martedì 5 febbraio 2019

Postille ad alcune riflessioni su FSSPX e FSSP - parte 1


Recentemente sul sito statunitense New Liturgical Movement (qui) è apparso uno scritto del prof. Peter Kwasniewski, assai interessante, nel quale egli invocava a gran voce la necessità di umiltà da parte della FSSP e dalla FSSPX, che rappresentano idealmente due posizioni antitetiche del mondo tradizionale, cioè quella accordista e quella disobbediente rispetto al Vaticano, finalizzata a un mutuo supporto tra le parti, a vantaggio indiscusso della Tradizione e alla maggior gloria di Dio. L'articolo, d'indubbio valore, evidenzia i difetti delle due parti (la FSSP, per sua natura, sarebbe assai indulgente verso gli atti vaticani sconsiderati, tendendo a un certo "neo-ultramontanismo", mentre la FSSPX di contro avrebbe poca cura per alcuni questioni liturgiche), segnalando come una collaborazione tra i due istituti potrebbe portare al "completamento" degli stessi, colmandosi da una parte i difetti dell'altra e viceversa. Dell'interessante articolo traduco qui alcuni pezzi, ai quali però appongo dei miei commenti, perché la situazione appare talora ancor più grigia di quanto già non segnali il prof. Kwaniewski.

[...] Noi possiamo difatti rovesciare le carte, notando che sono le "cosiddette comunità Ecclesia Dei" che stanno custodendo le antiche tradizioni liturgiche, come la Settimana Santa pre-1955 e altri aspetti delle pratiche tradizionali più antiche del Rito Romano (e.g., ottave, collette addizionali, letture doppiate, pianete piegate, ultimo Vangelo proprio), mentre la FSSPX, per quanto ne so, porta avanti le soppressioni e le distorsioni di Pio XII e Giovanni XXIII. A onta delle sue altre magnifiche qualità, l'Arcivescovo Lefebvre aveva un che di naif circa l'estensione dei danni che erano già stati fatti alla liturgia prima del 1962. Se egli decise di attenersi a questo "ultimo messale" per allontanare lo spettro dell'incipiente sedevacantismo, mi sembra alquanto un diverso modo di "rompere l'unità della Tradizione al fine di negoziare un accordo puramente pratico".

Le ultime parole che il prof. Kwasniewski cita in questo spezzone sono tratte dalla nota della Casa Generalizia della FSSPX in seguito alla soppressione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, nella quale l'istituto sottolinea ancora una volta l'inconsistenza e la contraddittorietà di comunità che celebrano coll'antico messale, ma accettano in toto un Concilio che andrebbe a contraddire in certuni punti la teologia sottesa da detto messale. Posto che questi ragionamenti, come rileva brevemente lo stesso Kwasniewski, dipendono strettamente dalla falsa considerazione del rapporto liturgia-dottrina introdotta da Papa Pacelli nella Mediator Dei (vedasi qui), e che veri sono i rilievi sull'altrettanta incoerenza che v'è nell'accettare in toto il messale riformato del 1962, dobbiamo chiederci se ciò che si dice sulla volontà degl'Istituti Ecclesia Dei di tornare alle forme rituali precedenti il 1955 sia vero: se lo fosse, sarebbe da rallegrarsene immensamente!
Orbene, dalla mia personale esperienza posso riferire che, seppur vi sia indubbiamente un minor formalismo (inteso come l'aderenza rigida e acritica alle scellerate rubriche del '62) negl'istituti come FSSP o ICRSS, non si avverte assolutamente un interesse autentico, salvo rari e isolati casi, per il ritorno alle forme pure del rito romano. Certo, si usa qualche pianeta plicata, si compiono alcuni gesti cerimoniali della Settimana Santa antica, ma quanto questo è fatto per una reale comprensione delle problematiche delle riforme degli anni '50, o quanto piuttosto per mero estetismo? Dovremmo chiederci quanti domenica scorsa hanno cantato la 2a orazione di S. Biagio e la 3a A cunctis, o quanti domenica 13 gennaio hanno celebrato l'Ottava dell'Epifania anziché la Sacra Famiglia. Temo ben pochi. L'integrale attenzione nel seguire le rubriche antiche, che quindi comporta l'essere animati da zelo liturgico e non da apprezzamenti esteriori, è cosa veramente rara: Kwasniewski cita ottave, collette addizionali, ultimo Vangelo proprio; forse negli USA la situazione è più rosea, ma in Europa (dove del resto molte case della FSSP hanno continuato a celebrare la settimana santa riformata) queste cose sono letteralmente ignorate, laddove talora si hanno sbandamenti in direzione del '65 (soprattutto in Francia, dove le letture in vernacolare sono prassi consolidata...), mentre nelle chiese più "conservatrici" ci si bea di celebrare il mercoledì delle ceneri con pianete piegate e stolone, ma tralasciando coscientemente e consapevolmente le orazioni del tempo.

