martedì 1 gennaio 2019

Dell'efficacia dell'invocazione del Santo Nome del Signore

Il Santissimo Nome di Nostro Signore, di cui oggi ricorre la festa liturgica, è tra gli elementi più bistrattati tra i fedeli: quante volte infatti si usa pregare rivolgendosi a Cristo col Suo Nome proprio, come ci si stesse rivolgendo a un amico qualsiasi, quando invece si sta parlando al nostro Creatore, Signore e Redentore. Qualche anno fa, al mattino presto spesso mi recavo a pregare nella Chiesa dei Carmelitani Scalzi in Venezia, e capitava che entrasse qualche pur pia vecchietta, la quale rivolgendosi all'immagine del Crocifisso posta dinnanzi all'ingresso si metteva a conversare col Signore, trattandolo nondimeno quasi da pari a pari, chiamandolo spesso con il Suo Nome, ma svuotando quel nome (che significa "Salvatore") di tutta la sua mistica efficacia, proprio perché banalizzato e impiegato in questa maniera sciatta, avvegnaché certo senza intento denigratorio da parte degl'ignari e semplici fedeli. Potrei però anche raccontare di qualche peculiare "tradizionalista" ch'ebbi modo di conoscere, che soleva infilare in ogni discorso (anche nel più profano, e non di rado nell'insulto) il nostro Redentore, chiamandolo sempre e immancabilmente col Suo Santo Nome, credendo così di mostrarsi pio quand'invece lo denigrava e lo sviliva.

Nella mistica orientale, e particolarmente nella pratica dell'esicasmo, centrale è la Preghiera del Santo Nome del Signore, conosciuta anche come Preghiera del Cuore, recitando la quale nella piena concentrazione e interiorizzandola nel cuore si potrà giungere ad adempiere al mandato di Cristo, che ha comandato di "pregare senza intermissione", e cioè a vivere costantemente nella preghiera, nella lode e nel ringraziamento a Dio, non smettendo mai, nemmeno nel sonno, di recitare la santa invocazione che in sé racchiude l'interità della nostra fede: Κύριε Ἰησοῦ Χριστὲ, Ὑιὲ τοῦ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἀμαρτωλὸν! (Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbiate pietà di me peccatore). Tale pratica è stata sviluppata particolarmente dai Padri e dai mistici d'Oriente, come San Giovanni Cassiano, San Gregorio Palamas, San Marco l'Asceta, San Massimo il Confessore, San Giovanni di Karpathos, San Simeone il Nuovo Teologo, San Simeone Metafraste, San Pietro Damasceno, San Gregorio Sinaita e molti altri; si noti che pure alcuni mistici occidentali, per esempio San Giovanni della Croce, parlarono sovente di una pratica molto affine, detta pratica della presenza di Dio.

Per comprendere l'efficacia dell'invocazione del Santo Nome, propongo dunque alcuni brani scelti dai Racconti di un pellegrino russo, testo devozionale di mistica di autore anonimo del XIX secolo incentrato sulla pratica esicasta e la Preghiera del Nome.

"Dio ti ha dato il desiderio di pregare e la possibilità di farlo senza fatica. È un effetto naturale, prodotto dall’esercizio e dall’applicazione costante, come una ruota che si fa girare intorno a un perno; dopo una spinta essa continua a girare su se stessa, ma per far sì che il movimento duri bisogna ungere il meccanismo e dare nuove spinte. Tu vedi ora di quali facoltà meravigliose il Dio amico degli uomini ha dotato la nostra natura sensibile, e hai conosciuto le sensazioni straordinarie che possono nascere anche nell’anima peccatrice, nella natura impura che non è illuminata ancora dalla grazia. Ma quale grado di perfezione, di gioia e di rapimento non raggiunge l’uomo, quando il Signore vuole rivelargli la preghiera spirituale spontanea e purificare l’anima sua dalle passioni! È il
dono che ricevono coloro che cercano il Signore nella semplicità di un cuore che trabocca d’amore!
Ormai ti permetto di recitare tante preghiere quante tu vorrai; cerca di consacrare alla preghiera tutto il tuo tempo, e invoca il Nome di Gesù senza più contare, rimettendoti umilmente alla volontà di Dio e sperando nel suo aiuto; egli non ti abbandonerà e guiderà il tuo cammino".
Obbedendo a questa regola, passai tutta l’estate a recitare senza posa la preghiera di Gesù e fui veramente sereno. Durante il sonno, sognavo a volte di star recitando la preghiera. E durante la giornata, quando mi capitava di incontrare delle persone, esse mi parevano così care come se fossero stati membri della mia famiglia. Le distrazioni si erano placate e io non vivevo che con la preghiera; cominciavo a indurre il mio spirito ad ascoltarla e a volte il mio cuore ne riceveva un senso di calore e di gioia immensi. Quando mi succedeva di entrare in chiesa, il lungo servizio della solitudine mi pareva breve e non mi stancava più come un tempo. La mia solitaria capannuccia mi pareva un palazzo meraviglioso, e non sapevo come ringraziare Dio di aver mandato a me, povero peccatore, uno starets dagli ammaestramenti così preziosi.

[...]

"E che cosa vale di più, la preghiera di Gesù o il Vangelo?" Chiese il capitano.
"È una cosa sola, risposi. Il Vangelo è come la preghiera di Gesù, perché il Nome Divino di Gesù Cristo racchiude in sé tutte le verità evangeliche. I Padri dicono che la preghiera di Gesù è la sintesi di tutto il Vangelo".

[...]

Per un mese me ne andai tranquillo e lieto, sentendo quanto siano utili ed efficaci gli esempi vivi. Leggevo spesso la Filocalia e vi verificavo tutto quello che avevo detto al cieco. Il suo esempio infiammava di zelo, la mia dedizione e l’amore per il Signore. La preghiera del cuore mi rendeva così felice quanto non avrei creduto lo si potesse essere sulla terra, e mi chiedevo come le delizie del regno dei cieli avrebbero potuto essere più grandi di queste. La felicità non soltanto illuminava l’intimo dell’anima mia: anche il mondo esterno mi appariva sotto un aspetto stupendo, tutto mi chiamava ad amare e a lodare Dio; gli uomini, gli alberi, le piante, le bestie, ogni cosa mi era familiare, e dovunque io trovavo impresso il miracolo del Nome di Gesù Cristo. A volte mi sentivo così leggero che credevo di non avere più un corpo e di fluttuare dolcemente nell’aria; a volte rientravo completamente in me stesso. Vedevo in modo chiaro il mio intimo e ammiravo il magnifico edificio del corpo umano; a volte sentivo una gioia grande come se fossi diventato re, e in mezzo a tutte queste consolazioni mi auguravo che Dio mi concedesse di morire al più presto e di far
traboccare la mia riconoscenza ai suoi piedi nel mondo degli spiriti. Certo io presi troppo piacere in queste sensazioni, oppure forse Dio decise così, ma dopo un po’ di tempo sentii nel mio cuore una specie di timore e un tremito continuo.

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