giovedì 21 aprile 2022

Alcuni brani ambrosiani del Giovedì Santo

 di Luca Farina

La liturgia ambrosiana del giovedì santo presenta in modo molto diverso dal corrispettivo romano i primi episodi della Passione. Anzitutto è diverso l’aspetto accentuato: l’istituzione dell’Eucarestia non è vista tanto come episodio gioioso ma sacrificale: da qui l’uso del colore liturgico rosso per la celebrazione in Coena Domini e, di conseguenza, per tutte le altre funzioni legate strettamente al Santissimo Sacramento. In questo scritto ci concentreremo particolarmente su alcuni testi, esprimenti la natura sacrificale (né gaudiosa né luttuosa) di questi misteri della redenzione.

Giotto, Bacio di Giuda, 1303-1305, particolare


La Messa in Coena Domini è inserita all’interno della celebrazione vespertina. Il primo testo che analizziamo è infatti l’inno dei Vespri, Hymnum canamus supplices:

Hymnum canámus súpplices

laudes Deo cum cántico,

nostrum genus qui nóxium

suo redimi sánguine.

 

Caligo noctem dúxerat

noctem cruenta crímine,

cum venit ad cenam ferus

Christi sacrátam próditor.

 

Iesus futúra núnciat

Apóstolis cenántibus:

morti Magístrum pérfidus

convíva tradet caélicum.

 

Iudas pudóri immemor

Christi genis dat ósculum;

pium sed Agnus innocens

negáre nescit ósculum.

 

Tunc villis argénti nitor

lucem pepéndit saéculi;

mercátor ille péssimus

solem tenébris véndidit.

 

Praeses Pilátus inscium

Iesum fatétur críminis,

undáque palmas ábluens

plebis furóri trádidit.

 

At turba saevi pérdita

vitam latrónis praéferens,

damnat supérnum Iúdicem

crucique Regem déstinat.

 

Vinclis Barábbas sólvitur,

quem culpa morti addixerat;

et Vita mundi caéditur,

per quam resúrgunt mórtui.

 

Patri simúlque Filio,

Tibique, Sancte Spiritus,

sicut fuit, sic iúgiter

saeclum per omne glória. Amen.[1]

Traduzione: Cantiamo supplici un inno di lode al Dio che venne a redimere col Suo sangue la nostra umanità colpevole. / Il vespro aveva lasciato il posto alla notte, cruenta per il delitto; quando venne alla santa cena di Cristo l’empio traditore. / Gesù annuncia agli Apostoli che mangiavano il futuro: uno dei commensali consegnerà il Divin Maestro a morte. / Giuda, senza alcun pudore, bacia Cristo sulla guancia; eppure l’Agnello innocente non si sottrae al bacio. / Così, il vile bagliore dell’argento [delle monete] paga la luce del mondo; il tremendo mercante ha venduto il Sole alle tenebre. / Il prefetto Pilato riconosce Gesù innocente, ma poi lavandosi le mani lo consegna al furore della folla. / Così la folla scellerata preferisce la vita di un criminale e condanna il giudice supremo, destinando il Re alla Croce. / Barabba viene liberato, colui che la sua colpa aveva condannato a morte: è invece uccisa la Vita del mondo, per la quale i morti risorgono. Sia gloria al Padre e al Figlio e a Te, Spirito Santo, come fu e come sarà per sempre nei secoli. Amen.



L’inno è attribuito a S. Ambrogio da alcuni autori, nonostante il parere contrario dei Maurini che curarono la biografia in due volumi uscita tra 1686 e 1690[2]. In ogni modo, il testo dell’inno presenta la cena e il tradimento, segnato dal sacrilego bacio, la condanna di Cristo e la liberazione ingiusta dell’empio Barabba.

All’inno segue un responsorio in coro:

Omnes vos scandalum patiemini in me hac nocte, dicit Dominus. Scriptum est enim: V Percutiam pastorem et dispergentur oves gregis.

Sic? Non potuistis una hora vigilare, qui exhortabamini mori mecum? Vel Judam videte quomodo non dormit, sed festinat tradere me Judaeis. Surgite, eamus; appropinquavit enim hora, sicut scriptum est; V Percutiam pastorem et dispergentur oves gregis.

Trad.: Questa notte voi tutti sarete scandalizzati a causa mia, dice il Signore. Infatti sta scritto: ucciderò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse. Così non avete potuto vigilare una sola ora con me, voi che vi esortavate a morire con me? Ma vedete come non dorme Giuda e si affretta a consegnarmi ai Giudei. Alzatevi, andiamo; ormai l’ora è giunta, infatti sta scritto: ucciderò il pastore e le pecore del gregge saranno disperse.

Il responsorio presenta il rimprovero del Signore agli Apostoli; coloro che si erano esortati a morire non riescono neppure a stare svegli un’ora in preghiera, come racconta il Vangelo.

A questo punto viene letto l’intero libro del profeta Giona, che consta di appena 4 capitoli. Alla lettura segue un salmello, possibilmente da far cantare ai fanciulli, che riporta di nuovo gli ammonimenti del Signore nell’orto degli ulivi:

Vigilate, et orate, ne intretis in tentationem: quia Filius hominis tradetur in manus peccatorum. Surgite, eamus: ecce appropinquavit qui me traditurus est in manus peccatorum.[3]

Trad.: Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione: perché il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo: ecco che è arrivato colui che mi consegnerà nelle mani dei peccatori.