D'altro canto, membri della FSSP non esitano a sparare dopo anni ai genitori da cui si sono allontanati. Uno dei suoi fondatori dichiarò abbastanza veementemente: "Io prego assai perché i miei vecchi, buoni amici [nella FSSPX] si uniscano alla Chiesa (!) e vi entrino senza condizioni, ma accettino l'autorità del magistero vivente". [...]
I laici, quanto alla mia esperienza, hanno un maggior senso dell'importanza di essere flessibili e "tradumenici", in questa fase cancerosa del disastro postconciliare.
Possiamo pensare a un'ironia divina nei nomi stessi delle Fraternità, che ci suggeriscono due facce, come quelle dell'antico dio romano Giano.



Anzitutto, la Fraternità Sacerdotale che prende nome da S. Pio X. Ogni Cattolico ammira Pio X per la sua autoritaria condanna del Modernismo, che è "sintesi di tutte le eresie", e i suoi vigorosi (ancorché purtroppo privi di successo) sforzi per la soppressione dei Modernisti; per la sua inequivocabile condanna del principio di separazione tra Chiesa e Stato nella sua enciclica "Vehementer Nos"; per la sua promozione del canto Gregoriano in "Tra le Sollecitudini" e la sua condanna dell'uso di pianoforti in chiesa, che è ancora in vigore, quantunque sia spesso ignorata; per aver incoraggiato la ricezione della Prima Comunione a un'età più bassa, e per la pratica della Comunione frequente per chi è in possesso delle disposizioni adatte.

Ad ogni modo, vi è una macchia nella sua carriera papale: la violenza ch'egli commise nei confronti del Breviario Romano, con la sua riforma radicale del 1911. Molti Papi hanno aggiunto questo o quel dettaglio alla liturgia - una nuova festa, un nuovo prefazio, una nuova ottava... molti hanno modificato le rubriche; assai raramente hanno sfoltito elementi ch'erano cresciuti a dismisura, come la rimozione da parte di San Pio V di certi santi ovviamente leggendari dal calendario del messale romano del 1570. Ma mai un Papa aveva osato alterare in modo così radicale e completo alcuno degli antichi uffici liturgici della Chiesa Latina. Quando Pio X fece smantellare il Breviario Romano e ricostruirlo agl'inizj del XX secolo, non stava semplicemente riordinando qualcosa ch'era stato costruito nel XVI secolo, come si può trovare che asseriscano alcuni liturgisti; egli invece stava alterando una regola di preghiera  così antica da non poterne individuare chiaramente le origini Difatti, vi sono forti argomenti per pensare che la recitazione quotidiana dei salmi Laudate (148-149-150), dal quale l'ora canonica stessa delle Lodi prende nome, è riconducibile ai Giudei del tempo di Cristo e pertanto, assai probabilmente, fu praticata da Nostro Signore stesso nella Sua preghiera sulla terra. C'erano dei problemi col Breviario al volgere del XX secolo [per esempio la proliferazione anomala di feste doppie, di cui abbiamo parlato qui, ndt]; nessuno discute su questo punto. Ma la soluzione di S. Pio X non fu di mantenere l'ufficio così com'era, modificando le sue rubriche in modo tale che (per esempio) il ciclo settimanale dei 150 salmi avesse la priorità sui salmi festivi, o forse che alcune ore, come il Mattutino, diventassero opzionali per il clero secolare, per conservare l'armonia e l'integrità del Breviario nella sua interezza. Invece, Pio X divenne il primo Papa nella storia della Chiesa Latina che, impiegando una buona dose di ultramontanismo, impiegò tutto il peso del suo ufficio [e anche più di quanto realmente ne avesse, ndt] sulla costruzione di un nuovo Ufficio Divino. [NOTA dell'autore: con l'espressione "costruttivismo papale" indico l'atteggiamento cartesiano della Techne in cui il Papa vede se stesso come il "padrone e signore" dei riti liturgici, perdendo l'atteggiamento di profonda pietà verso tale eredità]. In questo modo egli gettò le premesse del costruttivismo papale che offrì a Pio XII il precedente per rinnovare la Settimana Santa in modo simile tra il 1948 e il 1955, e a Paolo VI per trasmutare ogni cosa dal 1963 alla metà degli anni '70. Paradossalmente, il papa che lottò con forza contro il modernismo dottrinale fu un esempio di modernismo liturgico, rompendo il principio di inviolabilità della tradizione antica, in nome di meri oneri pastorali. Questo suona abbastanza familiare, se può dirsi.

