giovedì 20 luglio 2017

De Divino Officio - De Reformationibus Breviarii Romani (pars I)

Saranno pubblicati nelle prossime settimane alcuni brevi saggi di N. Ghigi sul Divino Ufficio, analizzato sotto diversi punti di vista. In questo primo saggio avremo un raffronto tra le principali edizioni del Divino Ufficio dai tempi di S. Pio V alla modern(ist)a “Liturgia Horarum”.

Introduzione: Cronistoria del Breviarium Romanum dopo il 1570

Breviario romano "Divino Afflatu" in 4 volumi
Quando S. Pio V, sulla scorta del Sacrosanto ed Ecumenico Concilio Tridentino, mediante la bolla Quod a nobis, promulgò il nuovo Breviarium Romanum, egli ebbe un duplice obbiettivo: uniformare in tutto l’orbe cattolico la pratica della recita dell’Ufficio Divino, la quale fu confermata nella sua obbligatorietà quotidiana per i chierici, rifacendosi al già assai diffuso Breviarium secundum usum Romanae Curiae (siccome avea fatto pel Messale); rimaner fedeli alla purità dell’ufficio monastico, eliminati gl’inutili orpelli (come i suffragi, ridotti a quattro nel Tridentino) e mantenendo il costume di disporre lungo la settimana tutti i 150 salmi del Salterio (consuetudine di per sé sviluppatasi solo posteriormente al VII secolo, giacché ai tempi di S. Benedetto il Salterio recitavasi per intero in un sol giorno). Confrontando l’Ufficio monastico benedettino con il Breviarium Romanum del 1568, non si notano poi grandi differenze, salvo una maggior rigidità e canonicità nell’impostazione (ch’è l’evidente frutto di un lavoro di commissione ben pianificato, quando invece il Breviario benedettino è frutto di una stratificazione secolare), né nella struttura delle Ore, né nella disposizione del Salterio. Fu questa dunque la forma, che non a torto è definita dai liturgisti come l’autentica espressione della tradizione liturgica romana, cantata quotidianamente nei cori dei monasteri e delle cattedrali, nonché preghiera privata dell’intero clero durante la giornata, che si conservò nella Chiesa Cattolica di rito romano fino al 1910. Le uniche modifiche, oltre alle riforme di calendario che influirono ovviamente sull’Ufficio, furono operate da Urbano VIII nel 1648, il quale fece riscrivere tutti gl’inni, in modo da adattarli alla metrica latina classica (opera non poco criticata, ritenuta una vera e propria distruzione del patrimonio innodico medievale, sia da contemporanei che da successori sino ai giorni nostri). Narrasi che già Pio IX e Leone XIII avessero in animo di operare una riforma generale del Breviario Romano; v’erano infatti nel clero pressioni da ogni parte, vertenti principalmente su due questioni: la predominanza del santorale sul temporale, che facea sì che la maggior parte dei salmi non venisse quasi mai recitata, e l’eccessiva lunghezza dell’Ufficio, difficile a conciliarsi con l’opera di predicazione e pastorale in cui erano impegnati i sacerdoti. I due sopraccitati Pontefici non osarono però metter mano a una struttura che da quasi quattrocento anni (e in realtà molti di più) costituiva la preghiera ufficiale della Chiesa, ed era peraltro incardinata in modo tanto preciso che una qualsiasi riforma non avrebbe potuto essere marginale, ma avrebbe significata una vera e propria rivoluzione. E questo è quello che accadde nel 1911, quando il Papa S. Pio X, con la bolla Divino afflatu stravolse interamente la disposizione del Salterio, in nome di una fortemente richiesta brevità, che apportò però a non poche frustrazioni, ancor oggi ripercuotentesi, ai puristi dell’officio romano, ai quali noi, pur stimando e usando cotidianamente il Breviario di S. Pio X, non possiamo che dar ragione, non potendoci esimere dall’affermare che per quanto riguarda il Salterio (che nell’Ufficio Romano è la parte predominante) quasi nulla hanno in comune l’edizione del 1568 e quella del 1911. Se però nella struttura delle Ore il Breviario piano è ancora tradizionale, lo sarà sempre meno con gli aggiornamenti (o meglio, con i defalcamenti) all’Ordinarium operati sotto Papa Pio XII (1955) e Papa Giovanni XXIII (1961), e fortemente criticati dai liturgisti dell’epoca, quali il Gromier. Nonostante condivida assai poco con le edizioni precedenti, può dirsi che, quantomeno nell’impostazione e nel sottofondo storico a cui si rifà, il Breviario del 1961 è tradizionale e romano. Come invece non può certamente definirsi la Liturgia Horarum promulgata in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II. In essa infatti, a partire dal nome “Breviarium” (che, ironia della sorte, fu sostituito per dar l’idea che la preghiera della Chiesa non dovesse essere qualcosa di “breve”, quando la liturgia del 1970 è la più breve di tutto il Cristianesimo!), la quasi totalità degli elementi tradizionali furono stravolti, sostituiti con altri alloctoni o inventati di sana pianta, e il già disossato salterio piano fu ulteriormente ridotto, fino a perdere ogni accezione di romanità, nonché ogni legame con la tradizione cattolica.
Un "breviario" con la moderna Liturgia Horarum (1970)

