di Nicolò Ghigi
Il 2 novembre ricorre la commemorazione di tutti i fedeli defunti, giorno interamente dedicato alle preghiere di suffragio per le anime del Purgatorio, originatasi nella pratica monastica e fissata dall'abate sant'Odilone di Cluny nel 998, e successivamente passata almeno dal XIII secolo alla Chiesa Universale. La data del 2 novembre fu scelta ovviamente per mettere in relazione questo giorno, dedicato alle anime purganti, con l'immediatamente precedente festa d'Ognissanti, dedicata alle anime trionfanti, a preferenza di altri giorni cui sono invece deputate le preghiere per i defunti in altre tradizioni cristiane (il calendario bizantino prevede due sabati delle anime con il medesimo carattere d'intercessione per i morti, situati però uno subito prima della Quaresima e uno subito dopo la Pentecoste).
Tra le cerimonie caratteristiche di questo giorno, nei riti latini, vi è, accanto al suggestivo e compunto ufficio dei morti, e alla liturgia della messa di requie, con le toccanti parole della sequenza Dies irae (poema di Tommaso da Celano, XIII secolo), vi è il rito d'assoluzione super tumulum in suffragio di tutti i fedeli defunti. Molto si è già detto di tale cerimonia, che a onta del nome non è una vera e propria "assoluzione" in quanto la Chiesa non ha potere assolutorio sulle anime dei morti, ma ha piuttosto una funzione di suffragio, compiuta davanti a un castrum doloris (altresì detto catafalco) ornato che simboleggiava il feretro dei morti, e si è descritta la sua forma tipica nel rito romano, con il poeticissimo responsorio Libera me Domine, ispirato alla drammatica narrazione del giorno del Giudizio contenuta negli scritti del profeta Sofonia, le preci di suffragio, l'aspersione e l'incensazione del tumulo. (1)
Anche negli altri riti della famiglia latino-germanica esistono cerimonie simili, con differenze più o meno notevoli nella forma dovute agli usi locali, ma d'identica sostanza. Particolarmente ora accenneremo ai riti delle esequie (perché si noti che la cerimonia funebre, le exequiae, è propriamente il rito di assoluzione, fatto al feretro praesente cadavere o al tumulo absente cadavere, e non la messa di suffragio che pur vi s'accompagna) nella tradizione del Patriarcato di Aquileja e del Patriarcato delle Venezie.
Ad Aquileja
L'Agenda Dioecesis Sanctae Ecclesiae Aquilegiensis (2), il "rituale" proprio dell'antico Patriarcato, contiene l'Ordo exequiarum minorum da compiersi con il feretro, dunque praesente cadavere, preceduto dalla cerimonia del trasporto del feretro in chiesa e seguito dall'Ordo sepeliendi funus (laddove funus è figuratamente impiegato per indicare il cadavere). Dipoi l'Agenda, dopo aver parlato del funerale dei bambini, alla voce Ordo exequiarum in commemoratione: septimo vel trigesimo vel anniversario defuncti riporta semplicemente le variazioni da apportarsi nelle orazioni. Ragionevolmente si può supporre che in date ricorrenze dunque si replicasse la cerimonia delle esequie praesente cadavere, proprio come nel rito romano difatti l'assoluzione al tumulo non è che l'assoluzione al feretro con un'orazione in meno (e ovviamente senza il trasporto del feretro in chiesa e poi al cimitero).
L'intero ordine aquilejese delle cerimonie funebri, a differenza di quello romano, non contiene l'indicazione di celebrare la messa di requie, anche se assai probabilmente lo facevano. E' comunque provato che nell'antichità, prima dell'VIII secolo almeno, non si usasse la messa bensì l'ufficio dei morti come forma privilegiata di suffragio per i defunti.
