sabato 1 dicembre 2018

Note storiche, liturgiche e ascetiche sull'Avvento

L'Avvento incipiente si configura come uno dei grandi periodi di ascesi dell'anno nell'ortoprassi cristiana. E' un periodo di meditazione e di raccoglimento, austero. Di origine monastica, l'ascesi dell'Avvento era anticamente caratterizzata dal digiuno, e ancora lo è nella prassi bizantina, mentre in quella occidentale, secondo il card. Lambertini, i fedeli sono stati sollevati dall'obbligo di digunare in Avvento, pur restando comandato loro compiere un percorso ascetico in questo periodo. Ancorché nettamente meno severo della Quaresima, è nondimeno un periodo di conversione e di penitenza, di esercizio (àskesis) spirituale e fisico, di purificazione per meglio accogliere il Signore che arriva. L’Avvento è una lunga vigilia, una veglia, un periodo di vigilanza che ci prepara per l’arrivo di Cristo, il Re dei Re che inizia il suo regno con la sua umile nascita a Betlemme.
Per meglio comprendere la duplice natura, di attesa e di penitenza, dell'Avvento, sarà d'uopo ripercorrere anzitutto le vicende storiche che portarono alla costituzione di questo tempo, indi le caratteristiche liturgiche di questo periodo e infine riflettere spiritualmente sull'ascesi richiesta da esso.

1. Storia dell'Avvento

Non è noto da quando s'iniziò a osservare un periodo di preparazione per il Natale, che poi assumerà in Occidente il nome di Adventus (la prima attestazione è nei Capitolari di Carlo il Calvo, al sesto capitolo, che sono dell'864). Sappiamo che il Natale iniziò a festeggiarsi nel corso del IV secolo, e siamo certi dell'esistenza della "quaresima di Natale" dal V secolo circa; il Concilio di Tours nel 567 prescrive ai monaci di digiunare ogni giorno more quadragesimali dal primo giorno di dicembre fino al Natale. Ancorché alcuni commentatori lo facciano rimontare agli Apostoli, la cosa pare sospetta, sicché realmente non sappiamo con precisione quale sia stata l'origine storica dell'Avvento.
San Gregorio di Tours (in Historia Francorum) ci riferisce che attorno al 480 il vescovo Perpetuo decretò che dal giorno di S. Martino (11 novembre) sino a Natale i fedeli digiunassero tre volte alla settimana, anziché due come avveniva consuetamente. Ma non è dato sapere se si trattasse dell'istituzione di una nuova pratica, o piuttosto del richiamo all'osservanza di un costume già introdotto da tempo. Secondo alcuni storici, fino alla metà del VI secolo non si ritrovano testimonianze di un digiuno natalizio al di fuori della diocesi di Tours.
Troviamo quindi il nono canone del I Concilio di Mâcon, tenutosi nel 583 e valevole per quasi tutta la Francia, il quale ordina che, durante i 43 giorni che separano la festa di S. Martino dal Natale, si digiuni il lunedì, il mercoledì, il venerdì, e sacrificium celebrabitur ritu quadragesimali. Rabano Mauro pure attesta l'esistenza di questa Quaresima di S. Martino, e molti iniziarono a seguire pratiche più rigorose di quelle prescritte a Macon, digiunando ogni giorno come era stato richiesto ai monaci. E' interessante però notare che nei testi di ambito romano, come nelle omelie di S. Gregorio il Grande, pur trovandosi riferimenti all'Avvento liturgico, non si menziona mai il digiuno. La diffusione in tutto l'Occidente di questa prassi pare nondimeno essere avvenuta nei secoli successivi (S. Beda il Venerabile la menziona per le isole britanniche; un diploma di Astolfo [metà del VIII secolo] per la penisola italica; tale digiuno è inoltre menzionato tra quelli osservati da tutta la Chiesa nella lettera che Papa S. Nicola I rivolge ai convertiti Bulgari).

