Glória tibi, Trinitas æqualis, una Deitas, et ante ómnia sæcula, et nunc et in perpétuum.
Gloria a Te, o Trinità eguale, sola Divinità, che è da prima dei secoli, e ora, e in eterno.
(Antiphona I ad Laudes et Vesperas)
Storia della Festa(Antiphona I ad Laudes et Vesperas)
La I Domenica dopo la Pentecoste, nel rito romano, è dedicata alla celebrazione della Santissima Trinità, mistero centrale della nostra Fede, nel nome della quale gli apostoli hanno amministrato il Battesimo, legame indissolubile tra le Tre consustanziali Persone della nostra Divinità, oggetto di infinite controversie sorte da tesi ereticali che volevano negare questo mistero rivelatoci da Nostro Signore stesso. Questa festa, che originariamente si celebrava insieme alla Pentecoste, siccome ancora oggi accade nei riti greci (dacché la fondazione della Chiesa era intrinsecamente legata alla sua fede nel Dio Trino ed Unico), venne a collocarsi assai tardivamente nella data odierna. Inizialmente non si sentiva infatti il bisogno di una festa dedicata espressamente al mistero trinitario: ogni liturgia è un canto di lode alla Divina Trinità, che è l'abisso profondo della Religione Cristiana. In fondo, ogni preghiera e ogni ufficio sempre si chiude con la lode Trinitaria, e specialmente quelli della Domenica, per eccellenza giorno del Signore: anche le feste dei Santi e della Vergine sono magnificazioni della Trinità mediante i loro testimoni.
Questa festa, che in Oriente si accompagnò alla Pentecoste in seguito alle dispute trinitarie (non tanto quelle ariane del IV secolo, quanto quelle dei periodi successivi) che minacciavano di mutare la fede ortodossa nella Trinità, in Occidente tardò molto ad essere inserita, non essendovi motivi di ribadire in un giorno particolare una festa che in fondo si perpetra in ogni istante della Storia.
Un interesse alla celebrazione particolare del mistero trinitario nacque in ambiente monastico gallicano, sulla scorta dell'Admonitio Generalis del 789 e del XXVIII Capitolare del 794. Fu soprattutto Alcuino, monaco e cronista gallico del secolo VIII, che con i suoi trattati trinitari De fide S. et individuae Trinitatis e De Trinitate ad Fredegesium quaestiones XXVIII, divenne di fatto il primo sostenitore di una Messa votiva in onore della SS. Trinità, che egli stesso compose e inviò ad alcuni monasteri, basandosi sul Sacramentario di Tours. Ne compose una anche S. Bonifacio: questi due formulari sono alla base dell'attuale Messa votiva della Trinità che si può dire nei lunedì di IV classe (ancorché Alcuino, nella sua Cartula missalis spedita nell'802 ai monaci di Fulda, indichi la domenica come giorno proprio di questa Messa votiva). Era però un semplice esercizio devozionale (come lo sono tutte le Messe votive), e non una vera e propria festa. Tuttavia, essa prese ben presto a diffondersi in tutto il mondo: a partire dal IX secolo comparve tanto in ambito latino che ambrosiano e gallicano come la prima di tutte le Messe votive, con speciale indicazione (almeno in alcuni Sacramentari gallicani, come quelli di S. Amand e S. Thierre, di recitarla in Octava Pentecostes, ratificata pure dal Sinodo di Seligenstadt (Germania), nel 1022 (che ne condannò però l'aspetto superstizioso con cui alcuni chierici la celebravano).
