di Luca Farina
La liturgia
ambrosiana del giovedì santo presenta in modo molto diverso dal corrispettivo
romano i primi episodi della Passione. Anzitutto è diverso l’aspetto
accentuato: l’istituzione dell’Eucarestia non è vista tanto come episodio
gioioso ma sacrificale: da qui l’uso del colore liturgico rosso per la
celebrazione in Coena Domini e, di conseguenza, per tutte le altre
funzioni legate strettamente al Santissimo Sacramento. In questo scritto ci
concentreremo particolarmente su alcuni testi, esprimenti la natura sacrificale
(né gaudiosa né luttuosa) di questi misteri della redenzione.
Giotto, Bacio di Giuda, 1303-1305, particolare |
La Messa in
Coena Domini è inserita all’interno della celebrazione vespertina. Il primo
testo che analizziamo è infatti l’inno dei Vespri, Hymnum canamus supplices:
Hymnum canámus
súpplices
laudes Deo cum
cántico,
nostrum genus qui nóxium
suo redimi sánguine.
Caligo noctem
dúxerat
noctem cruenta
crímine,
cum venit ad cenam
ferus
Christi sacrátam
próditor.
Iesus futúra
núnciat
Apóstolis
cenántibus:
morti Magístrum pérfidus
convíva tradet caélicum.
Iudas pudóri
immemor
Christi genis dat
ósculum;
pium sed Agnus
innocens
negáre nescit ósculum.
Tunc villis argénti nitor
lucem pepéndit saéculi;
mercátor ille péssimus
solem tenébris
véndidit.
Praeses Pilátus
inscium
Iesum fatétur
críminis,
undáque palmas
ábluens
plebis furóri
trádidit.
At turba saevi
pérdita
vitam latrónis
praéferens,
damnat supérnum
Iúdicem
crucique Regem
déstinat.
Vinclis Barábbas
sólvitur,
quem culpa morti addixerat;
et Vita mundi caéditur,
per quam resúrgunt mórtui.
Patri simúlque Filio,
Tibique, Sancte
Spiritus,
sicut fuit, sic
iúgiter
saeclum per omne glória. Amen.[1]
Traduzione: Cantiamo supplici un inno di lode al Dio
che venne a redimere col Suo sangue la nostra umanità colpevole. / Il vespro
aveva lasciato il posto alla notte, cruenta per il delitto; quando venne alla
santa cena di Cristo l’empio traditore. / Gesù annuncia agli Apostoli che
mangiavano il futuro: uno dei commensali consegnerà il Divin Maestro a morte. /
Giuda, senza alcun pudore, bacia Cristo sulla guancia; eppure l’Agnello
innocente non si sottrae al bacio. / Così, il vile bagliore dell’argento [delle
monete] paga la luce del mondo; il tremendo mercante ha venduto il Sole alle
tenebre. / Il prefetto Pilato riconosce Gesù innocente, ma poi lavandosi le
mani lo consegna al furore della folla. / Così la folla scellerata preferisce
la vita di un criminale e condanna il giudice supremo, destinando il Re alla
Croce. / Barabba viene liberato, colui che la sua colpa aveva condannato a
morte: è invece uccisa la Vita del mondo, per la quale i morti risorgono. Sia
gloria al Padre e al Figlio e a Te, Spirito Santo, come fu e come sarà per
sempre nei secoli. Amen.
L’inno è attribuito a S. Ambrogio da alcuni
autori, nonostante il parere contrario dei Maurini che curarono la biografia in
due volumi uscita tra 1686 e 1690[2].
In ogni modo, il testo dell’inno presenta la cena e il tradimento, segnato dal
sacrilego bacio, la condanna di Cristo e la liberazione ingiusta dell’empio
Barabba.
All’inno segue un responsorio in coro:
Omnes vos
scandalum patiemini in me hac nocte, dicit Dominus. Scriptum est enim: V
Percutiam pastorem et dispergentur oves gregis.
Sic? Non
potuistis una hora vigilare, qui exhortabamini mori mecum? Vel Judam videte
quomodo non dormit, sed festinat tradere me Judaeis. Surgite, eamus;
appropinquavit enim hora, sicut scriptum est; V
Percutiam pastorem et dispergentur oves gregis.
Trad.: Questa notte voi tutti sarete scandalizzati a
causa mia, dice il Signore. Infatti sta scritto: ucciderò il pastore e le
pecore del gregge saranno disperse. Così non avete potuto vigilare una sola ora
con me, voi che vi esortavate a morire con me? Ma vedete come non dorme Giuda e
si affretta a consegnarmi ai Giudei. Alzatevi, andiamo; ormai l’ora è giunta,
infatti sta scritto: ucciderò il pastore e le pecore del gregge saranno
disperse.
Il responsorio presenta il rimprovero del
Signore agli Apostoli; coloro che si erano esortati a morire non riescono
neppure a stare svegli un’ora in preghiera, come racconta il Vangelo.
A questo punto viene letto l’intero libro del
profeta Giona, che consta di appena 4 capitoli. Alla lettura segue un salmello,
possibilmente da far cantare ai fanciulli, che riporta di nuovo gli ammonimenti
del Signore nell’orto degli ulivi:
Vigilate, et orate, ne intretis in
tentationem: quia Filius hominis tradetur in manus peccatorum. Surgite, eamus:
ecce appropinquavit qui me traditurus est in manus peccatorum.[3]
Trad.: Vegliate e pregate, per non entrare in
tentazione: perché il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei
peccatori. Alzatevi, andiamo: ecco che è arrivato colui che mi consegnerà nelle
mani dei peccatori.
