martedì 6 novembre 2018

Un orientamento al contrario è segno di una teologia contradditoria

di Peter Kwaniewski

I Cattolici che si addentrano in discussione serie riguardo la liturgia, desiderando forse conoscere l'oggetto di tutto questo trambusto, rapidamente scopriranno che una delle domande più scottanti, e per un certo verso la più importante, è l'orientamento della liturgia. Qual è il grosso problema legato alla direzione in cui il prete guarda durante la Messa?

Per cominciare, il costume di tutti i Cristiani di offrire e partecipare alla liturgia Eucaristica rivolti verso Oriente ha le stesse radici apostoliche e la stessa universalità nella Storia della Chiesa, che possiede per esempio l'uso dell'acqua battesimale, la preghiera dei salmi, il culto della Risurrezione di Cristo la domenica, la venerazione della Madre di Dio e dei santi, e delle loro reliquie. Come dato di fatto, l'orientamento verso oriente è anteriore all'uso di paramenti sacri ufficiali, di edifici sacri consacrati, e persino del Credo Niceno Costantinopolitano che recitiamo ogni domenica.  [...]

Si pensi in tal modo: Vorresti tu, praticante cattolico, che la domenica fosse abolita, rimpiazzata da un altro giorno della settimana, o semplicemente levata dal calendario? Questa sarebbe una deviazione inconcepibile dalla pratica Cristiana. Vorresti che tutti i salmi fossero rimossi dalla messa e dall'Ufficio Divino? Potremmo rimpiazzare il battesimo con una cerimonia civile, o smettere di onorare la nostra Santa Madre perché ciò potrebbe farci sentire quali bimbi immaturi od offendere le femministe anti-materne? O avere preti che celebrano in jeans e maglietta, perché questi sono gli abiti comuni dei nostri giorni, come vesti e mantelli erano gli abiti comuni dell'età antica? Impossibile! Non può accadere che ciò che si è fatto per millenni venga all'improvviso cancellato.

Ma è esattamente quel che si è fatto con il culto rivolto ad orientem. Per circa duemila anni, il clero e i fedeli insieme si rivolgevano nella stessa direzione, in attesa di Cristo e in Sua adorazione, di Colui che già si è fatto presente nel mistero della Sacratissima Eucaristia, Colui che ha da venire alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e il mondo nel fuoco.

Rivolgersi ad orientem preserva l'orientamento escatologico della liturgia. Quando i primi Cristiani si riunivano la domenica per rendere culto al Signore, essi si trovavano ad anticipare la seconda venuta di Cristo; questa sembra essere la più antica caratteristica del nostro culto pubblico. Come nota dom Gregory Dix, la "forma primordiale" della celebrazione domenicale non era tanto una celebrazione che guardava alla risurrezione di Cristo della prima Pasqua, o a qualche particolare mistero o momento della Sua vita terrena, ma che piuttosto guardava avanti con lungimiranza al ritorno del Signore nella gloria, supplicandolo di liberarci dalle malie del peccato, della morte, e dell'inferno. La messa domenicale riguardava la vita nel secolo venturo, che i primi Cristiani, che si trovavano a soffrire amare e terribili tribolazioni, dovevano tenere in gran considerazione, dacché pregavano e speravano di restare nella fede: "non c'indurre in tentazione ma liberaci dal male". Per questa ragione, il guardare a oriente nella preghiera era un simbolo intenso: dopo le tenebre e la notte oscura, il sole sarebbe sorto gloriosamente all'orizzonte, da est, emanando luce e calore.

Per non menzionare tutti i passi scritturali, ripetutamente commentati dai Padri della Chiesa, che chiamano Cristo "l'Oriente", o dicono che Egli ascende a Oriente, o che Egli viene da Oriente (cfr., inter alia, Ps. 67,34; Atti 1,10-11; Mt. 24,27; Zacc. 6,11-12).