Nel frattempo, però, in Belgio era già stato introdotto un prototipo della festa, almeno dal 920, quando il vescovo Stefano di Liegi aveva introdotto un solenne ufficio in onore al mistero della SS. Trinità per un giorno particolare dell'anno, tradizione liturgica locale che fu mantenuta dai successori di Stefano, e divenne parte integrante del proprio delle Fiandre meridionali. Essa fu particolarmente gradita dai Monaci, i quali la introdussero nei propri riti: Bernone, abate di Reichenau all'inizio dell'XI secolo, adottò questa forma di celebrazione e si occupò della sua diffusione, tanto che essa si trova nell'Ordinario di Cluny del 1091, peraltro come "festa venerabile e antica". Oltre un secolo prima, S. Benedetto aveva dedicato alla SS. Trinità una sua chiesa abbaziale, e nei libelli precum dei monaci di Tours iniziarono a moltiplicarsi le preghiere specifiche alla Consustanziale Trinità. Papa Alessandro II (1061-1073) ricusò però l'adozione di questa festività nel rito ufficiale della Chiesa Romana, ribadendo che ogni liturgia è un'invocazione alla SS. Trinità in ogni suo aspetto, senza bisogno di lodarla in una festa particolare, che sminuirebbe il carattere trinitario di ogni preghiera della Chiesa Cattolica ("cum in omni dominica, immo quotidie, utriusque [trinitatis et unitatis] memoria celebretur"). Tuttavia, attorno al XII secolo l'abate Ruggiero, nella sua opera sull'Ufficio Divino, parla della festa della Trinità negli stessi termini in cui ancor oggi si celebra: "Subito dopo aver celebrato la solennità della venuta dello Spirito Santo, cantiamo la gloria della Santissima Trinità nell'Ufficio della Domenica che segue, e questa disposizione è molto appropriata poiché subito dopo la discesa di quel divino Spirito cominciarono la predicazione e la fede e, nel battesimo, la fede, la confessione del nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
In Inghilterra, S. Tommaso di Canterbury istituì, nel 1162, una particolare festa della Trinità, inizialmente come ringraziamento per la sua Consacrazione Episcopale, avvenuta la I Domenica dopo la Pentecoste; in Francia - testimoniano gli atti, e in particolare il canone VI, del Sinodo di Arles del 1263 - l'Arcivescovo Florentin importò solennemente la festa, stabilendola nella I Domenica dopo Pentecoste e dotandola pure di una speciale Ottava (come era uso in Belgio); contemporaneamente anche l'Ordine Cistercense istituisce una festa simile per i propri monaci, così come i Domenicani, mentre i Francescani, 19 anni dopo il Capitolo di Narbona che aveva deciso di adottarla, la ricusarono per conformarsi all'uso romano; la diffusione di questa festa nei riti latini è pressoché completa alla fine del XIII secolo, come ci testimonia il Razionale di Durando di Mende, taluni la I Domenica dopo Pentecoste, taluni l'ultima domenica prima dell'Avvento, taluni in entrambe le date (come a Le-Mans, Narbona e Auxerre). Nonostante ciò, mancando l'adesione di Roma stessa alla celebrazione di questa festa, nei breviari locali non era raro trovare la tremenda postilla, accanto all'Ufficio, "a sede apostolica repellitur".
Al di là della diffusione clericale di questa festa, la sua possibile introduzione divise i liturgisti di massimo livello, tra gli assolutamente contrari (come l'autore del Micrologus), gli entusiasti (come Ruperto di Deutz) e i possibilisti (come Sicardo di Cremona, che non condannò l'Ufficio ma si espresse a favore di quello proprio della domenica). Tuttavia, con una tale popolarità, sarebbe stato impossibile che prima o poi la Chiesa Romana non sanzionasse questa speciale liturgia; e così avvenne per decreto nel 1331, regnante Papa Giovanni XXII. Dalle Vitae Paparum Avignonenses leggiamo:
Scito autem quod anno Domini 1131, dominus Johannes XXII, de consilio fratrum suorum, ordinavit et statuit quod deinceps Romana et universalis Ecclesia faceret festum solempnissimum de semper benedicta Trinitate divinarum personarum et divine essentie unitate in tribus divinis personis. Statuit autem quod Romana Ecclesia et omnes qui faciunt officium ecclesiasticum secundum eam faciant predictum festum dominica prima post Penthecosten et sine octavis, non improbans tamen eos qui cum octavis et aliqua alia dominica anni festum celebrant antedictum.