Il rituale di per sé, essendo come tutti i testi liturgici antichi privo della quasi totalità delle indicazioni cerimoniali, che ragionevolmente si reputavano tenute a memoria dai sacerdoti, menziona solo l'aspersione del feretro all'arrivo in chiesa e l'aspersione e l'incensazione del sepolcro in cimitero, e durante le esequie non accenna né ad aspersioni né a turificazioni, ma di nuovo non è da escludere, anzi a mio avviso è da supporre, che le facessero.
Le esequie iniziano con il sacerdote che recita summissa voce un'orazione:
Omnnipotens Dei misericordiam deprecemur: cujus judicio nascimur et finimur: ut spiritum chari nostri (vel charae nostrae): quem Domini pietas de incolatu hujus mundi transire praecepit: requies aeterna suscipiat: et in beata resurrectione repraesentet: et in sinibus Abrahae, Isaac et Jacob collocare dignetur. Per Christum Dominum nostrum.
Supplichiamo la misericordia di Dio Onnipotente, secondo la cui discrezione nasciamo e moriamo: affinché il riposo eterno accolga lo spirito del nostro caro (o della nostra cara) cui la benignità del Signore ha ordinato di partirsi da questo mondo, e lo ripresenti alla beata risurrezione, e si degni di trovargli un posto nei seni di Abramo, Isacco e Giacobbe. Per Cristo Signore nostro.
L'orazione è sicuramente dal sapore molto antico, oltre che per la forma del latino, anche per la struttura sintattica, ma soprattutto per il riferimento al "seno di Abramo", antica concezione dei loci purgatorii (antecedente all'immagine del Purgatorio come "terzo luogo fisico" che in fondo si attesta solo dal XIII secolo), direttamente ricavata dall'episodio evangelico di Lazzaro e il ricco epulone. (3)
Segue il primo dei tre ornati responsori che accompagnano il rito. Il testo di tale responsorio è tolto da Geremia 7,6, mentre il verso è dal Salmo 101,12.
Indu[c]ta est caro mea putredine, et foedibus pulveris, cutis mea aruit, et contracta est. Memento mei Domine, quia ventus est vita mea. V. Dies mei sicut umbra declinaverunt, et ego sicut foenum arui. Memento...
La mia carne è rivestita di marciume, e delle sordidezze della polvere, la mia cute è seccata e intirizzita. Ricordati di me o Signore, perché la mia vita è un soffio. V. I miei giorni passarono come un'ombra, e io seccai come il fieno. Ricordati...
Quindi, il sacerdote dice il triplice Kyrie eleison, il Pater noster e alcuni versicoli, come nell'uso romano, e conclude con un'orazione che recita: Deus qui universorum es conditor et redemptor: [qui] cum sis tuorum beatitudo sanctorum, praesta nobis petentibus: ut spiritum chari nostri (vel charae nostrae) a corporis nexibus absolutum: in sanctorum tuorum resurrectione facias praesentari. Qui cum Deo Patre et Spiritu Sancto vivis, ac regnas Deus in saecula saeculorum. Amen.
O Dio, che sei il creatore e il redentore di ognuno; dacché sei la beatitudine dei tuoi santi, concedi a noi che ti preghiamo di far presentare lo spirito del nostro caro (o della nostra cara), disciolto dai lacci corporali, nella resurrezione dei tuoi santi. Tu con Dio Padre e lo Spirito Santo vivi e regni, Iddio, nei secoli dei secoli. Amen.
L'orazione presenta una notevole anomalia nella conclusione, che, rispetto a quella comunemente impiegata nelle orazioni rivolte al Figlio, contiene alcune variazioni (anticipazione del complemento d'unione rispetto ai verbi; ac anziché et; in anziché per; omissione di omnia avanti a saecula). Probabilmente queste ultime due peculiarità sono frutto di una contaminazione con la conclusione breve Qui vivis et regnas in saecula saeculorum.
Subito dopo, si canta un secondo responsorio, tolto da Geremia 10,20.
Paucitas dierum meorum finietur brevi. Dimitte me, Domine, sine plangam paululum dolorem meum. Antequam vadam ad terram tenebrosam, et opertam mortis caligine. V. Ecce in pulvere sedeo, et in pulvere dormio, et si mane me quaesieris, non subsistam. Antequam...