I. la disposizione del Salterio e le rubriche generali

L’elemento che più balza all’occhio guardando i libri d’ore postconciliari è che apparentemente sono più grandi: ma non s’è forse detto che l’Ufficio moderno è assai più breve? Infatti, lo stravolgimento maggiore operato dai riformisti fu quello di cancellare l’uso monastico di recitare tutti i 150 salmi nel corso di una settimana, preferendo una disposizione in quattro settimane. Moltissime sono le critiche che si potrebbero operare contro questa scelta; noi ne consideriamo ora le due maggiori:
  • Un Salterio in quattro settimane significa un numero di salmi quattro volte minore recitato durante una giornata. Questa critica, che può applicarsi a ogni singolo aspetto della moderna liturgia delle ore, si basa su una semplice osservazione: il nome stesso di Divinum Officium indica che la recita del Breviario è il “lavoro” quotidiano del chierico. Può però definirsi tale un lavoro che impiega poco più di una mezzora in tutta la giornata, come la nuova Liturgia Horarum? Ridurre il tempo che i ministri sacri dedicano alla preghiera è ridurre il numero di grazie che la Chiesa intera riceve (nell’Ufficio Divino anche privatamente recitato ogni chierico compie un atto liturgico vero e proprio, poiché in virtù del suo ministero ecclesiastico prega a vantaggio di tutta la Chiesa), e finanche indebolire la spiritualità e l’attaccamento all’orazione, che dovrebbero spettare al chierico.
  • Un Salterio in quattro settimane significa che prima di riascoltare uno stesso salmo dovranno passare almeno 28 giorni, contro i 7 dell’antico Breviario: quale dei due sistemi faciliterà l’apprendimento mnemonico della Scrittura, tanto importante per avere una piena conoscenza di essa, soprattutto di questi tempi in cui non si ha certo tempo da sprecare per mettersi a imparare a memoria i salmi (mentre con un Salterio settimanale, siccome le letture della Messa disposte lungo un solo anno, il semplice attendere alla preghiera porterebbe automaticamente all’assimilazione)?