Secondo il Gueranger, il motivo per cui si decise d'introdurre questa festa fu il progressivo moltiplicarsi, a partire dall'anno 1000, delle feste dei Santi, le quali iniziarono, a Roma, addirittura a soppiantare l'ufficio domenicale, in caso di occorrenza (vizio di forma che si perpetrerà sino al riordino generale voluto da Papa S. Pio X), rendendosi così necessaria la fissazione di un giorno in cui stabilmente si potesse celebrare il mistero dell'Indivisa Trinità, fulcro dell'intera liturgia della Chiesa, che avrebbe rischiato di passare in secondo piano. Questo è anche il motivo per cui, nei riti in cui mai la festa di un Santo soppianta la domenica, questa festa tardò ad essere introdotta (per gli Ambrosiani, venne fissata ufficialmente nel XVII secolo, per evidente romanismo) o mai venne importata al di fuori della domenica di Pentecoste (secondo l'uso tradizionale degli Orientali).
La Trinità nelle letture patristiche del Mattutino
Fino al XIV-XV secolo, l'Ufficio della SS. Trinità contenuto nel Breviario Romano era attribuito a Giovanni Pecham, ma tale ufficio fu ricusato da Papa Pio V, che preferì, con qualche ritocco, la più antica versione di Stefano di Liegi, ad oggi presente nel Breviario Romano tridentino e nelle edizioni successive.
Il Mattutino del giorno, ufficio delle feste con nove splendide antifone proprie, è corredato da una meravigliosa serie di letture bibliche e patristiche, che insieme valgono a trasmettere il mirabile concetto della Maestà della Divina Trinità: i salmi regali XCV, XCVI e XCVII, il salmo XXIII, i responsori che parlano di cori angelici e cherubici, l'episodio di Isaia portato di fronte al trono di Dio e mondato dal carbone ardente per poter parlare degnamente dell'Altissimo (cap. VI)...
Accanto a presentarci la regalità della SS. Trinità, colei che regge e governa questo mondo, "l'amor che move il sole e l'altre stelle", le letture patristiche ci danno una qualche istruzione sul mistero trinitario, che riportiamo qui solamente in traduzione:
Dal libro di S. Fulgenzio vescovo "De Fide ad Petrum"
riportato tra l'opere di S. Agostino, tomo III (letture IV, V e VI del Mattutino)
La fede che i santi Patriarchi e Profeti ricevettero da Dio prima dell'incarnazione del Figlio suo, che i santi Apostoli appresero dal Signore stesso incarnato, che lo Spirito Santo insegnò loro e ch'essi non solo predicarono colla parola, ma consegnarono nei loro scritti a salutare istruzione dei posteri; questa fede proclama, insieme coll'unità di Dio, la sua Trinità, cioè il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ma non sarebbe vera Trinità, se una sola e stessa persona si dicesse Padre, Figlio e Spirito Santo. Se infatti, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, come sono una sola sostanza, così fossero una sola persona; non ci sarebbe più luogo a professare una vera Trinità. D'altra parte ci sarebbe sì Trinità, ma questa Trinità non sarebbe più un solò Dio, se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo fossero separati fra loro per la diversità delle loro nature, come sono distinti per le proprietà personali. Ma com'è verità che quest'unico vero Dio per sua natura non solo è Dio unico, ma è anche Trino; così questo vero Dio è Trino nelle persone, e uno nell'unità della natura. Per questa unità di natura il Padre è tutto nel Figlio e nello Spirito Santo, il Figlio tutto nel Padre e nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo tutto nel Padre e nel Figlio. Nessuno di essi sussiste separatamente fuori degli altri due: perché nessuno precede gli altri nell'eternità, o li supera in grandezza, o li sorpassa in potere: poiché il Padre, per quanto riguarda l'unità della sua natura divina, non è né anteriore né maggiore del Figlio e dello Spirito Santo; né l'eternità o immensità del Figlio può, quasi anteriore o maggiore, per necessità della natura divina precedere o sorpassare l'immensità e l'eternità dello Spirito Santo.
Dal Trattato sulla Fede di S. Gregorio Nazianzeno
dopo l'inizio (commento al Vangelo del Mattutino, che è lo stesso della Messa; il breviario precedente alla riforma del 1962 aveva anche un altro Vangelo, quello della domenica, come IX lettura).
