lunedì 17 luglio 2017

La Santa Messa VIII - L'Offertorio


Dopo il Credo inizia completamente la Messa dei fedeli, la quale insieme alla Messa dei catecumeni è sin dai tempi apostolici unita nella celebrazione dell’unica Santa Messa. Lo schema del sacrificio riprende gli antichi rituali ebraici officiati nel tempio di Gerusalemme, ove venivano immolati degli animali in Sacrificio di espiazione, e successivamente in parte consumati dal sacerdote e in parte bruciati. Così Cristo stesso, nuovamente, siccome sulla Croce, si fa al contempo sacerdote e vittima, immolandosi per il perdono dei peccati di chiunque ricorre a lui, offrendo misericordia, grazia e aiuto propizio ai puri di cuore che, contriti e pentiti, a lui si accostano con retta fede, timore e reverenza. La parte sacrificale si compone di tre parti, che corrispondono alle tre parti del rito sacrificale giudaico: il sacrificio a Dio gradito dev’essere infatti:
  • Oblato (Offertorium)
  • Ucciso (Sacrificium vero e proprio, altresì detto Immolatio victimae)
  • Consumato (Communio)


La Pars Sacrificalis della Messa inizia dunque con l’Offertorio (detto altresì “sonus” in ambito gallicano), il quale altro non è la forma prettamente romana della “protesi” o “proscomidia”, i quali termini (riferiti generalmente alla liturgia orientale) derivano rispettivamente dal greco προτίθημι e προσκομίζω, entrambi i verbi significanti “preparare”. La preparazione dei doni, del pane e del vino, che saranno offerti durante il Sacrificio assume però, in questa posizione esclusiva dei riti occidentali, un carattere più nettamente sacrificale: nel presentare a Dio le oblate si ha già ben presente, grazie alle espressioni usate nelle orazioni che accompagnano questo momento, che tra pochi istanti queste si trasformeranno nel Corpo e nel Sangue di Cristo nuovamente offerti nel salutare sacrificio d’espiazione. Lutero aveva estremamente in odio l’Offertorio proprio a cagion del suo carattere sacrificale, e sosteneva che la Messa papista sarebbe stata a lui ben più grata se quelle orazioni offertoriali venissero sostituite da altre relative a un mero scambio di doni, senza alcun accenno al Sacrificio. Un antico catechismo, invece, sottolinea che secondo l’ortodossia cattolica “nell’Offertorio offresi il Corpo e il Sangue di Gesù, e non pane e vino, dacché esso si unisce all’Offerta di Gesù per anticipazione”.

XXIII. Antifona all’Offertorio

Nei primi secoli, i doni venivano processionalmente presentati all’altare dai fedeli, i quali in questo modo si univano idealmente al Sacrificio di Cristo. Con il tempo quest’uso venne meno, tanto in Oriente quanto in Occidente: Giovanni III e Gregorio III stabilirono che a Roma i monaci e il Patriarchio dovessero provvedere alla materia dell’oblazione da distribuire nelle varie parrocchie; l’imperatrice Irene fece inserire nel typikòn costantinopolitano che in ogni Messa si dovessero offrire quantomeno sette oblate (un numero alquanto irrisorio, che testimonia quanto fosse divenuto scarso il contributo dei fedeli; il numero di sette si è poi simbolicamente conservato nell’antico rito russo). Il carattere processionale dell’offertorio, scomparso quando le offerte dei fedeli si rarefecero come sopraddetto, si è parzialmente mantenuto per emblema nella Messa Solenne, quando il suddiacono porta dalla credenza all’altare il calice e la patena durante il canto dell’antifona. Nelle Messe lette e cantate semplici, essendo il calice velato sull’altare, il sacerdote lo svela dopo aver detto privatamente l’antifona: essendo quivi iniziato il Sacrificio, per chiunque entrasse in Chiesa dopo questo momento la Messa non sarebbe valida per soddisfare il precetto e non potrebbe accostarsi alla S. Comunione. Secondo alcuni mistici medievali, lo svelamento del calice rappresenterebbe Cristo esposto alle ingiurie durante la sua Passione.
L’offertorio è accompagnato dal canto della antiphona ad offerenda, appartenente al proprio della Messa, di cui poco si sa circa la formazione e lo sviluppo all’interno dell’atto liturgico; sicuramente è testimoniato da S. Agostino all’inizio delle Retractationes: “All’altare si cantino inni presi dal libro dei salmi, sia prima dell’offerta, sia quando si distribuiscono al popolo le offerte”. Fino al IX secolo questa antifona era abbastanza lunga, prevedendo una forma semiresponsoriale con antifona a latere: se questa lunga forma scomparve generalmente quando l’abolizione della processione offertoriale la rese inutile, si mantiene nella Messa dei defunti. Caratterizzata da uno stile estremamente ornato e melismatico, nel Settecento venne sovente e impropriamente sostituita da una sonata d’organo. Per quanto riguarda i testi, essi possono ricordare il tema della Messa del giorno o presentare semplicemente uno dei molteplici aspetti dell’oblazione.
Come si è già accennato nel VII capitolo di questo saggio, l’antifona è preceduta dal saluto Dominus vobiscum, che doveva storicamente precedere l’orazione sui catecumeni.