Nel basso Medioevo il costume pare ormai attestato: S. Pier Damiani parla ancora di una quaresima di 40 giorni di digiuno prima della Natività; nondimeno, leggiamo nella bolla di canonizzazione di S. Luigi di Francia che "lo zelo con cui [egli] osservò il digiuno [di Natale] era un costume ormai più non praticato dai Cristiani". Tant'è che in quei secoli il digiuno fu ridotto, avendo il suo nuovo inizio nella festa di S. Andrea (30 novembre), come già proponevano autori come Raterio di Verona e Abbondio di Fleury. Pare comunque che questo digiuno fosse realmente limitato alla sola astinenza: così il Concilio di Selingstadt (1122), che lo prescrive pei soli chierici, e il Concilio di Salisbury (1281), che lo limita addirittura ai monaci. Tuttavia, Innocenzo III attesta che a Roma questo digiuno si praticasse per intero da tutti ancora nel Trecento, e un'identica nozione possiamo avere per la Francia, secondo quanto ci riferisce il Rationale divinorum officiorum di Guillaume Durand.

L'affievolirsi della pratica si attesta però in tempi brevi: Papa Urbano V, salito al soglio nel 1362, obbligò i membri della sua corte a osservare l'astinenza in questo periodo -segno che non veniva più osservato, non stabilendo più però alcun obbligo per gli altri chierici, né tanto meno pei laici.
Come detto, l'insegnamento definitivo può essere quello dato dal bolognese card. Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, il quale conferma che, pur essendo digiuno e astinenza imposti solo ai religiosi in questo periodo, nondimeno ogni fedele è tenuto a osservare pratiche di mortificazione e ascesi per degnamente prepararsi alla venuta di Nostro Signore Gesù Cristo.

Sull'origine del digiuno nelle altre tradizioni non occidentali, non è dato sapere granché. I commentatori greci fissano la sua origine nella pratica monastica del VI secolo, ma senza portare testimonianze rilevanti. Nella pratica bizantina il digiuno inizia dopo la festa di S. Filippo (15 novembre), ed è nettamente meno rigido della Quaresima, dacché pur vietandosi ogni giorno carne, uova e latticini, sono spesso permessi olio, vino e pesce, anche per via delle numerose feste importanti che cadono in questo tempo.
Un simile digiuno è attestato pure nella Chiesa Armena (principiante il 19 novembre) e in quella Copta, in cui però si osserva un altro piccolo digiuno tre giorni prima dell'inizio di quello d'Avvento, per commemorare il miracolo del movimento del monte Mukattam per opera di S. Simone il Conciatore, occorso nel 975.

2. Storia liturgica dell'Avvento

Dai Sacramentari Gregoriani, pare che anticamente in Roma l'Avvento, inteso stavolta come collazione di uffici propri preparatori alla festa del Natale, abbracciasse cinque domeniche (una simile indicazione è riportata pure nei sacramentari gelasiani, del VII secolo, mentre in quelli leoniani, del VI secolo, non se ne ha traccia; presto iniziano a comparire pure le ufficiature dei giorni delle Tempora d'Avvento). Già nel X secolo la quasi totalità dei commentatori (tra gli altri, Amalario di Metz, S. Nicola I Papa, Bernone di Reichenau e Reterio di Verona) attesta che gli uffici liturgici dell'Avvento si celebrano per sole quattro domeniche.

La Chiesa ambrosiana conta ancor oggi sei settimane nella sua liturgia dell'Avvento; il Messale gotico o mozarabico mantiene la stessa usanza. Per la Chiesa gallicana, i frammenti che Dom Mabillon ci ha conservati della sua liturgia non ci attestano nulla a questo riguardo; ma è naturale pensare con questo studioso la cui autorità è rafforzata anche da quella di Dom Martène, che la Chiesa delle Gallie seguisse su questo punto, come su tanti altri, le usanze della Chiesa gotica. L'Avvento di quattro settimane, sul modello romano, pare nondimeno attestato in molti luoghi: nel Patriarcato di Aquileja la durata per esempio era tale, ma si aggiungevano degli uffici propri per tutti i mercoledì e venerdì d'Avvento, e non solo quelli delle Tempora. 