Qual cattolico ignora che il Padre è veramente Padre, il Figlio è veramente Figlio, e lo Spirito Santo è veramente Spirito Santo? siccome il Signore stesso dice ai suoi Apostoli: «Andate, battezzate tutte le Genti nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo». Ecco quella divinità perfetta nell'unità d'un'unica sostanza, alla quale professiamo di credere. Perché noi non ammettiamo punto in Dio divisione come nelle sostanze corporee; ma a causa della potenza della natura divina, ch'è immateriale, professiamo di credere e alla distinzione reale delle persone che nominiamo, e all'unità della natura divina. E non diciamo, come alcuni hanno immaginato, il Figlio di Dio essere una estensione di qualche parte di Dio: né intendiamo già un verbo senza realtà come un suono di voce: ma crediamo che le tre denominazioni e le tre persone hanno una stessa essenza, una stessa maestà e potenza. Noi confessiamo dunque un Dio solo: perché l'unità della maestà ci vieta di nominare più dei. Infine, noi nominiamo distintamente, conforme al linguaggio cattolico, il Padre e il Figlio; ma non possiamo né dobbiamo dire due Dii. Non già che il Figlio di Dio non sia Dio, anzi è vero Dio da Dio vero; ma perché sappiamo che il Figlio Dio non ha altro principio che l'unico suo Padre, perciò diciamo che non c'è che un Dio. Questo è quanto ci hanno tramandato i Profeti, e gli Apostoli: questo quanto ha insegnato il Signore medesimo quando disse: «Io e il Padre mio siamo uno». Dicendo «Uno» esprime, come dicevo, l'unità della divinità; e «Siamo» indica la pluralità delle persone.Così, secondo la fede cattolica, chiamiamo Dio padre e figlio; ma che siano due dei non possiamo né dobbiamo dirlo. Non che il Figlio di Dio non sia Dio, anzi è « Dio vero da Dio vero »; ma perché sappiamo che il Figlio di Dio non ha altro principio che l'unico suo Padre, perciò diciamo che Dio è uno solo. Questo infatti ci hanno tramandato i profeti e gli apostoli; questo ci insegnò il Signore stesso, quando disse: « Io e il Padre siamo uno ». « Uno » si riferisce all'unità della divinità ; « siamo » indica le persone.
Il Simbolo Atanasiano a Prima
Particolarmente significativo e chiaro compendio della dottrina trinitaria è il Cantico di S. Atanasio (Quicumque), dottore e vescovo alessandrino del IV secolo, il quale è cantato all'Ora Prima nell'ufficio di oggi (prima della riduzione di Pio XII si diceva a ogni domenica dopo Pentecoste). Ascoltiamone l'eloquenti parole e apprendiamo dai tesori della scienza teologica lasciataci dal Santo Padre della Chiesa:
Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem:
Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit.
Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur.
Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes.
Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti:
Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna maiéstas.
Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus.
Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus.
Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus.
Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus.
Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus.
Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens.
Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus.
Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus.
Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus.
Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus.
Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur.
Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus.
Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus.
Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens.
Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti.
Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil maius aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles.
Ita ut per ómnia, sicut iam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit.
Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat.
Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Iesu Christi fidéliter credat.
Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Iesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est.
Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus.
Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens.
Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem.
Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus.
Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum.
Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ.
Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus.
Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis.
Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est iudicáre vivos et mórtuos.
Ad cuius advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem.
Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum.
Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.
Chiunque vuol esser salvo, * prima di tutto bisogna che abbracci la fede cattolica.
Fede, che se ognuno non conserverà integra e inviolata, * senza dubbio sarà dannato in eterno.
La fede cattolica consiste in questo: * che si veneri, cioè, un Dio solo nella Trinità [di Persone] e un Dio trino nell'unità [di natura].
Senza però confonderne le persone, * né separarne la sostanza.
Giacché altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio, * altra quella dello Spirito Santo;
Ma del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo unica è la divinità, * eguale , la gloria, coeterna la maestà.
Quale è il Padre, tale il Figlio, * e tale lo Spirito Santo.
Increato è il Padre, increato il Figlio, * increato lo Spirito Santo.
Immenso è il Padre, immenso il Figlio, * immenso lo Spirito Santo.
Eterno è il Padre, eterno il Figlio, * eterno lo Spirito Santo.