Tornando alla succitata questione della prevalenza del santorale sul temporale, nel Breviario Tridentino ogni festa di un santo (doppia o semidoppia che fosse) aveva la salmodia presa dal Comune: ciò faceva sì che alcuni salmi (come il IV, che si trova sia nel Mattutino delle Feste che nella Compieta di tutti i giorni) venissero recitati due volte al giorno, a dispetto di altri recitati due volte all’anno. La soluzione, adottata già da S. Pio V e rinnovata più volte nei secoli, che prevedeva il defalcare il maggior numero possibile di feste dal Calendario, mantenendo solo quelle dei martiri antichi e dei Confessori del primo Medioevo (nemmeno il popolarissimo S. Antonio aveva spazio nel Calendario del 1568), era puntualmente vanificata dai Papi successori, che su pressione del clero e dei fedeli erano costretti a reinserire e anzi ad aumentare le feste della Chiesa universale. La grande soluzione fu trovata da S. Pio X, ed è forse un elemento bastante per preferire quel Breviario a tutti gli altri: introdurre delle officiature miste. Id est, le feste semidoppie e doppie minori avrebbero avuto la salmodia della feria corrente, e tutte le altre parti della festa: in questo modo si assicurava la recita assidua dell’intero salterio e al contempo la presenza delle feste dei santi. Questo sistema fu mantenuto negli aggiornamenti successivi ed è anche alla base della moderna Liturgia Horarum (in cui però si rende quasi inutile, dal momento che il numero dei Santi nel calendario è stato ridotto di circa due terzi).

L'ufficio recitato dai monaci in coro
Una piccola nota da fare è sui gradi delle feste: l’uso tridentino (nato già qualche secolo prima della riforma) prevedeva la suddivisione delle feste in doppie (duplex), semidoppi (semiduplex) e semplici (simplex). Sostanzialmente, alle ore maggiori, nelle feste doppie si “duplicava” l’antifona (ossia recitavasi l’antifona completa e all’inizio e alla fine del salmo), mentre ciò non avveniva in quelle semidoppie (ossia recitavasi completa alla fine del salmo, e venia solo intonata all’inizio); nelle feste semplici invece di fatto l’ufficio era feriale con la sola commemorazione della festa. Nei secoli quest’uso fu precisato mediante la distinzione in “duplex majus”, “duplex minus”, “duplex II classis” e “duplex I classis”, in modo da distinguere chiaramente la precedenza (in linea teorica, la festa di un confessore presentava lo stesso grado del Natale del Signore…). Questa suddivisione ingenerava però non poca confusione, soprattutto perché non si trattava di una vera e propria indicazione di precedenza, quanto più del rito da seguire (con o senza duplicazione dell’antifona): per questo motivo Pio XII abolì la denominazione di “semidoppio”, conservando nondimeno nei fatti la non-duplicazione in tali feste. Forse lo schema di precedenza più chiaro è quello elaborato da Giovanni XXIII, in cui ogni giorno liturgico è saldamente incorporato in uno schema in quattro classi (I, II, III e IV), cui si possono aggiungere eventuali Commemorationes ad Laudes tantum (le antiche feste semplici): non è chiaro perché, dopo lavoro sì tanto lodevole, tutti i riti semidoppi siano stati promossi a doppi, concedendo la duplicazione dell’antifona (che, cosa inedita, si duplica anche alle ore minori). Il calendario moderno è ritornato a usare nomi fumosi: “solennità”, “festa”, “memoria” e “feria” corrispondono alle classi giovannee, ma “memoria facoltativa” è assai diversa dall’antico rito semplice, perché permette di scegliere tra recitare un officio di IV o di III classe.
Si segnala anche che Pio XII abolì la maggior parte delle Ottave, lasciandone in vigore solo tre (Natale, Pasqua e Pentecoste, contro le oltre 10 del calendario del 1933); dopo il Concilio Vaticano II quella di Pentecoste fu abolita e le altre due han persi molti caratteri propri.

