Parmigianino, Conversione di S. Paolo, 1527 |
a) La traslazione del sacro Corpo dell'Apostolo dal nascondiglio ad catacumbas sull'Appia alla sua primitiva tomba sulla via Ostiense, dopo che Gallieno ebbe tolta la confisca dei cimiteri cristiani;
b) la riedificazione della sua basilica sepolcrale sulla via Ostiense, incominciata da Teodosio, proseguita da Valeutiniano ed Onorio, e inalmente condotta a termine da san Leone I;
c) una traslazione occasionale della sua statio natalizia per qualche impedimento occorso, alla stessa maniera che un anno i Romani, essendo assente Leone I, differirono di celebrare la festa di san Pietro e san Paolo sino al ritorno del papa;
d) finalmente, e ciò è più probabile, una qualche traslazione nelle Gallie dei veli applicati alla tomba di san Paolo e della limatura delle sue catene. Anche questi oggetti di devozione erano detti impropriamente Reliquie, e deposti negli altari sotto il titolo di translatio, la memoria di questa deposizione veniva inserita persino nei martirologi locali. In grazia d'una specie di fictio iuris queste Reliquie costituivano come un annesso, un' estensione dello stesso sepolcro dell'Apostolo in Roma. L'indicazione «Romae» sarebbe sdrucciolata nel Latercolo per ignoranza dell'amanuense che, leggendo una «translatio sancii Pauli» invece di riferirla ad una qualche chiesa di Autun, di Arles, ecc., ha pensato che questa non poteva convenire che a Roma.
Questa festa invernale di san Paolo, sia o no d'origine romana, nelle Gallie si trovò riavvicinata a quella della cattedra di san Pietro ; e ciò in un tempo quando Roma non le celebrava punto, se pure
la sede apostolica aveva mai celebrato la translatio di san Paolo. A poco a poco tuttavia l'orientazione storica si spostò, e al concetto d'una traslazione materiale delle Reliquie di san Paolo, sostituitosi quello d' una traslazione o mutamento psicologico e spirituale avvenuto nello stesso Apostolo sulla via di Damasco, dalla translatio fisica si passò cosi alla mistica Conversio del medesimo. La festa della Conversione di san Paolo è notata in questo giorno nel latercolo Bernese del Martirologio Geronimiano: Translatio et conversio sancti Pauli in Damasco. Nell'Ordo di Pietro Amelio del secolo XIV, a questa solennità è attribuita la precedenza persino sull'ufficio domenicale.
Nella basilica Patriarcale di san Paolo, in questo giorno si tiene stazione solennissima, ed in assenza del Sommo Pontefice, per antica tradizione gli abbati di quel sacratissimo cenobio che ha dato alla Chiesa san Gregorio VII, celebrano in rito pontificale il divin Sacrificio sullo stesso altare papale che ricopre anche oggi la cella funeraria dell'Apostolo.
***
L'introito è quello della stazione natalizia di san Paolo il 30 giugno, ed esprime la certezza dell'Apostolo che Iddio, giusto estimatore del merito, gli darà il premio delle sue fatiche. A spiegar
meglio a Timoteo questo concetto, san Paolo, ormai prossimo al martirio, si vale d'
una graziosa immagine. Le sue opere buone sono come un deposito che egli commette a Dio, perché glielo custodisca sino al giorno della parusia. L' Apostolo ha tutta la sua fiducia nel Signore, cui dice di ben conoscere. Chi affida i suoi tesori agli scrigni o li cela sotterra, si espone al pericolo di vederseli depredati dai ladri, o rosi dalla tignola. Dio invece è giusto ed immutabile, ed Egli nel gran giorno del giudizio, il giorno per eccellenza, giusta il dire di san Paolo, renderà il deposito insieme col meritato premio. La melodia gregoriana che riveste quest'introito, sembra sia stata creata dall' artista appositamente per la stazione natalizia nell 'ampia basilica di san Paolo. Essa è solenne e d'un efetto insuperabile. «So a chi ho affidato, e sono certo che egli, giusto giudice, ben saprà conservare per quel giorno il mio deposito » (II Timot. I, 12).
La prima preghiera è quasi identica a quella riportata più sopra il 18 gennaio. «Dio, che per mezzo della predicazione del beato apostolo Paolo ammaestrasti tutto l'universo, oggi che noi celebriamo la sua conversione, ci concedi, che imitando i di lui esempi, a te ne veniamo».
Si aggiunge la commemorazione di san Pietro, come il 18 gennaio [si era aggiunta quella di San Paolo alla messa della Cattedra di S. Pietro, ndr].