XXIV. Oblazione del pane e del vino

Subito dopo, il sacerdote inizia l’offerta, partendo del pane azzimo. Il Gueranger nota che in questa parte della Messa le funzioni dei vari ordini son ben distinte, in quanto il diacono passa al celebrante la patena e recita con il sacerdote la preghiera (per tale motivo essa è in forma plurale), mentre il suddiacono attende ai piedi dell’altare.
Generalmente le protesi orientali presentano preghiere assai brevi che accompagnano la presentazione delle offerte: nell’uso occidentale probabilmente questa inizialmente si faceva in silenzio, salvo poi venir accompagnata per divozione (o, secondo alcuni, per gallicismo, essendo la liturgia gallicana corredata da formule didascaliche che spiegano ogni gesto) da alcune preghiere, per lo più composte tra VIII e IX secolo (o almeno ciò è quanto è tradito dallo stile del latino impiegato), le quali entrarono a far parte dei rituali nel XII secolo e di cui esistevano numerose varianti, diverse per testo ma non per significato, delle quali quelle in uso a Roma furono poi accolte nel Messale Tridentino. L’orazione che accompagna l’offerta del pane è il Suscipe sancte Pater, che parla dell’ostia (che presto diverrà) divina, senza macchia (allusione alle bestie sacrificali dell’Antico Testamento, le quali dovevano essere immacolate per prefigurazione della Vittima Divina, la quale è senza peccato). Il celebrante offre l’ostia per sé medesimo, per tutti i presenti e per tutti i fedeli cristiani, vivi o defunti che siano, ripercorrendo dunque i quattro soggetti ai quali è destinato il fine di intercessione della Divina Liturgia. Bella è l’interpretazione dello Schouppe, per cui i molti chicchi di grano che formano il pane sono i molti fedeli che formano il Corpo Mistico di Cristo. Terminata la preghiera, fa un segno di croce con la patena e depone l’ostia sul corporale.
Poi, il diacono versa del vino puro nel calice, e successivamente il suddiacono, compiendo l’atto liturgico forse più importante di tutto il suo ministero, v’infonde una goccia d’acqua. L’orazione che accompagna questo gesto, o più precisamente la benedizione che il sacerdote impartisce all’acqua, è la più antica tra quelle offertoriali (e il latino impiegato è infatti più complesso e ornato), la quale si trova già nel Sacramentario Leoniano e ben esplica la funzione dell’acqua: essa, come dice la preghiera, rappresenta la natura umana che nella persona di Nostro Signore Gesù Cristo si unisce a quella Divina; secondariamente, figura anche l’acqua che insieme al sangue fluì dal costato di Nostro Signore, nonché l’offerta di sé medesimi (semplice acqua) uniti a quella di Gesù (puro vino), che è la somma del principio di deificazione altresì espresso nell’orazione che accompagna il gesto (proprio per questo, peraltro, si omette la benedizione nelle Messe dei defunti, non avendo la Chiesa più potere sull’anima in Purgatorio, se non quello d’intercessione).
Altri più banalmente lo ritennero un richiamo del fatto che nei banchetti antichi, e dunque anche all’Ultima Cena, il vino venisse allungato con acqua. L’acqua, fondamentale per l’efficacia del sacrificio, dev’essere però infusa in minima quantità, per non inficiare la stessa. Questo gesto è infine assente dalle liturgie domenicane e certosine, perché sopravvive in esse una protesi antecedente l’ingresso del sacerdote all’altare.
Dunque il sacerdote offre il calice, perché sia gradito a Dio e si raggiunga lo scopo per cui è offerto alla Maestà divina. Fatto nuovamente il segno di croce con il calice, lo depone sul corporale, in una linea verticale, tra il pane e la Croce d’altare. I Greci, al contrario, le mettono in linea retta, l’ostia a sinistra e il calice a destra, in modo che quest’ultimo simbolicamente raccolga il sangue che sgorga dal lato destro di Dio. Il calice viene poi coperto con la palla (cfr. paragrafo VI).
Intanto, il suddiacono, recandosi al centro ai piedi dell’altare, ha preso in consegna la patena, che terrà all’interno del velo omerale che indossa (chiamato in questo caso continentia), reggendola anzi al proprio volto. Questo gesto, che ha origine nell’antica consuetudine orientale secondo cui il suddiacono reggeva alcuni presantificati per la comunione del popolo, ha un valore simbolico molto forte: il suddiacono infatti, non avendo ancora il Sacramento dell’Ordine, alla stregua degli uomini dell’Antico Testamento ha davanti ai propri occhi un velo che gl’impedisce di vedere i misteri del Cristo.
L’offertorio è chiuso da alcune formule di supplica, recitate dal sacerdote in mezzo all’altare, con le mani giunte e alquanto inchinato: esse sono tratte dalle parole dei tre fanciulli nella fornace riportate dal profeta Daniele. Indi, completa l’offerta alla Santa Trinità (s’era infatti invocato il Padre nell’orazione sull’ostia, mentre la benedizione dell’acqua era rivolta al Figlio) con una preghiera allo Spirito Santo, durante la quale esso viene invocato dalla benedizione del sacerdote, che alzati gli occhi alla Croce traccia un segno di croce sulle oblate. Secondo molti analisti, questa sarebbe l’epiclesi della Messa Romana, eccezionalmente anticipata, mentre altri la vedono in altre preghiere del Canone. Il Gueranger sostiene i primi, dicendo che “la Chiesa invoca lo Spirito affinché, come ha formato il Cristo nel seno di Maria SS., si degni di formarlo di nuovo nell’altare”. È invece certo errata la tesi moderna per cui il Canone Romano sarebbe imperfetto rispetto all’altre anafore a motivo dell’assenza di una vera epiclesi, solo perché questa è posta in luogo diverso rispetto agli Orientali.

