Benozzo Gozzoli, Tolle et lege, 1465 Chiesa di S. Agostino (S. Gimignano)
Chiuso il libro, tenendovi all’interno il dito o forse un altro segno, già rasserenato in volto, rivelai ad Alipio l’accaduto. Ma egli mi rivelò allo stesso modo ciò che a mia insaputa accadeva in lui. Chiese di vedere il testo che avevo letto. Glielo porsi, e portò gli occhi anche oltre il punto ove mi ero arrestato io, ignaro del seguito. Il seguito diceva: "E accogliete chi è debole nella fede". Lo riferì a se stesso, e me lo disse. In ogni caso l’ammonimento rafforzò dentro di lui una decisione e un proposito onesto, pienamente conforme alla sua condotta, che l’aveva portato già da tempo ben lontano da me e più innanzi sulla via del bene. Senza turbamento o esitazione si unì a me. Immediatamente ci rechiamo da mia madre e le riveliamo la decisione presa: ne gioisce; le raccontiamo lo svolgimento dei fatti: esulta e trionfa. E cominciò a benedirti perché puoi fare più di quanto chiediamo e comprendiamo. Vedeva che le avevi concesso a mio riguardo molto più di quanto ti aveva chiesto con tutti i suoi gemiti e le sue lacrime pietose. Infatti mi rivolgesti a te così appieno, che non cercavo più né moglie né avanzamenti in questo secolo, stando ritto ormai su quel regolo della fede, ove mi avevi mostrato a lei tanti anni prima nel corso di una rivelazione; e mutasti il suo duolo in gaudio molto più abbondante dei suoi desideri, molto più prezioso e puro di quello atteso dai nipoti della mia carne. (S. Agostino, Confessioni VIII, 12.30, trad. it. C. Carena, Roma, Cittanuova, 1965)
Giunto il momento in cui dovevo dare il mio nome per il battesimo, lasciammo la campagna e facemmo ritorno a Milano. Alipio volle rinascere anch’egli in te con me. Era già rivestito dell’umiltà conveniente ai tuoi sacramenti e dominava così saldamente il proprio corpo, da calpestare il suolo italico ghiacciato a piedi nudi, il che richiede un coraggio non comune. Prendemmo con noi anche il giovane Adeodato, nato dalla mia carne e frutto del mio peccato. Tu bene l’avevi fatto. Era appena quindicenne, e superava per intelligenza molti importanti e dotti personaggi. Ti riconosco i tuoi doni, Signore Dio mio, creatore di tutto, abbastanza potente per dare forma alle nostre deformità; poiché di mio in quel ragazzo non avevo che il peccato, e se veniva allevato da noi nella tua disciplina, fu per tua ispirazione, non d’altri. Ti riconosco i tuoi doni. In uno dei miei libri, intitolato Il maestro, mio figlio appunto conversa con me. Tu sai che tutti i pensieri introdotti in quel libro dalla persona del mio interlocutore sono suoi, di quando aveva sedici anni. Di molte altre sue doti, ancora più straordinarie, ho avuto la prova. La sua intelligenza m’ispirava un sacro terrore; ma chi, al di fuori di te, poteva essere l’artefice di tali meraviglie? Presto hai sottratto la sua vita alla terra, e il mio ricordo di lui è tanto più franco, in quanto non ho più nulla da temere per la sua fanciullezza, per l’adolescenza e l’intera sua vita. Ce lo associammo, dunque, come nostro coetaneo nella tua grazia, da educare nella tua disciplina. E fummo battezzati, e si dileguò da noi l’inquietudine della vita passata. In quei giorni non mi saziavo di considerare con mirabile dolcezza i tuoi profondi disegni sulla salute del genere umano. Quante lacrime versate ascoltando gli accenti dei tuoi inni e cantici, che risuonavano dolcemente nella tua chiesa! Una commozione violenta: quegli accenti fluivano nelle mie orecchie e distillavano nel mio cuore la verità, eccitandovi un caldo sentimento di pietà. Le lacrime che scorrevano mi facevano bene. (ibid. IX, 6.14)
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (ibid. X, 27.38)
L'arca con le reliquie di S. Agostino nella chiesa di S. Pietro in Ciel d'Oro (Pavia), dove furono traslate nel 724 dal re longobardo Liutprando per scamparle dall'invasione saracena della Sardegna (erano infatti state portate a Cagliari nel 480 c.a, con l'espulsione degli ortodossi dal Nordafrica ad opera del re Unerico dei Vandali, ariani). L'arca è opera di Bonino da Campione e Balduccio da Pisa, e risale alla seconda metà del sec. XIV.
Magne Pater Augustine,
Preces nostras suscipe Et per eas Conditori Nos unire satage: Atque rege gregem tuum, Summum decus praesulum.
Amatorem paupertatis Te collaudant pauperes: Assertorem veritatis Amant veri judices: Frangis nobis favos mellis, De Scripturis disserens.
Quae obscura prius erant Nobis plana faciens, Tu de verbis Salvatoris Dulcem panem conficis, Et propinas potum vitae De Psalmorum nectare.
Tu de vita clericorum Sanctam scribis regulam, Quam qui amant et sequuntur Viam tenent regiam, Atque tuo sancto ductu Redeunt ad patriam.
Regi regum salus, vita, Decus, et imperium: Trinitati laus et honor Sit per omne saeculum, Quae concives nos adscribat Supernorum civium.
℣. Ora pro nobis, beate Augustine, alleluja.
℟. Ut digni efficiamur promissionibus Christi, alleluja.
Ant. ad Magn. Lætare, mater
nostra Jerusalem, quia Rex tuus dispensatorem strenuum et civem fidelissimum
de servitute Babylonis tibi redemit Augustinum, alleluja.
O gran Padre Agostino,
accogli le nostre preghiere, e per mezzo d’esse, accorri per unirci al Creatore: e conduci il tuo gregge, o sommo splendore dei presuli.
In quanto amante della povertà
insieme ti lodano i poveri:
in quanto assertore della verità
ti amano i veri giudici:
frangi per noi favi stillanti miele
dissertando sulle Scritture.
Rendendoci chiare quelle
che per noi prima erano oscure,
tu con le parole del Salvatore
prepari un dolce pane,
e offri la bevanda della vita
dal nettare dei Salmi.
Tu della vita dei chierici
scrivi la santa regola,
e coloro che la amano e la seguono
mantengono la via regale,
e sotto la tua santa guida
ritornano alla patria.
Al Re dei Re sia salvezza, vita,
splendore e potenza:
alla Trinità sia lode e onore
per tutta l’eternità,
la qual ci faccia concittadini
degli abitanti del cielo.
℣. Prega per noi, o beato Agostino, alleluja.
℟. Acciocché siam resi degni delle promesse di Cristo, alleluja.
Ant. ad Magn. Rallegrati,
madre nostra Gerusalemme, poiché il tuo Re ha ricondotto a te Agostino dalla
schiavitù di Babilonia, intendente zelante e cittadino fedelissimo, alleluja.
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