I testi romani per l'Avvento sono squisitamente poetici e ricchi di riferimenti all'Antico Testamento, particolarmente nelle ufficiature delle ore canoniche, con le loro dolci antifone; benché si celebrino numerosi uffici di Santi, che mantengono le loro proprie gioiose caratteristiche, la liturgia domenicale è resa austera dall'assenza del Gloria. Sull'addobbo delle chiese, gli autori non sono concordi: taluni propongono di seguire le indicazioni (chiare) per la Quaresima, altri chiamano in causa il carattere mite della penitenza dell'Avvento per permettere il suono dell'organo e i reliquiari sull'altare. Il Gavanto sostiene che in Avvento bisognerebbe comunque dimostrare una certa morigeratezza, evitando di decorare gli altari con fiori e reliquiari molto preziosi.
A partire dal XIII secolo circa, il colore liturgico dell'Avvento in Occidente è divenuto il viola; interessante è notare che Papa Innocenzo III ritenesse il nero il colore adatto alla celebrazione di questo tempo (colore sconosciuto alla prassi romana antica, tant'è che non è impiegato nemmeno per le ferie quaresimali laddove moltissimi riti occidentali lo preferiscono). Storicamente dunque pare esser stata preferita la tesi di Durando di Saint-Pourçain, che lamentava la scelta del Pontefice esponendogli le ragioni del viola. Alla terza domenica d'Avvento, la Gaudete, fu poi assegnato il color rosaceo per analogia colla quarta domenica di Quaresima. Alcuni usi locali, come quello di Sarum in Inghilterra o quello mozarabico, fin dall'VIII secolo propendevano per paramenti colorati con una sorta di blu, detto poi blu di Sarum. Anche altre tradizioni locali prediligevano per l'Avvento un viola tendente al blu, mentre per la Quaresima se ne impiegava uno tendente al rosso; in epoca tridentina fu precisato che però il viola prescritto dalle rubriche è uno solo, ed eventuali distinzioni d'intensità non hanno relazione colle norme liturgiche.

La liturgia bizantina non presenta di per sé un insieme di officiature proprie del tempo d'Avvento; alcuni monasteri in Russia presero l'usanza di celebrare in questo periodo le liturgie dei presantificati, come in Quaresima, e celebrare le ore canoniche secondo il rito quaresimale; questa nonpertanto era pratica sconosciuta alla Chiesa Greca e ai suoi libri liturgici: in essi gli unici elementi che richiamano la preparazione alla Natività sono alcune antifone proprie riferite al Natale che si cantano nelle feste e nelle domeniche che cadono dopo il 21 novembre.
Il carattere proprio di questo periodo di avvicinamento al Natale è dato pure dalla disposizione delle feste dei santi: in queste settimane vengono commemorati ad esempio i profeti dell'Antico Testamento che previdero l'Incarnazione, tra i quali Abdia (19 novembre), Naum (1 dicembre), Abacuc (2 dicembre), Sofonia (3 dicembre), Aggeo (16 dicembre), Daniele e i tre giovani (17 dicembre).
La domenica che cade tra l'11 e il 17 dicembre è dedicata ai Patriarchi, da Adamo in poi (Set, Enoch, Noè, Abramo, Giacobbe, Re Davide e molti altri), rammentando così la discendenza di Gesù Cristo. La domenica successiva, quella che cade immediatamente prima di Natale, è, in strettissima relazione colla precedente, dedicata ai Santi Padri, cioè a tutti i giusti, uomini e donne, vissuti dalla Creazione del mondo sino a San Giuseppe. Il vangelo di questa domenica è la Genealogia di Cristo tolta da S. Matteo.
La preparazione prossima al Natale inizia il 20 dicembre, data a partire dalla quale si cantano quotidianamente gl'inni natalizi, e in alcune tradizioni (quella russa ad esempio) s'impiegano già paramenti e addobbi festivi. Questa lunga vigilia culmina con la celebrazione della paramonì (παραμονή), la vigilia vera e propria, il 24 dicembre, con i suoi uffici propri (la Grande Compieta, le Ore Regali...) e il suo strettissimo digiuno.