Segue la lezione degli Atti degli Apostoli, col racconto della conversione di Paolo. In essa il trionfo della grazia non poteva essere più splendido. Paolo in Gerusalemme era il più formidabile nemico della Chiesa nascente; tuttavia Gesù, non soltanto riduce al nulla i suoi piani, ma fa si che l'avversario di ieri divenga l'apostolo del dimani e il dottore della verità nel mondo universo. Senza detrarre in nulla al merito dei dodici Apostoli, Paolo tuttavia diverrà l'Apostolo, perché prima era stato l'avversario più formidabile. Egli quindi dovrà trarre il cocchio trionfale del Cristo più innanzi che
tutti gli altri, dall'Arabia sino alle colonne d'Ercole ; tanto che poi sotto l' ispirazione del Paraclito potrà scrivere ad edificazione delle chiese: plus omnibus laboravi. Quest'apostolato universale di Paolo era fatto rilevare in un distico, che gli antichi collettori d'epigrafi romane già trascrissero sul sepolcro del grande Apostolo:
HIC . POSITVS . CARLI . TRANSCENDIT . CVLMINA . PAVLVS
CVI . DEBET . TOTVS . QVOD CHRISTO . CREDIDIT . ORBIS
Vivo nel più alto ilei cieli Paolo qui sepolto,
A cui l'intero mondo è debitore d'aver creduto a Cristo.
La tarda composizione di questa messa si rivela subito dal graduale e dal tratto. Il redattore sembra che abbia perduto di vista l'originario carattere salmodico che avevano già nell'ufficio delle sinagoghe, ed ha infilato alla meglio alcuni versetti delle epistole di san Paolo, assai belli e scelti con abbastanza buon gusto, ma fuori di luogo. Vi supplisce fortunatamente la melodia, che è piena di passione e di classica eleganza.
Galat. II, 8: «Quegli che operò per mezzo di Pietro nell'aposto- lato dei circoncisi, operò in me tra i gentili; e riconobbero la grazia che Dio m'aveva dato. La grazia di Dio in me non fu sterile, ma
la sua grazia sempre mi assiste».
«Alleluja. Grande è Paolo santo, prescelto ricettacolo (della grazia), veramente degno d'essere glorificato, il quale anche meritò di possedere il duodecimo trono. Alleluja.»
Dopo la settuagesima. omesso il verso alleluiatico, si canta il tratto seguente : «V. Tu, o santo apostolo Paolo, sei un recettacolo eletto (della divina grazia), e veramente sei degno d' essere gloriicato, V. Predicatore della verità e Dottore dei gentili nella fede e nel vero. V. Per te tutti i popoli hanno conosciuto la divina grazia, V. Intercedi per noi presso Dio, che ti ha prescelto ». È questa la più bella grazia concessa dall'Apostolo, che cioè, non soltanto egli ha recato il nome di Gesù innanzi ai re e ai popoli delle più diverse nazioni durante la sua vita, ma anche dopo la morte continua il suo ministero evangelico per mezzo delle sue divine lettere, che la sacra liturgia non omette mai di recitare nel Santo Ufficio e nella Messa.
Il Vangelo è quello delle messe per gli abbati, come il giorno 5 dicembre, e si adatta assai bene all' Apostolo, il quale nella sua conversione, non solo rinunziò alle cose sue e alla famiglia, ma per guadagnare Gesù Cristo, abdicò anche ai vantaggi che la sua con dizione d'Israelita della tribù di Beniamino e di discepolo di Rabbi Gamaliel potevano procacciargli in seno alla comunità giudaica Tutte queste cose, dice l'Apostolo, quae mihi fuerunt lucra, haec arbitratus sum... ut stercora, ut Christum lucrifaciam (Philipp, III, 7-8)
L'antifona per l'offerta, è come il dì di sant'Andrea, il 30 novembre. Le preghiere prima dell'anafora eucaristica e dopo la Comunione, sono identiche a quelle riferite il 18 gennaio; il prefazio è quello consueto per gli apostoli. Il versicolo per la Comunione del popolo, è tratto dall' odierno Vangelo: «Io vi assicuro, che voi che avete lasciato tutto per seguirmi, riceverete cento volte tanto e la vita eterna». La povertà che, ad imitazione degli Apostoli, professano con voto i religiosi, è un atto perenne di lode al la divina Provvidenza, cui essi si affidano. La storia di circa venti secoli sta lì a dimostrare, che Dio da parte sua non è venuto mai meno alle loro speranze. E appunto quanto già assicurava il Salmista, facendo appello alla propria esperienza: Iunior fui etenim senui, et non vidi iustum derelictum, nec semen eius quaerens panem. (Psalm. XXXVI, 26.)