Súscipe, sancte Pater, omnípotens ætérne Deus, hanc immaculátam hóstiam, quam ego indígnus fámulus tuus óffero tibi Deo meo vivo, et vero, pro innumerabílibus peccátis, et offensiónibus, et negligéntiis meis, et pro ómnibus circumstántibus, sed et pro ómnibus fidélibus christiánis vivis atque defúnctis: ut mihi et illis profíciat ad salútem in vitam ætérnam. Amen.

Deus, + qui humánæ substántiæ dignitátem mirabíliter condidísti, et mirabílius reformásti: da nobis per huius aquæ et vini mystérium, eius divinitátis esse consórtes, qui humanitátis nostræ fieri dignátus est párticeps, Iesus Christus Fílius tuus Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti, Deus, per ómnia sǽcula sæculórum. Amen.
Offérimus tibi, Dómine, cálicem salutáris, tuam deprecántes cleméntiam: ut in conspéctu divinæ maiestátis tuæ, pro nostra, et totíus mundi salúte cum odóre suavitátis ascéndat. Amen.

In spíritu humilitátis, et in ánimo contríto suscipiámur a te, Dómine: et sic fiat sacrifícium nostrum in conspéctu tuo hódie, ut pláceat tibi, Dómine Deus.
 
Veni, sanctificátor omnípotens, ætérne Deus, et  bénedic + hoc sacrifícium tuo sancto nómini præparátum.
Accettate, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, quest’immacolata ostia che io indegno tuo servo offro a voi, o Dio mio vivo e vero, per gl’innumerevoli miei peccati, le mie offese e le mie trascuratezze, e per tutti gli astanti, ma anche per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti, acciocché per me e per essi sia giovevole alla salvezza nella vita eterna. Amen.

O Dio, + che meravigliosamente avete creato la dignità della natura umana, e assai più mirabilmente l’avete riformata, concedeteci pel mistero di quest’acqua e di questo vino, di aver sorte comune della divinità di colui che si è degnato d’assumere la nostra natura umana, Gesù Cristo figlio tuo e nostro Signore, che teco vive e regna nell’unità dello Spirito Santo, Dio, per tutti i secoli dei secoli.

