doveva essere impetuoso, e perciò molto diverso dal mite Giacomo il minore al quale si attribuisce la “Lettera di Giacomo”. La padronanza della lingua greca potrebbe far considerare che Giuda si sia servito di uno scriba che abbia migliorato il suo dettato. Il lessico è più ricco di quello usuale del Nuovo Testamento: contiene ben 14 hapax legomena nella Bibbia e un hapax legomenon nell'intera produzione letteraria in lingua greca a noi giunta. Il Mayor e altri autori hanno fatto notare anche una sapiente costruzione retorica, con vasto impiego di figure di posizione, particolarmente il cosiddetto triplet.

La lettera è stata inserita presto nel canone della Bibbia, anche se con diverse incertezze. È elencata nel canone muratoriano (II secolo: "epistola sane Judae... <inter> catholicas habetur") ed Eusebio di Cesarea la pone tra i libri disputati anche se accettati da molti (Hist. Eccl. III, 25) . L'elemento che più ha prodotto incertezze circa la canonicità, sicché San Girolamo attesta che tale lettera a plerisque reicitur, è l'uso di fonti apocrife.

L'autore fece infatti ampio uso di fonti considerate non canoniche, l'Assunzione di Mosè e il Libro di Enoch, e forse anche il Testamento di Naphtali e il Testamento di Asher. Il Libro di Enoch è un testo ebraico composto con una lunga storia compositiva, inclusa tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.; il versetto Enoch 1,9 è citato letteralmente in Giuda (14,15), il riferimento ad Enoch come il «settimo da Adamo» è ripreso da Enoch 40,8 e la descrizione degli angeli caduti contenuta in Giuda 6,13 si basa su Enoch. Interessante è notare che S. Agostino (cfr. De Civitate Dei 15) ipotizzi la "santità" del libro di Enoch proprio per il fatto ch'esso sia citato nell'epistola di Giuda, con un ragionamento dunque inverso rispetto a quello degli altri Padri. La citazione dell'Assunzione di Mosè è riconosciuta come tale da autori patristici come Origene di Alessandria, Clemente di Roma e Didimo il Cieco, e fanno riferimento a un'edizione dell'Assunzione di Mosè differente da quella più tarda conservatasi.

Sia Clemente di Roma (+ 96 d.C) che Clemente di Alessandria (+ 200 d.C) hanno fatto alcuni accenni all'autenticità della lettera di Giuda. Anche Tertulliano ne parla come se la sua canonicità sia accettata da tutti. La fede della Chiesa siriaca sembrerebbe attestata dalle citazioni di S. Efrem, nelle opere conservate in greco (Opera omnia graece et latine III), ma tali opere risultano spurie. Si trovano poi delle allusioni più o meno chiare nella Didachè (2, 7), presso S. Policarpo (Ad Philipp.), nel Martirio di S. Policarpo, presso Teofilo Antiocheno ed altri (così il Chaine, pp. 261-262). San Girolamo, come detto, seguendo la linea eusebiana, accetta la canonicità riferendoci però le numerose contestazioni: "Giuda lasciò una piccola epistola che è tra le sette cattoliche. Imperocché cita la testimonianza del libro di Enoch, che è apocrifo, da parecchi viene ripudiata; tuttavia meritò autorità a motivo della sua antichità e dell'uso che se ne fa nelle Chiese, e si elenca tra le Sacre Scritture" (De viris ill. 4; si noti che il summenzionato plerique, secondo alcuni critici, in Girolamo equivale a nonnulli, cioè "alcuni" anziché "parecchi"). Molti autori antichi e moderni hanno dissertato circa il valore da attribuire alle predette citazioni di libri di tradizione giudaica non ammessi nel canone scritturale; in generale, parrebbe conveniente stimare che, pur non essendo riconosciuti d'ispirazione divina, tali scritti contengano comunque espressioni "sante e devote" o comunque non tacciabili d'eresia (con le parole virgolettate la prefazione alla Volgata Sisto-Clementina descrive i libri ammessi nella Septuaginta o dalla Volgata geronimiana, ma non inseriti nel canone cattolico, che vennero messi pertanto in appendice a suddetta edizione, proprio a sottolinearne il carattere edificante ancorché non di divina ispirazione). L'unico Concilio Ecumenico a confermare la canonicità dell'epistola fu il Tridentino, conciossiaché pure le Chiese d'Oriente la tengan per divinamente ispirata e la annoverino nel canone.

Tra gli altri sostenitori della canonicità della lettera s'identificano S. Filastrio, S. Lucifero di Cagliari, S. Ambrogio e S. Agostino in Occidente; S. Atanasio e S. Cirillo d'Alessandria, S. Epifanio e S. Gregorio Nazianzeno in Oriente.

Di seguito è possibile scaricare il testo dell'Epistola Cattolica di S. Giuda nell'autorevole traduzione italiana (1a ed. 1778) del dotto mons. Antonio Martini (1720-1809), Arcivescovo di tutta Firenze, con testo latino a fronte, apparato critico e commento del medesimo mons. Martini e, in appendice, discordanze tra il testo della Volgata di S. Girolamo preso come riferimento e la versione greca.

EPISTOLA DI SAN GIUDA in pdf

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