Questa festa della conversione di san Paolo altre volte nella liturgia medievale era assai solenne. Il Papa stesso si recava a celebrare la messa stazionale sulla tomba dell'Apostolo; consuetudine di cui è rimasta una traccia nella liturgia. Mentre nelle altre basiliche patriarcali di Roma il Papa ordinariamente non concede punto il permesso che i rispettivi cardinali arcipreti celebrino la messa sull'altare papale, si fa un'eccezione per san Paolo, e ciascun anno in questo giorno l'abbate di quel monastero gode del papal privilegio di celebrare la messa pontificale sull'altare che ricopre la tomba dell'Apostolo. Il motivo di tanta importanza attribuita dalla liturgia alla conversione di san Paolo sulla via di Damasco, va ricercato nell'efficacia apologetica che emerge da tale improvvisa mutazione; cosi che dopo il miracolo della risurrezione di Cristo, nessun altro prodigio della storia della Chiesa primitiva, tenuto conto di tutte le circostanze, dimostra meglio la divinità del Cristianesimo, quanto questo della conversione di Saulo.
Papa Damaso ha celebrato questo prodigio coi versi seguenti:
Jamdudum Saulus, procerum praecepta secutus,
Cum Domino patrias vellet praeponere leges,
Abnueret sanctos Christum laudasse prophetas,
Caedibus adsiduis cuperet discerpere plebem,
Cum lacerat sanctae matris pia foedera coecus,
Post tenebras verum meruit cognoscere lumen,
Temptatus sensit possit quid gloria Christi.
Auribus ut Domini vocem lucemque recepii,
Composuit mores Christi praecepta secutus.
Mutato placuit postquam de nomine Paulus,
Mira fides rerum; subito trans aethera vectus,
Nascere promeruit possent quid praemia vitae.
Conscendit raptus martyr penetralia Christi,
Tertia lux caeli tenuit paradisus euntem;
Conloquiis Domini fruitur, secreta reservat,
Gentibus ac populis iussus praedicere vera,
Profundum penetrare maris noctcemque diemque
Visere, cui magnum satis est vixisse latentem.
Verbera, vincla, famem, lapides, rabiemque ferarum,
Carceris inluviem, virgas, tormenta, catenas,
Naufragium, lachrymas, serpentis dira venena,
Stigmata non timuit portare in corpore Christi.
Credentes docuit possent quo vincere mortem.
Dignus amore Dei, vivit per saecla magister,
Versibus his breviter, fateor, sanctissime Doctor
Paule, tuos, Damasus, volui, monstrare triumphos.
Già da gran tempo Saulo andava appresso alle massime dei Seniori,
E alle divine leggi preponeva quello della sua nazione,
Rifiutandosi di riconoscere che i Profeti
avevano reso omaggio al Cristo.
Mentre egli con insaziabile crudeltà agognava a sbranare il gregge,
Ed attendeva ciecamente a dilaniare l'unità della Madre Chiesa,
Dopo le tenebre, meritò di conoscere la vera luce,
E seppe a prova quanto fosse più potente di lui la gloria del Cristo.
Non appena però egli ascoltò la voce del Signore e riacquistò la vista,
Docile ai precetti di Cristo, riformò la propria vita.
Cambiò quindi il proprio nome in quello di Paolo,
E, mirabile a dirsi, ratto tosto in estasi al più alto dei cieli,
Potè pregustare quanto fosse immenso il premio dell'eterna vita.
Il futuro Martire penetra nei penetrali di Cristo,
E nella sua ascensione al paradiso giunge sino al terzo cielo,
Entra in colloquio col Signore, ma ne serba il secreto.
Iddio gli ordina d'annunziare la verità ai Gentili ed alle nazioni,
Di penetrare il profondo del mare e di trascorrervi una notte ed un giorno,
Egli al quale già sarebbe bastato di aver vissuto in quella profonda solitudine.
Egli le percosse, le catene, la fame, le sassate, la rabbia delle fiere,
Lo squallore del carcere, le verghe, le torture, i ceppi,
Il naufragio, le lacrime, il tremendo veleno del serpe,
Le stigmate di Cristo non temè di portare impresse sulle sue membra.
Egli insegnò ai fedeli in che modo potessero vincere la morte.
Degno dell'amore di Dio, maestro insuperato, vive attraverso i secoli.
In questi brevi versi, tel dichiaro, o Dottore santissimo
Paolo, io Damaso ho voluto indicare i tuoi trionfi.
Card. A. I. SCHUSTER OSB, Liber Sacramentorum, volume VI, pagg. 187-189
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