Vi offriamo, o Signore, il calice della salvezza, implorando la vostra clemenza, affinché al cospetto della vostra divina maestà la nostra offerta salga in odor di soavità per la salvezza nostra e di tutto il mondo. Amen.

In spirito d’umiltà e con animo contrito possiam esser da voi accolti, o Signore: e così il nostro sacrificio sia accolto oggi al vostro cospetto, perché vi piaccia, o Signore Iddio.

Venite, onnipotente santificatore, eterno Dio, e benedite + questo sacrificio, preparato pel vostro santo nome.



XXV. La Grande Incensazione

A questo punto, il Sacerdote incensa nuovamente il Santo Altare, rendendo nuovo omaggio al Signore, siccome fecero i Re Magi il dì della Santa Epifania; prima, però, deve incensare le offerte che vi ha posto sopra, le quali han cessato di esser cose di questo mondo, e son diventate di Dio (non a caso, nelle liturgie orientali il pane oblato ma non consacrato si dà ai fedeli come “antidoro”, una specie di benedizione materiale, e nel De Defectibus si prescrive di gettare nel sacrario il pane e il vino per qualche motivo oblati ma non consacrati). Questa seconda incensazione, detta anche “Grande Incensazione” perché più lunga della precedente, così si compone:
  • Benedictio incensi: la preghiera con cui il celebrante benedice l’incenso è molto più lunga delle precedenti, e contiene riferimenti a S. Michele, con cui si identifica l’angelo turiferario che regge il turibolo d’oro nell’Apocalisse; questa visione entrata a far parte della consuetudine liturgica fu però molto criticata da alcuni biblisti, che con S. Luca I ritengono che sia S. Gabriele a stare a destra dell’altare dell’incenso, nonostante la Sacra Congregazione dei Riti abbia tacciato d’inesattezza tale supposizione. In questa benedizione si invocano gli Angeli, dacché il profumo dell’incenso rappresenta le preghiere dei Santi che da essi sono presentate a Dio.
  • Incensatio super oblata: il sacerdote incensa le offerte tre volte a mo’ di croce, richiamando così il mistero trinitario e il Sacrificio al contempo, rinnovando pertanto la benedizione divina su di loro; poi le incensa tre volte circolarmente, per avvolgerle completamente del profumo dell’incenso, siccome per tutto l’orbe si stanno offrendo per la salute del mondo.
  •  Incensatio crucis et altari: incensa poi, siccome avea fatto all’inizio, la croce, le reliquie, le immagini e tutto l’altare; nel farlo stavolta non sta in silenzio, ma recita parte del salmo CXL, che accompagnava l’offerta vespertina dell’incenso nella liturgia giudaica, e che esprime gli affetti del cuore e delle labbra richiesti per il sacrifizio.
  •  Incensatio sacerdotis et circumstantium: fatto ciò, more solito, riconsegna al diacono il turibolo coi soliti baci, aggiungendo una preghiera, perché l’incenso offerto sia di giovamento a sé stesso e agli altri presenti. Il sacerdote riceve poi dal diacono l’incensazione al solito modo; quest’ultimo, poi, si reca in coro accompagnato dal turiferario a incensare il vescovo (se presente), tutti i prelati, i sacerdoti e i chierici; poi incensa il suddiacono. Dunque, il turiferario incensa il diacono (che ha preso posizione dietro al celebrante) e il cerimoniere (che attende all’altare al lato del Vangelo, per sovrintendere al Messale), indi tutti gli altri servienti, e poi il popolo con tre colpi doppi simbolici, dati dalla balaustra in tutte le direzioni: ogni fedele infatti, a cagion del proprio Battesimo, è entrato a far parte del corpo mistico di Cristo, e come tale è degno di ricevere l’omaggio dell’incenso. Tutti per essere incensati, vescovi o laici, debbono alzarsi e inchinarsi all’incensatore per rispetto, che s’inchina a sua volta; solo il Papa, quando assiste pontificalmente, è incensato da seduto.


Incensat oblata ter in modum crucis:
Incénsum istud a te benedíctum, ascéndat ad te, Dómine:
                   
Deinde incensat ter in modum circuli:
et descéndat super nos misericórdia tua.

Dum incensat crucem et altare dicit:
Dirigátur, Dómine, orátio mea, sicut incénsum in conspéctu tuo: elevátio mánuum meárum sacrifícium vespertínum. Pone, Dómine, custódiam ori meo, et óstium circumstántiæ lábiis meis: ut non declínet cor meum in verba malítiæ, ad excusándas excusatiónes in peccátis.