II. Il Mattutino

Con il nome di “Mattutino” nella tradizione occidentale si designava l’antico ufficio notturno: i monaci recitano questa preghiera nel cuore della notte (i certosini poco dopo la mezzanotte, i benedettini attorno alle tre); nell’uso comune, ancorché sia recitata all’alba o la sera precedente, mantiene il suo carattere notturno negl’inni, e lo stesso nome con cui si designano le sezioni di salmi e letture è quello di “Notturni”. Nella moderna Liturgia Horarum il carattere notturno è scomparso: questa preghiera è stata ribattezzata “Ufficio delle Letture” ed è stata data facoltà di recitarlo a qualsiasi ora del giorno. In questo modo, non solo i moderni si sono privati dell’ufficiatura notturna, che costituisce un elemento fondamentale della vita di preghiera dei monaci, ma anche di uno dei momenti maggiori del giorno liturgico (tutti gli autori ci testimoniano che le prime officiature comunitarie dei Cristiani erano gli uffici vigiliari, appunto i Mattutini, che effettivamente restano in tutte le tradizioni orientali): specialmente poiché in Occidente non esiste, come nella tradizione bizantina, un officio Mesonittico (di mezzanotte), si arriva alla paradossale considerazione che dalla Compieta alle Laudi, dunque dall’inizio della notte fino all’alba, non sia necessario pregare. Va da sé che quest’assurda riforma portò alla cancellazione di tutti quegli antichissimi inni che contenevano “inopportuni” riferimenti allo svegliarsi nel cuore della notte, come l’inno delle domeniche Nocte surgentes vigilemus omnes, nonché all’abolizione del tradizionale sistema di suddivisione della preghiera in Notturni.
  • L’orazione ante Divinum Officium: fino al 1955 era prescritta la recita della suggestiva orazione Aperi Domine, accompagnata dalla recita di Pater, Ave e Credo; questa faceva da introduzione, disponendo l’anima alla preghiera, e direttamente collegandosi col versetto che sin dai tempi apostolici apre il Mattutino: Domine, labia mea aperies. L’aggiornamento di Pio XII abolì l’obbligo di recitare questa preghiera. E’ però lodevole il fatto che essa, pur senza costituire costrizione, venisse inserita all’inizio dei breviari successivi (persino quello moderno), cosicché non ne andò del tutto perduta l’usanza.
  • L’invitatorio: l’invitatorio tradizionale è costituito dal salmo XCIV Venite, che ben si adatta a far cominciare il servizio divino di tutta la giornata; è peraltro l’unico salmo che ha mantenuto l’antica forma responsoriale. Nella nuova liturgia (oltre al fatto che, non essendo più la prima preghiera del giorno, l’invitatorio può traslarsi alle Laudi), il salmo che dalla Chiesa è sempre stato usato per questo rito può ad libitum sostituirsi con altri (XXIII, LXVI, XCIX …), che per quanto di significato affine mai saranno significativi come il XCIV (viene inoltre spontaneo chiedersi perché introdurre sì tante scelte alternative? Questa e tante altre “libertà di scelta” portano a che quella che dovrebbe essere la preghiera di tutta la Chiesa unita risulterà diversa da persona a persona!)
  • I salmi: Il breviario tridentino prescrive la recita di 12 salmi ogni giorno; questo numero si trova anche nelle officiature mattutine orientali, anche se lì la salmodia è una parte relativamente minore; nell’ufficio domenicale, poi, s’aggiungevano altri 6 salmi, per un totale di 18, proprio come fanno i benedettini che osservano le consuetudini del primo Medioevo. Nel caso delle feste (che però erano diventate, all’inizio del XX secolo, i due terzi dell’anno liturgico), dato il numero molteplice di letture, i salmi erano solamente 9. Papa Pio X ebbe la saggia intuizione di ridurre il numero di salmi recitati, che appariva troppo gravoso (si trattava inoltre di salmi interi, comprendenti anche alcuni molto lunghi) ed era recitato in modo sciatto e frettoloso dalla maggior parte del clero: egli dunque portò a 9 salmi anche gli uffici feriali e domenicali, e per di più suddivise in più sezioni i salmi particolarmente lunghi. Pur restandogli un sopravanzo di molti salmi da sistemare in altro modo (vedi capi successivi), egli di fatto riuscì a rendere accessibile l’ufficio mattutino, senza troppo svilirlo. La proliferazione di salmi che caratterizza l’ufficio romano è una diretta conseguenza dell’influenza benedettina: ai tempi del fondatore, i monaci durante l’ufficio notturno recitavano un numero di salmi veramente enorme, tra 70 e 100. Se dunque qualunque riforma sarebbe dovuta passare per il taglio di essi, è da considerare che, se nelle Ore orientali grand’importanza è data alle preghiere e agli inni ecclesiastici, queste sono assenti dall’uso occidentale, e un taglio eccessivo dei salmi rischierebbe di annullare completamente il Breviario Romano. Questo è forse quello che è successo nel 1970, quando i salmi del neonato “Officium lectionum” sono diventati solamente tre, e peraltro quasi sempre sezioni molto brevi. Cos’hanno in comune i tre salmi paolini con i diciotto benedettini e tridentini? E c’è chi a suo tempo criticò i nove piani …
  • Le lezioni: a ciascun notturno segue sempre un blocco di tre letture, nell’ufficio tradizionale, quasi sempre continuative e prese da uno stesso libro. Tanto nell’uso tridentino che in quello del Divino afflatu, dunque tutte le feste, di qualsiasi ordine e grado, avendo i salmi divisi in tre notturni, hanno nove lezioni. Nel Breviario di Giovanni XXIII, però, le feste di III classe e – purtroppo – le domeniche presentano un solo notturno, e dunque solo tre lezioni (cosa che appare ridicola, considerando che gli antichi uffici domenicali erano i più lunghi, avendo 18 salmi e 9 lezioni). Quando sono suddivise in tre notturni, generalmente le prime tre lezioni son tratte dalla Sacra Scrittura, le seconde tre dai Padri (o l’agiografia nelle feste dei Santi), le ultime tre sono il Vangelo del giorno con il commento patristico. Nella moderna Liturgia Horarum vi è un aspetto positivo e uno negativo: il primo è dato dal mantenimento dell’uso di leggere sia la Sacra Scrittura sia i Padri della Chiesa (anche se di fatto vi sono solamente due letture, esse sono molto più lunghe, e una di queste corrisponde alla somma di tre antiche lezioni); l’aspetto negativo è la soppressione della lettura evangelica (cosa alquanto inaudita, considerando che i Mattutini orientali hanno quasi sempre solo il Vangelo, e l’ufficio benedettino ne ha addirittura due). Generalmente, però, il breviario moderno sull’aspetto scritturale è forte (anche la lettura patristica è quasi sempre ben scelta e assai interessante): è tutto il resto che è debole, e purtroppo è tutto il resto che differenzia una Liturgia delle Ore da una banale lettura della Parola.
  • Più o meno immutata è rimasta la rubrica della recita del Te Deum alla fine dell'ufficio (tranne che, con la soppressione di un gran numero di feste, si sono soppressi altrettanti inni ambrosiani)