Mentre si canta il salmello il celebrante depone il piviale, assume pianeta e manipolo e inizia la Messa, more solito. Dopo l’epistola (I Cor. XI 20-34) si canta un brano di squisita composizione:

Tamquam ad latronem venistis cum gladiis comprehendere me: quotidie apud vos eram in templo docens, et non me tenuistis: et ecce traditis ad crucifigendum. Adhuc eo loquente, ecce turba: et qui vocabatur Judas, venit, et appropinquavit ad Jesum ut eum oscularetur. Jesus autem dixit ei: Juda, osculo Filium hominis tradis ad crucifigendum?

Trad.: Come se fossi un ladro siete venuti a prendermi armati di spade: ogni giorno ero nel tempio ad insegnare, in mezzo a voi, e non mi avete catturato: ed ecco, ora mi consegnate per la crocifissione. Mentre ancora parlava, ecco la folla: e Giuda arrivò, si avvicinò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: Giuda, con un bacio consegni il Figlio dell’uomo alla crocifissione?

Il brano, la cui prima parte, con qualche variante testuale, costituisce il IV Responsorio del Mattutino del venerdì santo romano, mette in luce la cattura del Salvatore. Molto interessante è il gioco di parole: l’originale etimo del verbo trado, consegnare, diventa la base dell’esito italiano tradire: è interessante notare che «quell’anima là su c’ha maggior pena» (IF XXIV 61) riesce a far modificare, suo malgrado (contro una certa retorica giustificazionista[4]), il senso di un verbo. Al lungo brano della Passione (Matth. XXVI 17-75), proclamato dal solo diacono senza “drammatizzazione”, segue una dolce antifona dopo il Vangelo:

Coenae tuae mirabili hodie Filius Dei socium me accipis. Non enim inimicis tuis hoc mysterium dicam, non tibi dabo osculum sicuti et Iudas: sed sicut latro confitendo te: memento mei Domine in regno tuo.

Trad.: Oggi, Figlio di Dio, come amico alla tua mistica cena mi accogli. Non consegnerò ai tuoi nemici questo mistero, né ti bacerò come Giuda, ma confido in Te come il ladro: ricordati di me, Signore, nel Tuo regno.



Nella traduzione italiana inimicis tuis è stato reso con indegni: è vero che in realtà nessuno di noi è degno di accostarsi alla Sacra Mensa (ripetiamo infatti «Domine non sum dignus» prima di comunicarci), ma probabilmente si voleva evitare l’utilizzo di un termine ritenuto troppo forte in nome dell’imperante buonismo. È interessante notare che lo stesso testo costituisce il tropario bizantino per lo stesso giorno. Riportiamo solamente il testo greco, dal momento che la traduzione è esattamente la stessa:

Το Δείπνου σου το μυστικο σήμερον, Υἱὲ Θεο, κοινωνόν με παράλαβε ο μ γρ τος χθρος σου τ μυστήριον επω ο φίλημά σοι δώσω, καθάπερ ούδας· λλ᾿ ς Λστς μολογ σοι Μνήσθητί μου, Κύριε, ν τ βασιλεί σου.

L’ultimo brano che analizziamo è il Confrattorio, eseguito allo spezzare del pane, che la liturgia ambrosiana prevede dopo la fine del Canone (particolarmente ricco per questa celebrazione) e prima del Pater Noster. Così recita il testo:

Hoc Corpus quod pro vobis tradetur: hic Calix novi testamenti est in meo Sanguine, dicit Dominus. Hoc facite, quoetiescumque sumetis, in meam commemorationem.

Trad.: Questo è il Corpo che è dato per voi; questo è il Calice della nuova alleanza nel mio Sangue, dice il Signore. Ogni volta che lo assumete fate questo in memoria di me.

Ancora una volta riecheggiano le parole con cui il Signore istituisce il gran Sacramento.

In seguito, terminata la celebrazione, il Santissimo viene traslato all’altare di reposizione (popolarmente noto come scurolo), dove rimarrà fino all’inizio della Messa della Vigilia pasquale. Si terminano i Vespri in modo consueto.



[1] Questo testo e quelli del Vespro sono tratti da Breviarium Ambrosianum, typis Joannis Daverio, Mediolani 1957, pp. 570-571.

[2] Sancti Ambrosii Mediolanensis Opera, Coignard, Paris 1686. Per quanto concerne il dibattito sull’attribuzione si veda Ufficio della Settimana Santa in ispecie secondo il rito ambrosiano, per Vincenzo Ferrario, Milano 1821, pp.153-154.

[3] Questo testo e gli altri della Messa sono tratti da Missale Ambrosianum, ex typographia Pontificali Archiepiscopali Sancti Joseph, Mediolani 1936, pp. 176-185; XVIII [Ho indicato in cifre romane le pagine del Repertorium in appendice, che sul Messale sono però indicate con le cifre arabe, generando potenziale confusione nel lettore].

[4] Sia concessa una piccola nota teologica: c’è ormai da alcuni anni una corrente eretica che mira a giustificare l’operato di Giuda; non si arriva certo ad una sua glorificazione come facevano gli gnostici cainiti, ma testi come l’omelia Nostro fratello Giuda di Don Primo Mazzolari vanno in questa linea. L’orazione sul popolodi questa Messa ci dice invece con estrema chiarezza: «a quo et Judas reatus sui poenam».

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