Così, il santo stesso cui la FSSPX è dedicata ci mostra due opposti in tensione: lo zelante promotore del dogma Cattolico, e il pontefice che trattò parte della liturgia come un meccanismo da ricostruire piuttosto che un organismo vivente da nutrire o un'eredità dei santi da custodire.

Siamo nella parte più interessante dello scritto. L'analisi dell'incoerenza della FSSPX sul piano liturgico è notevolmente precisa, e molte delle considerazioni fatte sulle riforme del Breviario di S. Pio X abbiamo già avuto modo di esprimerle noi stessi. Ai riferimenti a Pio XII e Paolo VI si possono aggiungere quelli alle riforme (meno ingenti, ma non meno problematiche) di Pio XI: non deve stupire né scandalizzare la durezza dei toni critici: è bene che si conosca la verità dei fatti, ancorché scomoda, piuttosto che averne un "santino" ideologicamente adattato e del tutto fuorviante. Forse però, per lo stesso principio, trattandosi anch'esse di riforme che alteravano uno stato di cose consolidato ormai da molti secoli e confortato dall'opinione di santi e teologi, sarebbero da considerare negative anche le azioni nei confronti della ricezione della Santa Comunione, che invece Kwasniewski annovera tra le positive (qui una mia opinione in merito). Anche sul plauso all'azione decurtatrice delle feste di S. Pio V sarebbe da discutere...

Una nota interessante può essere fatta sulla questione dell'onere dell'Ufficio Divino: tra i motivi che spinsero S. Pio X (ma già Pio IX e Leone XIII ne avevano fatto menzione, senza però osare andare a picconare il Breviario Romano...), e che poi saranno addotti a pretesto anche da Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI, a riformare l'Ufficio Divino, era la sua lunghezza che lo rendeva un peso notevole per i sacerdoti. Accanto alla soluzione ipotizzata dall'articolista, mi permetto di far notare quanto già il Gromier ebbe a scrivere: con il Codice di Diritto Canonico del 1917 si rendono obbligatori (cosa assolutamente inedita) per tutti i chierici il Rosario e la visita al SS. Sacramento quotidiani; ci si lamenta dunque della lunghezza degli obblighi di preghiera liturgica e ci si attiva con spirito distruttore per ridurla, e al contempo si introducono dei non leggeri obblighi di preghiera non liturgica... anche questo può essere un segno del lento sopravanzare della devozione sulla liturgia?

Sarà utile postilla che anche il sacerdote liturgicamente più dotto e preparato che mai mi capitò di trovare nella FSSPX, pur contestando le riforme degli anni '60, era strenuo difensore delle riforme piane e in generale di tutte le riforme pre-62, comprese alcune di quelle del '55 (la Settimana Santa la criticava, ma nondimeno accettò di celebrarla); tale tesi mi parve alquanto incoerente, e priva di qualsiasi fondamento logico. Però, se è comprensibile sostenere che, nelle condizioni attuali, sia poco prudente o poco utile andare a riprendere gli usi pre-piani, altro discorso, assai meno comprensibile, è sostenere che gli usi piani siano in sé accettabili, anzi migliori di quelli precedenti. Si ricade nell'argomento dei 62isti, che poi ricade a sua volta nell'argomento dei sostenitori del rito di Paolo VI che vogliono impedire la liturgia antica; ancora una volta la coerenza sembra essere assente, e l'intero impianto di contestazione delle riforme postconciliari ne risulta danneggiato...

Concludo questa prima parte, che ha avuto carattere più marcatamente liturgico; tradurrò presto la seconda parte, che contenendo la critica alla FSSP si muove sul piano dell'accordo con la Santa Sede. Non mancherò d'inserire però una terza riflessione, mancante nello scritto di Kwasniewski: quella sul clericalismo e alcune altre piaghe che infestano purtroppo entrambi gl'Istituti...

2 commenti:

  1. Cerco di spiegare meglio la frase "se è comprensibile sostenere che, nelle condizioni attuali, sia poco prudente o poco utile andare a riprendere gli usi pre-piani", che potrebbe risultare pericolosamente ambigua. Anzitutto, per usi 'pre-piani' s'intendono quelli precedenti la Divino Afflatu del 1911.