Pur tuttavia non vi sono tre [esseri] eterni, * ma uno solo è l'eterno.
E parimenti non ci sono tre esseri increati, né tre immensi, * ma uno solo l'increato, uno solo l'immenso.
Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, * onnipotente lo Spirito Santo.
E tuttavia non ci sono tre [esseri] onnipotenti, * ma uno solo è l'onnipotente.
Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, * lo Spirito Santo è Dio.
E tuttavia non vi sono tre Dèi, * ma un Dio solo.
Così il Padre è Signore, il Figlio è Signore, * lo Spirito Santo è Signore.
Però non vi sono tre Signori, * ma un Signore solo.
Infatti, come la fede cristiana ci obbliga a professare quale Dio e Signore separatamente ciascuna Persona; * così la religione cattolica ci proibisce dì dire che ci sono tre Dèi o tre Signori.
Il Padre non è stato fatto da alcuno, * né creato e neppure generato.
Il Figlio è dal solo Padre; * non è stato fatto, né creato, ma generato.
Dal Padre e dal Figlio è lo Spirito Santo, * che non è stato fatto, né creato, né generato, ma che procede.
Dunque c'è un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli; * un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi.
In questa Triade niente vi è di prima o di dopo, niente di più a meno grande; * ma tutte e tre le Persone sono fra loro coeterne e coeguali.
Talché, come si è detto sopra, * si deve adorare sotto ogni riguardo nella Trinità l'unità, e nella unità la Trinità.
Pertanto chi si vuol salvare, * così deve pensare della Trinità.
Ma per la salute eterna è necessario * che creda di cuore anche l'Incarnazione di nostro Signor Gesù Cristo.
Or la vera fede consiste nel credere e professare * che il Signor nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo.
È Dio, generato, sin dall'eternità, dalla sostanza del Padre, * ed è uomo, nato nel tempo, dalla sostanza d'una madre.
Dio perfetto e uomo perfetto * che sussiste in un'anima razionale e in un corpo umano.
È eguale al Padre secondo la divinità, * è minore del Padre secondo l'umanità.
Il Figlio quantunque sia Dio e uomo, tuttavia non sono due, ma è un Cristo solo.
Ed è uno non perché la divinità si è convertita nell'umanità, * ma perché Iddio s'è assunta l'umanità.
Uno assolutamente, non per il confondersi di sostanza; * ma per l'unità di persona.
Ché come l'uomo, anima razionale e corpo, è uno: * così il Cristo è insieme Dio e uomo.
Il quale patì per la nostra salvezza, discese agli inferi, * e il terzo giorno risuscitò da morte.
Salì al cielo, siede ora alla destra di Dio Padre onnipotente, * donde verrà a giudicare i vivi ed i morti.
Alla cui venuta tutti gli uomini devono risorgere con i loro corpi, * e dovranno rendere conto del loro proprio operato.
E chi avrà fatto opere buone avrà la vita eterna; * chi invece opere cattive subirà il fuoco eterno.Questa è la fede cattolica, * fede che se ciascuno non avrà fedelmente e fermamente creduto non si potrà salvare.
La Messa
Accanto alle antifone e ai responsori tratti dall'Antico Testamento (Tobia, Daniele...), che parlano del mistero del Dio habitans lucem inaccessibilem (I Timotheus VI, 6) come espressione della Trinità e Unità della Divinità, le pericopi scritturali che vengono lette durante la liturgia sono assai brevi, ma pregne di significato.
L'epistola è tratta dall'XI capitolo della lettera ai Romani, e diverrà poi il "capitolo" che si leggerà a tutte i I Vespri domenicali durante l'anno (così come l'Inno Trinitario dei I Vespri di questa festa); essa ci parla dell'imperscrutabilità della volontà e dell'essenza divina, che noi, pur non vedendo se non per mezzo del Figlio, possiamo comunque apprendere in parte e credere per grazia dello Spirito Santo, adorando e glorificando il Padre, il Figliuolo e il Paraclito, nell'Unità sostanziale e nella Trinità indivisibile. La stessa definizione dogmatica di Trinità è imperfetta, giacchè è formulata da uomini, cui sono preclusi i tesori della scienza e della sapienza di Dio, ma non per questo dobbiamo rinunciare a indagare sul Dio trino ed uno, e a confessarlo con zelo; infatti, in altro luogo S. Paolo ci ricorda che noi "camminiamo nella fede (che abbiamo ricevuto insieme alla grazia nel Battesimo) e non in visione".