Dum reddit thuribulum diacono dicit:
Accéndat in nobis Dóminus ignem sui amóris, et flammam ætérnæ caritátis. Amen.
Incensa tre volte le offerte a mo’ di croce:
Quest’incenso da voi benedetto, ascenda a voi o Signore:
                   
Poi incensa tre volte a mo’ di cerchio:
e su di noi discenda la misericordia vostra.

Mentre incensa la croce e l’altare dice:
Sia diretta al vostro cospetto, o Signore, la mia preghiera, quale incenso: l’offerta delle mie mani è il sacrificio vespertino. Poni, o Signore, custodia alla mia bocca, e sorveglianza alle mie labbra: acciocché il mio cuore non trascenda a parole maliziose, a cercar scuse per i peccati.

Mentre restituisce il turibolo al diacono dice:
Il Signore accenda in noi il fuoco del suo amore e la fiamma dell’eterna carità. Amen.

XXVI. Il lavabo 

Mentre s’incensa il coro e i fedeli, il sacerdote ha necessità di purificarsi, sia praticamente (ha toccato il turibolo e altri oggetti), sia simbolicamente, poiché necessita di essere puro d’animo e purificato dal peccato per poter officiare il Sacrificio (in fondo, ricorda il Gueranger, anche agli Apostoli furono lavati i piedi prima d’accedere alla Santa Cena): l’ultimo significato è messo in risalto nella liturgia ambrosiana, ove il lavabo si tiene durante il Canone, immediatamente prima della Consacrazione.
Quest’officio liturgico, la lozione delle mani, tanto nei riti occidentali che in quelli orientali (ove però si svolge durante l’inno Cherubico) è accompagnato dalla recita segreta della seconda metà del salmo XXV, nel quale ancora parla Nostro Signore stesso, e dunque ben può impiegarlo il sacerdote che è “alter Christus”. Dopo essersi lavate e asciugate le mani nel manutergio, terminato il salmo, inchina alla Croce pronunciando la dossologia minore, che però s’omette se si è omesso il salmo Judica all’inizio.

Lavábo inter innocéntes manus meas: et circúmdabo altáre tuum, Dómine:
Ut áudiam vocem laudis, et enárrem univérsa mirabília tua.
Dómine, diléxi decórem domus tuæ, et locum habitatiónis glóriæ tuæ.
Ne perdas cum ímpiis, Deus, ánimam meam, et cum viris sánguinum vitam meam:
In quorum mánibus iniquitátes sunt: déxtera eórum repléta est munéribus.
Ego autem in innocéntia mea ingréssus sum: rédime me et miserére mei.
Pes meus stetit in dirécto: in ecclésiis benedícam te, Dómine.
Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
Sicut erat in princípio, et nunc et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.
Laverò tra gl’innocenti le mie mani: e starò attorno al vostro altare, o Signore:
Per udire la voce della vostra lode, e raccontar tutte le vostre meraviglie.
Signore, ho amato il decoro della vostra casa e il luogo ove abita la vostra gloria.
Non perdiate tra gli empi, o Dio, l’anima mia, né la mia vita tra gli uomini sanguinari:
Nelle loro mani vi è iniquità: la loro destra è colma di doni.
Io invece son entrato con innocenza: riscattatemi, e abbiate misericordia di me.
Il mio piede si sofferma sulla retta via: nelle assemblee vi benedirò, o Signore.
Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
Com’era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen.

XXVII. Suscipe

Tutta l’offerta si è compiuta a cagione e a grazia della SS. Trinità, alla quale finalmente il sacerdote, leggermente inchinato, dedica l’intera oblazione con l’orazione Suscipe Sancta Trinitas: per oblazione, specificano tutti i liturgisti, non s’intende la mera materialità del pane e del vino (come solo materiali erano i sacrifici giudaici), ma anche, ancora una volta per anticipazione, il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo offerti in sacrificio. Lo fa commemorando tre dei maggiori misteri della Redenzione, ossia la Passione che ha sofferto, la Risurrezione di cui si è glorificato e l’Ascensione con cui è ritornato alla sua sede celeste: in questi tre misteri, dice il Gueranger, vi è il compendio di tutta nostra Fede (manca forse l’Incarnazione, a parer mio), e per questo son ricordati al termine dell’Offertorio. L’offerta e fatta poi anche in onore della Santissima Vergine, degli Angeli, di S. Giovanni Battista, degli Apostoli e di tutti i Santi (letteralmente l’orazione dice istorum et omnium, riferendosi prima ai Santi le cui reliquie son poste, e non, come alcuni malamente supponevano, al santo in cui onore si celebra la festa, tesi che non spiegherebbe il plurale e comporterebbe problemi nelle feste del Signore e nelle Messe da morto), commemorati secondo la scala di precedenza spirituale. Il tutto è ovviamente oblato per la nostra salvezza, per la quale intercedono tutti i beati del cielo, nel nome di Cristo soltanto. Quest’orazione è alquanto tarda, e fu universalizzata solo da S. Pio V.