La pochezza dei miei giorni presto finirà. Congedami, o Signore, permettimi di piangere un po' il mio dolore. Prima che vada verso una terra tenebrosa, e coperta dalla nebbia della morte. V. Ecco, siedo nella polvere, e dormo nella polvere, e se al mattino mi cercassi, non sarò vivo. Prima che...
Tanto questo responsorio quanto il precedente sono tratti da Geremia, come la quasi totalità dei responsori dell'ufficio dei morti nei riti occidentali; peraltro, in altri testi liturgici di area germanica si riscontra la presenza tanto del Paucitas dierum quanto dell'Induta est (che seppure in forma mutila è presente pure al mattutino dell'ufficio dei morti romano). (4)
Seguono nuovamente il Kyrie, il Pater e i versicoli (leggermente diversi rispetto a quelli detti in precedenza) e un'orazione: Fac quaesumus, Domine, hanc cum animam famuli tui (vel famulae tuae) misericordiam: ut malorum suorum in poenis non recipiat vicem, qui in votis tuam tenuit voluntatem. Ut, sicut eam hic vera fides junxit fidelium turmis: ita eam illic tua miseratio societ angelicis choris. Per Christum Dominum nostrum. Amen.
Fai, te ne preghiamo, o Signore, quest'atto di misericordia nei confronti dell'anima del tuo servo (o della tua serva): che non riceva nelle pene la retribuzione delle sue azioni malvagie colui che nei suoi voti ha serbato la tua volontà; affinché, come la vera fede la congiunse alle torme dei fedeli, così nell'aldilà la tua misericordia la unisca ai cori angelici. Per Cristo Signore nostro. Amen.
Infine, il terzo responsorio è il Libera me, già reso noto ai più dal suo impiego nelle esequie di rito romano. Il testo del Patriarcato, di composizione ecclesiastica con richiami a Sofonia 1,15, presenta nondimeno alcune differenze rispetto a quello impiegato nell'Urbe, riportato subito sotto.
Libera me, Domine, de morte aeterna in die illa tremenda. Quando coeli movendi sunt et terra. V. Dies illa, dies irae, dies calamitatis et miseriae, dies magna et amara valde. Quando coeli. Requiem aeternam dona eis, Domine, et lux perpetua luceat eis. Dum venerit judicare saeculum per ignem.
Liberami, o Signore, dalla morte eterna, in quel giorno tremendo. Quando dovranno essere scossi i cieli e la terra. V. Quel giorno, giorno d'ira, giorno di calamità e miseria, giorno grande e assai amaro. Quando i cieli... Dona loro, o Signore, l'eterno riposo, e splenda ad essi la luce perpetua. Quando verrai a giudicare il mondo nel fuoco.
Libera me, Domine, de morte aeterna, in die illa tremenda. Quando coeli movendi sunt et terra. Dum veneris iudicare saeculum per ignem. Tremens factus sum ego, et timeo, dum discussio venerit, atque ventura ira. Quando coeli movendi sunt et terra. Dies illa, dies irae, calamitatis et miseriæ, dies magna et amara valde. Dum veneris iudicare saeculum per ignem. Requiem æternam dona eis, Domine: et lux perpetua luceat eis. (5).
Come si può vedere, il verso Dum veneris nell'aquilejese si dice una sola volta e alla fine, mentre nell'uso romano si ripete due volte e in diverse posizioni; il Quando coeli la seconda volta è detto dopo il Dies illa, mentre il testo romano prevede di dirlo prima; è nell'aquilejese completamente omesso il verso Tremens factus sum ego, et timeo, dum discussio venerit, atque ventura ira, che compare invece nel romano; nell'aquilejese è rafforzata l'anafora di dies al verso Dies illa, che viene ripetuto quattro volte, mentre nel romano è omesso davanti a calamitatis.