Tabella comparativa

Un breviario secondo le rubriche del 1961
Non che si voglia intendere che a ufficio più lungo corrisponde sempre ufficio più degno o più ortodosso, ma sicuramente la riduzione eccessiva del tempo di preghiera è, come abbiamo già detto, assai perniciosa, quando si parla dell’orazione che ogni sacerdote deve effondere a bene di tutta la Chiesa, senza contare le gravissime conseguenze di calo della devozione.
P.S.: le durante sono approssimate e ricavate il più possibile sulla base della recita personalmente effettuata: dunque sono soggette a gran variabilità, ma tengono conto dei gesti di pietà, delle pause di silenzio, dei cambi di velocità o intonazione connaturati al testo letto (per questo possono risultare molto diverse da altri calcoli, più oggettivi ma meno realistici, fatti con lettori elettronici).



Tridentino 1568
Divino afflatu 1911
Rubricarum 1961
Liturgia Horarum 1970
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Recitato
Cantato
Domeniche
1h 10m
2h 45m
45m
1h 40m
35m
1h 10m
15m
30m
Ferie
1h
2h
30m
1h
30m
1h
15m
30m
Feste maggiori
1h
2h
45m
1h 40m
45m
1h 30m
20m
35m
Feste minori
50m
1h 45m
45m
1h 30m
30m
1h
15m
30m

CONTINUA con l'analisi delle altre Ore

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