    La mentalità di molte comunità tradizionaliste può sintetizzarsi in due posizioni distinte:
    - Obbedienza cieca e incondizionata alla lettera della legge che impone i libri liturgici del 1962, che vengono pertanto considerati tutto sommato accettabili ancorché non perfetti;
    - Considerazione (illogica) dei libri liturgici del 1962 (ovvero di quelli del '55 o altri) come in qualche maniera superiori ai precedenti.

    Inutile dire che questa mentalità non mi appartiene. Per spiegare la mia posizione, che è critica di TUTTE le riforme (fintantoché vengono intese come costruzione di una nuova forma), occorre fare una distinzione tra quanto attiene la messa e quanto attiene l'Ufficio Divino. La riforma della tabella delle precedenze (che di fatto si limita a restituire alla domenica la sua prevalenza) non la considero in sé una grave riforma, perché di fatto sana una discordanza che si era venuta a creare nel momento in cui le feste doppie si moltiplicavano senza badare più all'antica limitatezza del rito doppio, e le domeniche (che mantenevano dall'antichità il rito semidoppio) erano penalizzate senza alcun senso.

    La riforma di Pio X tocca assai limitatamente il messale: eccettuata qualche variatio (come la nuova rubrica sull'Ultimo Vangelo speciale), di portata comunque minima, la sostanza è la medesima dei messali precedenti.

    Più complesso è il discorso che concerne l'Ufficio Divino. Le criticità della riforma piana sono evidenti e le ho più volte menzionate. Ma se noi prendessimo il Breviario così com'era nel 1910 (il sito divinumofficium.com, quantunque zeppo d'inevitabili errori, può dare un'idea di ciò), ci troveremmo davanti a una situazione comunque problematica, a un rito ingolfato da una moltiplicazione di feste, con tanto di "duplicazione selvaggia", che vanno a cancellare praticamente il salterio settimanale. Anche se non frutto di una riforma generica, ma risultato del lavoro di molti scriteriati liturgisti lungo i secoli, il Breviario Romano del XIX secolo è insostenibile (non nel senso che sia troppo lungo o complesso, ma perché ha perso gran parte del suo carattere originario). La riforma di Pio X poteva essere saggia e moderata (assegnare i salmi feriali alle feste doppie e semidoppie è cosa giusta e sensata, nel momento in cui il rito doppio è assegnato casualmente a quasi ogni festa), e invece ha voluto essere esagerata e distruttrice (stravolgimento completo dell'ordine tradizionale dei salmi). Scegliere il Breviario post-piano secondo me è "utile" perché almeno permette di recitare abitualmente tutti i 150 salmi, secondo lo spirito dei Padri; prendere il Breviario del 1910 significa ritrovarsi in quella decadenza che portò alla riforma piana. Purtroppo non possiamo farci la nostra riforma personale, e bisogna scegliere una delle due alternative. Per i motivi suddetti ho scelto l'ufficio piano, ma non intendo assolutamente sostenere che sia migliore ex sese. *

    Quando parlo di utilità o prudenza intendo semplicemente che, vista la situazione generale in cui ci si trova, capisco (non necessariamente condividendo) chi mi dice, pur conscio e critico della riforma piana, che preferisce dire l'ufficio del 1911 per un certo 'sentire cum Ecclesia'. Non capisco viceversa chi, come il sacerdote della SSPX che ho menzionato, sostiene che la riforma piana sia "la perfezione del rito romano".

    Spero di esser stato più chiaro.

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    1. * Secondo me, il problema risiede nell'Ufficio romano stesso: ingombrato dal santorale a danno del temporale, con una salmodia eccessivamente preponderante e una certa qual povertà testuale nelle parti di composizioni ecclesiastica... il problema fu la base scelta nel 1568, ch'era uno dei vari in uso nell'Urbe ma forse il meno ricco. E nel momento in cui s'iniziano a moltiplicare le feste, tutte le criticità della costruzione del Breviario Romano affiorano.
      Altri uffici, come quelli monastici, usi locali particolari (penso anche l'ambrosiano, sebbene lo conosca poco), mi paiono più ordinati, in grado di rispondere positivamente all'aumentare delle feste, senza sbilanciarsi e mantenendo la loro tradizionale completezza e unità. Anche l'ufficio bizantino, che trovo particolarmente ricco ed efficace a livello spirituale, è caratterizzato da una straordinaria armonia tra temporale e santorale.

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