Ovviamente anche la melodia è notevolmente diversa tra i due testi, in quanto il messale romano riporta un tono gregoriano del X secolo rimaneggiato nell'Ottocento (6), mentre l'aquilejese segue i suoi suggestivi toni propri detti "patriarchini".
Ancora una volta il triplice Kyrie, il Pater e i versicoli, seguiti dall'orazione conclusiva. L'Agenda offre tre diverse orazioni a seconda dell'occasione, pro viro, pro muliere e pro pluribus indifferenter, al cui novero si devono aggiungere la colletta in septimo riportata più avanti (e che, con una sola ovvia variazione testuale, vale pure per il trigesimo e per l'anniversario), e le altre collette pro fratribus et sororibus, pro benefactoribus et in oratione commistis, pro sepultis in cimiterio e una colletta generalis, che sono riportate dopo quella del settimo.
Il rito delle esequie si conclude qui, perché segue immediatamente il seppellimento del cadavere; nella commemorazione, secondo quanto riportato al capo apposito, si conclude con Requiescant in pace. Amen. Fidelium animae per misericordiam Dei requiescant in pace. Amen.
A Venezia
Il rito patriarchino aquilejese era un tempo esteso a tutto il territorio del Patriarcato, non esclusa la Venezia marittima; è però noto che in quest'ultima il rito subì evoluzioni e contaminazioni, anche con riti orientali come l'alessandrino e il bizantino (soprattutto nel calendario, come si può vedere dalle numerose commemorazioni di santi orientali o dell'Antico Testamento, ch'è prassi non occidentale (7)), producendo due forme rituali leggermente differenti, quella patriarchino-veneziana in uso alla Diocesi di Castello (poi Patriarcato di Venezia) e quella marciana in uso alla Basilica di San Marco.
Il Diglich (8) c'informa che, nonostante l'adozione generale del Messale Romano nel Patriarcato di Venezia, che soppiantò il messale patriarchino, il clero di Venezia continuò a osservare alcune peculiarità rituali dell'antico rito locale, che sopravvissero e vennero sempre conservate e impiegate. Una di queste erano le preci impiegate nel rito delle esequie dopo la messa da morto, in cui non cantasi il Libera me, bensì il Redemptor meus vivit (peraltro diverso da quello che si cantava al funerale secondo lo stesso uso veneziano, ch'era il Quomodo confitebor.
Di seguito il testo, come riportato dal Diglich e dal Cappelletti (9):
Redemptor meus vivit, et in novissimo die resurgam et renovabuntur denuo ossa mea: et in carne mea videbo Dominum meum. Lauda anima mea Dominum: laudabo Dominum in vita mea. Redemptor meus.
Il mio Redentore vive, e risorgerò nell'ultimo giorno, e si riformeranno di nuovo le mie ossa: e nella mia carne vedrò il mio Signore. Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore nella mia vita. Il mio redentore...
Tale responsorio, pieno di speranza, potrebbe esser giunto nelle Venezie su influsso ambrosiano (il rito mediolanense lo prevede infatti nelle cerimonie d'assoluzione al tumulo) (10); uno stralcio è presente pure al mattutino dell'ufficio dei morti romano.
Secondo il Diglich, seguivano il triplice Kyrie eleison e cinque orazioni, di cui riporta solo le parole iniziali, di cui le ultime quattro erano precedute ciascuna da una delle seguenti antifone:
1. Haec requies mea in saeculum seculi, hic habitabo, quoniam elegi eam.
Questo è il mio riposo in eterno, qui abiterò, imperocché l'ho scelto.
2. Animam precamur, quam creasti, Domine, ut suscipi jubeas in regnum tuum, et in sinu Abrahae collocari facias, ut cum beato Lazaro portionem accipiat.
Ti preghiamo, o Signore, di ordinare che l'anima che hai creato sia accolta nel tuo regno, e che tu la faccia porre nel seno di Abramo, acciocché riceva la sua parte insieme al beato Lazzaro.