Estremamente chiaro e conciso è anche il Vangelo, Matteo XXVIII, 18-20, in cui Nostro Signore, prima di lasciar definitivamente gli Apostoli, dà loro mandato di andare a predicare baptizántes in nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti, ossia nel nome della Santa Trinità, unico Dio. A mio modesto giudizio, questo eloquente versetto è sufficiente a smentire qualsiasi eterodossia anti-trinitaria, dai tempi di Ario sino ai moderni estremisti protestanti: ancorchè la parola "Trinità" sia una formulazione teologica successiva che mai compare nel Nuovo Testamento, il fondamento divino di questo rapporto di comunione sostanziale nell'amore tra le tre persone della sola Divinità ci viene dalle parole stesse di Gesù. E' necessario - dice il Gueranger - che l'uomo non solo confessi l'unità di Dio abiurando il politeismo, ma che adori la Trinità delle persone nell'unità dell'essenza. Il grande segreto del cielo è una verità divulgata ora per tutta la terra.
In passato, per non spezzare l'unità del ciclo liturgico, si faceva commemorazione della I Domenica dopo Pentecoste e se ne leggeva la pericope evangelica da S. Luca come Ultimo Vangelo; ma tutto ciò è stato purtroppo malamente soppresso nel riordino del 1962.
Come si è detto tutte le domeniche rappresentavano una festa della Santissima Trinità, e come tali esse mantengono molte parti dell'ufficio trinitario che si dice in questa domenica. Partiamo dal colore dei paramenti: se nel tempo la Chiesa ha scelto i paramenti bianchi per la festa della Santissima Trinità, come simbolo della purezza dell'increata divinità, viceversa il colore originario, come ci testimoniano gli usi Greci e orientali, era il verde, che di fatto è rimasto nelle domeniche del tempo dopo Pentecoste. Nelle domeniche dopo Pentecoste peraltro si dice il Prefazio della Santissima Trinità e, prima della riforma di Pio XII, come si è già detto, si diceva a Prima il cantico atanasiano. Appare dunque evidente nonostante le modifiche che sono intercorse nel corso della storia del rito romano, soprattutto dopo il riordino di Pio X, ha recuperato quel carattere di trinitarietà tanto caro agli artantichi; e noi possiamo con gioia dire che ogni nostra azione liturgica, e specialmente quella domenicale, è simile a quella dei due cherubini che dicevansi l'uno all'altro: Santo Santo Santo il Signore Dio degli eserciti: sono ripieni i cieli e la terra della gloria sua, alleluia alleluia alleluia!
Rito Bizantino: Domenica di Tutti i Santi
Τῶν ἐν ὅλῳ τῷ κόσμῳ Μαρτύρων σου, ὡς πορφύραν καὶ βύσσον τὰ αἵματα, ἡ Ἐκκλησία σου στολισαμένη, δι' αὐτῶν βοᾷ σοι· Χριστὲ ὁ Θεός, τῷ λαῷ σου τοὺς οἰκτιρμούς σου κατάπεμψον, εἰρήνην τῇ πολιτείᾳ σου δώρησαι, καὶ ταῖς ψυχαῖς ἡμῶν τὸ μέγα ἔλεος.
Del sangue dei tuoi Martiri in tutto il mondo rivestita, siccome di porpora e di bisso, la tua Chiesa ti grida per mezzo loro: O Cristo Dio, fa' scendere la tua pietà sul tuo popolo, dona pace agli abitanti della tua città, e la tua grande msericordia alle nostre anime.
(Apolytikion di Tutti i Santi)
Essendosi già festeggiata la SS. Trinità insieme alla Pentecoste, la domenica successiva (l'ultima del Pentecostarion e al contempo la I di S. Matteo) è dedicata alla commemorazione di Tutti i Santi, secondo l'uso più antico attestatoci dai Padri della Chiesa.
