lunedì 7 dicembre 2020

Ubi fides ibi libertas: la lezione di S. Ambrogio

di Luca Farina

Mosaico nel sacello di S. Vittore.
Recenti studi compiuti sulle spoglie del
Santo ne hanno confermato i tratti somatici,
(originariamente pubblicato in Templum Domini 3 (2020), pp. 28-31)

“La cosa pù semplice che si può dire di Sant’Ambrogio, ed insieme più vera, è ch’Egli fu grande”. Iniziò con questa frase l’omelia del pontificale del 7 dicembre 1956 l’allora cardinale arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. Nulla di più vero: non si può essere veri conoscitori della storia meneghina né proclamarsi fedeli ambrosiani se non si conosce colui di cui si porta il nome. Certamente se ne potrebbero tratteggiare molti profili: prefetto romano col nome latino di Aurelius Ambrosius, vescovo, innografo, scrittore e Padre della Chiesa. Il celeste patrono del capoluogo lombardo fu tutto questo, riuscendo a fare ciò in modo straordinario. Un documento che, forse, lo può presentare in modo migliore è uno liturgico, giacché intrattiene un rapporto duplice con i sacri misteri: fissò i canoni principali della liturgia propria della Chiesa milanese (si parla infatti di rito ambrosiano) e, con grande onore, essa lo celebra. Una vita principiata ad Augusta Treverorum (l’odierna Treviri che, molti anni dopo, darà i natali, meno felicemente, a Carlo Marx) nel 340 e che fu arricchita da importanti snodi, che qui scegliamo di narrare conl’inno previsto per quella che, a Milano, è la solennità della sua ordinazione episcopale (7 dicembre): Nostrum parentem maximum. Esso fu composto per ordine di San Carlo Borromeo dal latinista romano don Giovanni Battista Amalteo nel 1570. Osserviamone alcune strofe:

Infans locutus Insubrum
Ambrosio fert infulam:
cunctorum ora conclamant
Ambrosium episcopum.

Dopo aver compiuto studi letterari, nel 374 si trova a Milano in qualità di funzionario alle dipendenze dell’imperatore romano Valentiniano I. Da alcuni anni, per decreto di Diocleziano, essa costituiva la capitale insieme a Treviri.In un contesto sociale in cui il cristianesimo andava affermandosi (soprattutto dopo l’editto costantiniano del 313), era appena morto il vescovo Aussenzio -un ariano salito sulla cattedra dopo aver deposto, illecitamente, il suo beatissimo predecessore Dionigi- provocando scontri tra cattolici ed eretici. Mentre cercava di risolvere le controversie come laico super partes (sebbene di famiglia cattolica) un bambino -così racconta il biografo Paolino di Milano nella Vita Ambrosii- gridò “Ambrogio vescovo!” e tutta la folla lo ripeté a gran voce, provocando grande sbigottimento nel Santo che non era ancora stato neppure battezzato. Non volle però dire di no a Dio: il 30 novembre rinacque al sacro fonte, ricevette tutti i Sacramenti fino all’ordinazione episcopale occorsa il 7 dicembre, ascendendo alla cattedra che era stata di Sant’Anatalo. Iniziò così il suo glorioso episcopato.

Velat sacrata denique
doctum thiara verticem,
sacraque tectus casside
bellum minatur Ario.

Eletto vescovo per sedare gli scontri tra cattolici ed ariani, non esitò a combattere quest’eresia: fu per lui una vera e propria battaglia da combattere con la mitria in capo. Volle una liturgia fortemente cristocentrica, con diverse somiglianze ai riti orientali, predicò ardentemente e si rifiutò con protervia di concedere le sue chiese agli eterodossi.

Abunde sacras litteras
explanat atque edisserit,
divina pandens dogmata
mira nitet facundia.

Con straordinaria eloquenza, Ambrogio si dedicò alla spiegazione dei brani biblici, all’illustrazione della teologia morale e dogmatica, componendo numerosissime opere, i cui brani si trovano ancora oggi nella Liturgia milanese: tra i più celebri ricordiamo Exameron, Expositio in Lucam, De virginibus, De paenitentia. A ciò si aggiunge un ricchissimo corpus epistolare in latino di carattere esegetico e pastorale.

Fac nos amemus carminum
dulces modos persolvere,
ac mente voci consona,
te dirigente, psallere.

Gonfalone di Milano (civica raccolta
di stampe A. Bertarelli, Milano)

Sant’Ambrogio fu anche, come si diceva all’inizio, un grande  innografo: riteneva essenziale l’uso del canto liturgico, per i quali  compose alcuni versi di straordinaria poeticità; di tutto ciò che gli è  stato attribuito (per esempio, probabilmente in modo erroneo, il Te  Deum), filtrando grazie alle citazioni di Sant’Agostino e agli studi  del beato Luigi Biraghi (che fu viceprefetto della Biblioteca  Ambrosiana), è possibile citare il Deus creator omnium (per i  Vespri domenicali), lo Jam surgit hora tertia (per l’ora terza  festiva), l’Hic est dies verus Dei (per la Pasqua, dalla cui melodia avrà origine il più noto Veni Creator) e molti altri.