XXVIII. Orate Fratres e Orazione sulle oblate

Poi, si volge verso il popolo facendo un giro completo e si appella fraternamente al clero e ai fedeli, chiedendo a mezza voce (a motivo del canto) di pregare perché il sacrificio, il suo sacrificio che anche a loro appartiene a motivo del sacerdozio regale in Cristo di cui parla S. Pietro, sia gradito a Dio; nel far ciò si mostra l’ultima volta ai fedeli (come il Cristo ostenso nell’Ecce homo) prima della Consacrazione. Il valore storico-liturgico di quest’orazione è molteplice:
·         E’ saluto ai fedeli, giacché anticamente sarebbe rientrato nel Santuario, dietro l’iconostasi (o a Roma si sarebbe steso un velo davanti all’altare) che avrebbe impedito la visuale. Anche la sua voce non s’udrà più per molto tempo, fatta eccezione per il prefazio (che comunque era cantato dietro l’iconostasi, come si evince dal fatto che ivi il prete non si volti salutando).
·         E’ richiesta di vicinanza spirituale: il sacrificatore chiede le preghiere degli astanti, perché egli non venga meno nel compiere la santa opera
·         E’ richiesta di attenzione per l’imminente Consacrazione: il rivolgersi del sacerdote medesimo ai fedeli sostituisce il πρόσχωμεν che il diacono pronunzia nei riti orientali, scomparso in quello romano.
 Questa preghiera, prettamente occidentale (non si ritrova in Oriente, però neanche a Milano), prevedeva in età carolingia le più svariate risposte, ma col Tridentino s’impose l’uso italico. Molti liturgisti l’hanno elogiata come il miglior esempio di espressione liturgica della fraternità cristiana.

Seguono una o più orazioni sulle oblate, secondo l’ordine dell’ufficio, nelle quali raccomanda a Dio e al Santo del giorno la presentazione del Sacrificio. Tale preghiera si dice Secreta perché è detta sottovoce e non si invitano i fedeli a pregare con l’Oremus, ma in età gregoriana era cantata a voce alta, e passò poi al silenzio per analogia colle altre preci offertoriali.

Súscipe, sancta Trínitas, hanc oblatiónem, quam tibi offérimus ob memóriam passiónis, resurrectiónis, et ascensiónis Iesu Christi Dómini nostri: et in honórem beátæ Mariæ semper Vírginis, et beáti Ioánnis Baptistæ, et sanctórum Apostolórum Petri et Pauli, et istórum, et ómnium Sanctórum: ut illis profíciat ad honórem, nobis autem ad salútem; et illi pro nobis intercédere dignéntur in coélis, quorum memóriam ágimus in terris. Per eúmdem Christum Dóminum nostrum. Amen.

V. Oráte, fratres ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.
R. Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nóminis sui, ad utilitátem quoque nostram totiúsque Ecclesiæ suæ sanctæ.
Accettate, o Santa Trinità, quest’oblazione, che vi offriamo a memoria della Passione, della Risurrezione e dell’Ascensione del Signore nostro Gesù Cristo: e in onore della beata sempre Vergine Maria, del beato Giovanni Battista, dei santi apostoli Pietro e Paolo, di questi e di tutti i Santi: perché sia di giovamento al loro onore, nonché alla nostra salvezza; e si degnino d’intercedere per noi in cielo quei di cui memoria facciamo sulla terra. Per lo stesso Cristo Signore nostro.

V. Pregate, o fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia accettabile anzi a Dio Padre onnipotente.
R. Accetti Iddio il sacrificio dalle tue mani, a lode e gloria del suo nome, e a vantaggio nostro e di tutta la santa sua Chiesa.

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