La connotazione Orientale della "sollemnitas omnium sanctorum" ricorda, per certi versi, l'immagine occidentale della "Chiesa trionfante", dove con il termine abbraccia i giusti nel Signore nella loro totalità, sia coloro che furono canonizzati sia quelli rimasti sconosciuti alla chiesa degli uomini. L'immagine deriva dall'apocalisse di Giovanni:
καὶ ᾄδουσιν ᾠδὴν καινὴν λέγοντες· Ἄξιος εἶ λαβεῖν τὸ βιβλίον καὶ ἀνοῖξαι τὰς σφραγῖδας αὐτοῦ, ὅτι ἐσφάγης καὶ ἠγόρασας τῷ θεῷ ἐν τῷ αἵματί σου ἐκ πάσης φυλῆς καὶ γλώσσης καὶ λαοῦ καὶ ἔθνους, καί ἐποίησας αὐτοὺς τῷ θεῷ ἡμῶν βασιλείαν καὶ ἱερεῖς, καὶ βασιλεύουσιν ἐπὶ τῆς γῆς. Kαί εἶδον, καὶ ἤκουσα φωνὴν ἀγγέλων πολλῶν κύκλῳ τοῦ θρόνου καὶ τῶν ζῴων καὶ τῶν πρεσβυτέρων, καὶ ἦν ὁ ἀριθμὸς αὐτῶν μυριάδες μυριάδων καὶ χιλιάδες χιλιάδων, λέγοντες φωνῇ μεγάλῃ· Ἄξιόν ἐστιν τὸ ἀρνίον τὸ ἐσφαγμένον λαβεῖν τὴν δύναμιν καὶ πλοῦτον καὶ σοφίαν καὶ ἰσχὺν καὶ τιμὴν καὶ δόξαν καὶ εὐλογίαν.
E cantavano un canto nuovo dicendo: Tu sei degno di prendere il libro e aprirne i sigilli, giacchè sei stato ucciso e ci hai redenti anzi a Dio nel tuo sangue, d'ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e l'hai resi regno e sacerdoti pel nostro Dio, e regneranno su tutta la terra. E vidi e udii la voce di molti angeli attorno al trono e delle bestie e dei vecchi, e il loro numero era di migliaia di migliaia, che dicevano a gran voce: Degno è l'agnello ucciso di ricevere potenza e ricchezza e sapienza e forza e onore e gloria e benedizione.
(Apocalisse V, 9-11)
Nelle Chiese Orientali,la ricorrenza è già ricordata dai IV-V secoli,dove la principale testimonianza ne è un'omelia pervenutaci da San Giovanni Crisostomo,e un riferimento ad essa è contenuto nei canti di Efrem il Siro. La ricorrenza,della quale delle antiche e gloriose origini non dubitiamo ,subì più volte varie modificazioni e cambiamenti rispetto al tempo in cui onorarla: da alcuni canti di San Efrem denotiamo che prima era fissata al 13 maggio (così come a Roma nei primi secoli, stando a Bonifacio IV), e non era mobile, mentre dal Tipikon in uso a Gerusalemme,modellato sul precedente Lezionario siriano,si leggeva che fosse il primo venerdì dopo Pasqua. Il tipikon diffuso dal monastero di Studio invece afferma la data in uso odierno,sottolineando così la logicità di questa successione-ricevendo dapprima lo spirito santo,e solo in seguito facendosi merito con le loro opere.
Al mattutino vengono letti 11 vangeli che parlano della risurrezione, una sorta di analogo a quelli 12 della Passione. Dal lunedì successivo durante la liturgia vengono letti il Vangelo di Matteo e l'epistola ai Romani,mentre durante il periodo di pasquale erano letto il Vangelo di Giovanni e gli atti degli apostoli. Al vespro vengono lette tre paremie,che rivolgono l'attenzione dei fedeli alle lodevoli opere dei santi: esse son tratte dall'Esodo e dalla Sapienza di Salomone. Il Vangelo della Divina Liturgia, che segue una lettura dall'Epistola agli Ebrei, è composto da una sequenza di brani dai capitoli X e XIX di S. Matteo, contenenti le "istruzioni" per una vita santa.
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