3. Spiritus tuus bonus deducet me in terram rectam: propter nomen tuum, Domine, vivificabis me in aequitate tua et educes de tribulatione animam meam.
Il tuo spirito buono mi conduce per terra sicura: a motivo del tuo nome, o Signore, mi darai vita nella tua giustizia e scamperai la mia anima dalla tribolazione.
4. Credo, Domine Deus, carnis resurrectionem et vitam aeternam: sed tantum deprecor tuam clementiam, ut non inter haedos, sed inter oves consortium merear.
Credo, o Signore Iddio, la risurrezione della carne e la vita eterna: ma solo supplico la tua clemenza, perché io meriti un posto non tra i capri, ma tra le pecore.
Infine, si diceva il salmo 129 De profundis, il versetto A porta inferi, l'orazione Absolve quaesumus e il Requiem aeternam, come del resto nel rituale romano.
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NOTE
(1) Vedasi per esempio QUI. Il testo di riferimento per le cerimonie descritte qui, come nell'articolo linkato, è Missale Romanum ex decreto Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum S. Pii V Pontificis Maximi jussu editum aliorumque Pontificum cura recognitum a Papa Pio X reformatum et Benedicti XV auctoritate vulgatum, ed. VI juxta typicam Vaticanam, Turonibus, sumptibus et typis Mame, 1952
(2) Agenda Dioecesis Sanctae Ecclesiae Aquilegiensis, Venetiis, ex Bibliotheca Joannis Baptistae Somaschi, 1575, fol. 45-56
(3) cfr. Jacques Le Goff, La naissance du Purgatoire, Paris, Gallimard, 1981
(4) cfr. Breviarium Romanum ex decreto Sacrosancti Concilii Tridentini restitutum S. Pii V Pontificis Maximi jussu editum aliorumque pontificum cura recognitum Pii Papae X auctoritate vulgatum, ed. XXIV juxta typicam, Turonibus, sumptibus et typis Mame, 1939
(5) Missale Romanum, op. cit.
(6) A tale tono "ufficiale" si affiancava una gran copia di toni simpliciores o breviores, dalle melodie notevolmente semplificate per l'uso parrocchiale.
(7) L'ultimo calendario proprio del Patriarcato di Venezia, promulgato dal Patriarca La Fontaine, contiene memorie di santi orientali le cui reliquie sono nelle chiese della città (e.g. S. Giovanni l'Elemosinario, S. Cosma eremita, S. Ermolao ieromartire etc.), del secondo patriarca d'Alessandria S. Aniano, di S. Zaccaria padre di S. Giovanni Battista e altri. cfr. Proprium Missarum pro Venetiarum Patriarchatu, Venetiis, typis Aemilianis, 1916
I calendari precedenti prevedevano molte più memorie di santi di tal schiatta, compresi molti Patriarchi e i Profeti dell'Antico Testamento, S. Simeone il giusto e S. Lazzaro risuscitato, essendovi in città molte chiese dedicate (ma non solo per quello, come nel caso di S. Elia), cosa prettamente orientale e ignota all'Occidente. cfr. Giambattista Galliccioli, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche, Venezia, appresso Domenico Fracasso, 1795, tomo IV
Il calendario proprio della Basilica Marciana, come detto, ne annoverava altri ancora. cfr. Kalendarium ad usum cleri Sanctae Marcianae Basilicae Venetiarum servatis ordine coeremonialis atque immemorabili ejus consuetudine, Venetiis, Nardini, 1805, in 8.
(8) Giovanni Diglich, Rito veneto antico detto patriarchino, Venezia, nella tipografia di Vincenzo Rizzi, 1823.
(9) Giuseppe Cappelletti, Storia della Chiesa di Venezia dalla sua fondazione sino ai nostri giorni, Venezia, coi tipi del monastero armeno di S. Lazzaro, 1853
(10) Missale Ambrosianum juxta ritum Sanctae Ecclesiae Mediolanensis, Mediolani, Daverio, 1954
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