3. Spunti di ascetica per l'Avvento


Nei tempi moderni, l'ascesi costituisce quasi una sfida, una dura prova a cui è sottoposta la nostra tendenza a una generale rilassatezza e semplificazione che rischia di toccare anche la sfera religiosa. Per poter seguire però con obbedienza i precetti stabiliti dall'ortoprassi, è giovevole conoscere i vantaggi spirituali del digiuno di Natale, il suo scopo e le sue funzioni.

Amma Teodora, una delle Madri del Deserto, diceva che "non è la disciplina spirituale, o la veglia, che ci salvano, se non vi è una genuina umiltà. Infatti, vi era un monaco che cacciava i demoni e soleva dir loro:
'Cosa ti ha fatto uscire? E' stato il digiuno?' ed essi rispondevano: 'Noi non mangiamo né beviamo'
Gli diceva: 'La veglia?' ed essi: 'Noi non dormiamo'.
'Il ritiro dal mondo', ed essi rispondevano: 'Noi esistiamo pure nel deserto'.
'Cosa vi ha fatto uscire allora', ed essi risposero: 'Nulla ci discaccia fuorché l'umiltà'.
Vedi dunque che l'umiltà è vittoriosa sui demoni?"

La vittoria spirituale sui demoni non è certo cosa che accade solo nel deserto o nei monasteri, ma avviene quotidianamente negli umili di cuore. Come i demoni stessi sono stati costretti ad ammettere, loro non mangiano, non dormono, non vivono in città lussuriose e amene (e infatti, forse con sorpresa di taluni, il luogo dove più spesso si manifestano è il deserto, come c'insegnano del resto le vite dei Padri). Non è dunque la pratica in sé che vince i demoni, ma l'umiltà che si conquista attraverso questa pratica ascetica.

Se l'ascesi fosse solo obbedire ciecamente a dei precetti, che vantaggio spirituale ci sarebbe? Anche i demoni lo fanno! Ma la vera lotta spirituale, praticata dai santi monaci ma doverosa per tutti i Cristiani, e di suscitare, conservare e sviluppare, attraverso l'ascesi, l'umiltà, un cuore umile. Difatti i demoni non hanno umiltà, e non possono nemmeno abitare in un cuore umile, perché nei cuori umili Iddio si compiace! E infatti dice l'Altissimo, "che abita l'eternità, il cui nome è Santo: Io abito in un luogo alto e santo, e con colui che è di spirito contrito e umile, per ravvivare lo spirito degli umili e per rianimare il cuore del contrito" (Isaia 57,15).

Il digiuno di Natale non è semplicemente obbedire a una serie di regole alimentari (che infatti, in Occidente sono state tolte per i semplici laici, lasciando a ciascuno l'obbligo però di individuare col proprio padre spirituale una via ascetica per santificare questo tempo), sibbene il suo scopo è preparare un cuore umile in cui Nostro Signore Gesù Cristo nascente possa trovare un luogo ove abitare. L'umiltà purifica il nostro cuore, attraverso l'ascesi, il digiuno e il sacramento della penitenza.

"Ogni confessione genuina rende umile l'anima. Quando prende la forma di ringraziamento, insegna all'anima che è stata guidata dalla grazia di Dio. Quando prende la forma di accusa dei propri peccati, insegna all'anima che la colpa delle cattive azioni è della propria deliberata indolenza.
La confessione ha infatti due forme. La prima è ringraziare per le benedizioni ricevute; la seconda è mettere luce ed esaminare gli errori che abbiamo commesso. S'impiega il termine "confessione" sia per il ringraziamento per le benedizioni che abbiamo ricevuto per grazia divina, sia per l'ammissione dei peccati che abbiamo commessi per nostra colpa. Entrambe le forme sono infatti sorgenti di umiltà. Chi infatti ringrazia Dio per le grazie ricevute, e chi esamina se stesso per le offese compiute, sono entrambi umiliati. Il primo giudica se stesso indegno di quanto gli è stato donato; il secondo implora perdono pei propri peccati." (S. Massimo il Confessore, Filocalia)

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