Mentre si canta il salmello il celebrante
depone il piviale, assume pianeta e manipolo e inizia la Messa, more solito.
Dopo l’epistola (I Cor. XI 20-34) si canta un brano di squisita composizione:
Tamquam ad
latronem venistis cum gladiis comprehendere me: quotidie apud vos eram in
templo docens, et non me tenuistis: et ecce traditis ad crucifigendum. Adhuc eo
loquente, ecce turba: et qui vocabatur Judas, venit, et appropinquavit ad Jesum
ut eum oscularetur. Jesus autem dixit ei: Juda, osculo Filium hominis tradis ad
crucifigendum?
Trad.: Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi
armati di spade: ogni giorno ero nel tempio ad insegnare, in mezzo a voi, e non
mi avete catturato: ed ecco, ora mi consegnate per la crocifissione. Mentre
ancora parlava, ecco la folla: e Giuda arrivò, si avvicinò a Gesù per baciarlo.
Gesù gli disse: Giuda, con un bacio consegni il Figlio dell’uomo alla
crocifissione?
Il brano, la cui prima parte, con qualche
variante testuale, costituisce il IV Responsorio del Mattutino del venerdì santo
romano, mette in luce la cattura del Salvatore. Molto interessante è il gioco di
parole: l’originale etimo del verbo trado, consegnare, diventa la base
dell’esito italiano tradire: è interessante notare che «quell’anima là
su c’ha maggior pena» (IF XXIV 61) riesce a far modificare, suo malgrado
(contro una certa retorica giustificazionista[4]),
il senso di un verbo. Al lungo brano della Passione (Matth. XXVI 17-75),
proclamato dal solo diacono senza “drammatizzazione”, segue una dolce antifona
dopo il Vangelo:
Coenae tuae mirabili hodie Filius Dei socium
me accipis. Non enim inimicis tuis hoc mysterium dicam, non tibi dabo osculum sicuti
et Iudas: sed sicut latro confitendo te: memento mei Domine in regno tuo.
Trad.: Oggi, Figlio di Dio, come amico alla tua
mistica cena mi accogli. Non consegnerò ai tuoi nemici questo mistero, né ti
bacerò come Giuda, ma confido in Te come il ladro: ricordati di me, Signore,
nel Tuo regno.
Nella traduzione italiana inimicis tuis
è stato reso con indegni: è vero che in realtà nessuno di noi è degno di
accostarsi alla Sacra Mensa (ripetiamo infatti «Domine non sum dignus»
prima di comunicarci), ma probabilmente si voleva evitare l’utilizzo di un
termine ritenuto troppo forte in nome dell’imperante buonismo. È interessante
notare che lo stesso testo costituisce il tropario bizantino per lo stesso
giorno. Riportiamo solamente il testo greco, dal momento che la traduzione è
esattamente la stessa:
Τοῦ
Δείπνου σου τοῦ μυστικοῦ σήμερον, Υἱὲ Θεοῦ, κοινωνόν με παράλαβε οὐ μὴ γὰρ τοῖς ἐχθροῖς σου τὸ
μυστήριον εἴπω οὐ φίλημά σοι δώσω, καθάπερ ὁ Ἰούδας· ἀλλ᾿ ὡς ὁ Λῃστὴς ὁμολογῶ σοι Μνήσθητί
μου, Κύριε, ἐν τῇ βασιλείᾳ σου.
L’ultimo brano che analizziamo è il
Confrattorio, eseguito allo spezzare del pane, che la liturgia ambrosiana
prevede dopo la fine del Canone (particolarmente ricco per questa celebrazione)
e prima del Pater Noster. Così recita il testo:
Hoc Corpus quod pro vobis tradetur: hic
Calix novi testamenti est in meo Sanguine, dicit Dominus. Hoc facite,
quoetiescumque sumetis, in meam commemorationem.
Trad.: Questo è il Corpo che è dato per voi; questo è
il Calice della nuova alleanza nel mio Sangue, dice il Signore. Ogni volta che
lo assumete fate questo in memoria di me.
Ancora una volta riecheggiano le parole con
cui il Signore istituisce il gran Sacramento.
In seguito, terminata la celebrazione, il
Santissimo viene traslato all’altare di reposizione (popolarmente noto come scurolo),
dove rimarrà fino all’inizio della Messa della Vigilia pasquale. Si terminano i
Vespri in modo consueto.
[1]
Questo testo e quelli del Vespro sono tratti da Breviarium Ambrosianum, typis
Joannis Daverio, Mediolani 1957, pp. 570-571.
[2]
Sancti Ambrosii Mediolanensis Opera, Coignard, Paris 1686. Per quanto
concerne il dibattito sull’attribuzione si veda Ufficio della Settimana
Santa in ispecie secondo il rito ambrosiano, per Vincenzo Ferrario, Milano
1821, pp.153-154.
[3]
Questo testo e gli altri della Messa sono tratti da Missale Ambrosianum,
ex typographia Pontificali Archiepiscopali Sancti Joseph, Mediolani 1936, pp. 176-185;
XVIII [Ho indicato in cifre romane le pagine del Repertorium in
appendice, che sul Messale sono però indicate con le cifre arabe, generando
potenziale confusione nel lettore].
[4]
Sia concessa una piccola nota teologica: c’è ormai da alcuni anni una corrente
eretica che mira a giustificare l’operato di Giuda; non si arriva certo ad una
sua glorificazione come facevano gli gnostici cainiti, ma testi come l’omelia Nostro
fratello Giuda di Don Primo Mazzolari vanno in questa linea. L’orazione sul
popolodi questa Messa ci dice invece con estrema chiarezza: «a quo et Judas
reatus sui poenam».
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