Cum Augustinum rhetorem
paterno corde recipit,
ad Christi fidem instruit,
creat baptismo filium.

Accade spesso, nella storia della Chiesa, che i Santi si incontrino, e questo è uno di quei casi. Nel 386, infatti, Agostino d’Ippona, allora brillante retore, si trovava a Milano, sperando di fare carriera nella corte imperiale. Desideroso di attingere qualcosa dalla sapienza di Ambrogio, iniziò a seguirne le prediche, cercando di capire come conciliare la filosofia platonica e neoplatonica di Plotino con il Vangelo. L’Ipponate capì, grazie al Santo, che la vera libertà poteva trovarsi solo nella verità, che non era un sistema di idee, ma un incontro di fede con Gesù Cristo. Dopo alcuni mesi, nel battistero ipogeo di San Giovanni ad fontes, il cui perimetro è disegnato sul sagrato del Duomo di Milano, Agostino ricevette il battesimo da quello che era diventato suo padre nella fede.

Paschalis mane sabbati
quo die iam praedixerat
recepto Christi corpore
ad regna intravit caelica.

Giungiamo alla fine: a Milano, il 4 aprile del 397, sabato santo, dopo aver ricevuto la Santa Eucarestia, Sant’Ambrogio spirò piamente. Per sua volontà il corpo fu portato nella Basilica Martyrum, in cui egli stesso, alcuni anni prima, aveva accolto le reliquie dei Santi Protaso e Gervaso. Più tardi, quello stesso edificio fu intitolato proprio a lui ed è l’attuale Basilica di Sant’Ambrogio. Ancora oggi, in quella cripta sotto l’altare maggiore, giace il corpo di questo glorioso vescovo, la cui anima è assisa nella gloria di Dio. Da lì, veglia continuamente la città di cui è patrono, invitandoci a ripetere quel motto che gli fu tanto caro: “Ubi fides, ibi libertas”.


3 commenti:

  1. Bellissimo artcolo. Molte, molte grazie.

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  2. Nella Chiesa di Cipro ancora i vescovi vengono eletti dal popolo, e infatti vi sono alcuni dei vescovi migliori di tutta la Chiesa Ortodossa.

    La liturgia bizantina onora oggi S. Ambrogio con un pieno ufficio, così come molti altri santi occidentali. Il fatto che in alcune parti del mondo ortodosso (Grecia, Romania...) l'ortodossia venga vista come qualcosa di puramente orientale è dovuto soorattutto all'etnicismo. Questo scomparirà se l'Occidente mostrerà un giorno una presenza ortodossa autoctona di portata sufficiente, e non sarà solo un contenitore di diaspora a maggior ragione etnofiletista.

    Il Fanar sotto gli Ottomani contava assai poco, e a tutto somigliava (in alcuni infelici tempi persino a un ritrovo di calvinisti) meno che a in papato. Stati cristiani liberi come la Russia giammai si sarebbero sottomessi a un patriarca considerato (e in alcuno casi effettivamente) ostaggio di una potenza musulmana. In generale per costruire un'autorità degenerata come quella papale servono strumenti che - di fatto - nemmeno gli stessi papi di Roma avevano nel Seicento. Il papato attraversa fasi alterne fino alla sua radicalizzazione nell'Ottocento. C'è molto più papismo nel Fanar oggi che in qualsiasi epoca della sua storia, persino dei secoli immediatamente successivi alla conquista araba della Siria dove veramente Costantinopoli assurse per qualche tempo a una sorta di sede primaziale di tutto l'Oriente (senza però pretese di papismo de fide).

    Ortodossia Romana è un sito gestito da un nostro amico prete bizantino interessato di liturgia occidentale. Noi non lo gestiamo e non ne rispondiamo.

    La confusione è sempre presente nella storia. I santi di questi giorni, da Nicola a Ambrogio, hanno lottato in tempi di grande confusione. Bisogna affidarsi a Dio e restare costanti nella fede.

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  3. Ecco, ancora emerge il problema (a questo punto) del papato romano, o meglio, della sua esagerazione che gli orientali mai hanno accettato, anche nei tempi in cui il papato romano ancora non aveva affermato le sue prerogative in forma dogmatica. Oggi abbiamo molte riserve sul fatto che un gerarca possa addirittura cambiare la Preghiera del Signore, ma nel medioevo alcuni teorici della totale supremazia del papa in faccende di fede affermarono che l' autorità del papa puo' cambiare pure il Vangelo. Dopo otto secoli sembra che questo si sia verificato in maniera plateale. Cose note, non so, prima o poi si dovrà chiarire questa cosa. Mi sa che in definitiva l' autorità papale sembra un grande aiuto se esercitata come garanzia della integrità della fede dalle manomissioni esterne. Ma se la si considera come potere assoluto tanto da considerare la rivelazione assoggettata al papato, allora diventa una sorta di "eresia", o almeno cosi' sembra.
    Non so se ragiono male.

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