Nel voltare il prete verso la gente, ci si è decisamente allontanati da quello che era il più antico, il più significante, il più distintivo costume del nostro culto come Cristiani. Quando ci rivolgiamo ad orientem, ritorniamo con decisione ai fondamentali della fede Cristiana e alla sua prassi originaria. Ironicamente, nell'adottare la novità del versus populum - un supposto "ritorno alla pristina prassi" secondo gli studiosi della metà del XX secolo, le cui conclusioni sono state smentite dal lavoro degli studiosi successivi - si è fatto sì ch'andasse perduto il più antico elemento di tutti.

Non è difficile vedere perché questo costume avrebbe dovuto quasi potersi considerare l'essenza stessa del culto Cristiano. Molto semplicemente, il culto riguarda Dio, e non riguarda noi stessi. O, meglio, riguarda noi solo nella misura in cui noi siamo da Dio, in Dio e per Dio, il nostro Creatore, Salvatore, Santificatore e Giudice. Laonde, anche nella misura in cui, come dice San Tommaso Aquinate, la liturgia è fatta per ke nostre necessità, imperocché Dio, che è infinitamente buono, non vuol guadagnre nulla per Se stesso, essa è comunque fatta per l'amore e la lode e il ringraziamento di Dio, che è l'origine e il compimento di tutte le nostre necessità. Le nostre necessità , in breve, sono PER DIO; la nostra necessità più profonda e di andare oltre noi stessi in Lui. Il maggior proposito del culto è di portarci fuori da noi stessi e stabilirci in Dio. In questo senso, ogni aspetto del culto liturgico che non ha chiaramente il suo fine in Dio, Padre e Figliuolo e Santo Spirito, o ogni aspetto che sembra avere il suo fine in noi, non è liturgia, qualunque altra cosa sia (e.g., autostima, costume sociale, terapia, superstizione).

Quindi, la posizione ad orientem semplicemente esprime l'atto di adorazione in se stesso, mentre quella versus populum esattamente lo contraddice. Questo è il motivo per cui non è solo poco adatto, ma financo antitetico alla religione. Il teologo Max Thurien, scrivendo (la qual cosa ha del sorprendente) nel giornale ufficiale vaticano Notitiae osservava, in un'affermazione che ne anticipava una di Ratzinger simile e assai più famosa ripresa in Lo Spirito della Liturgia:
"L'intera celebrazione [della Messa] è spesso condotta come se fosse una conversazione e un dialogo in cui non v'è più spazio per l'adorazione, la contemplazione e il silenzio. Il fatto che il celerante e i fedeli si guardino costantemente in faccia gli uni gli altri chiude la liturgia in se stessa".

Sulla stessa linea, il cerimoniere papale Guido Marini notò durante una conferenza a Roma:
"Ai nostri tempi, l'espressione "celebrare rivolti al popolo" è entrata nel vocabolario comune... Una siffatta espressione sarebbe categoricamente inaccettabile quando venisse a esprimere una proposizione teologica. Teologicamente parlando, la santa Messa, infatti, è sempre indirizzata a Dio per mezzo di Cristo nostro Signore, e sarebbe un grave errore immaginare che l'orientamento principale dell'atto sacrificale sia la comunità. Un siffatto orientamento, perciò, il voltarsi verso il Signore, deve animare la partecipazione interiore di ciascuno durante la liturgia. Parimenti, è ugualmente importante che questo orientamento sia ben visibile anche nel segno liturgico".

Marini ci aiuta a vedere non solo che l'oggetto della liturgia dovrebbe sempre essere Dio, o l'uomo-Dio, Gesù Cristo, e mai meramente l'uomo, ma anche che quest'orientamento oggettivo (non passiamo evitare l'Oriente nemmeno nel nostro modo ordinario di parlare!) dovrebbe essere visibile, evidente al senso, facilmente comprensibile dall'intelletto, e facilmente traducibile nel movimento del desiderio che noi chiamiamo "amore", che è ordinato verso il bene - verso un bene esterno a noi, nel caso del nostro fine ultimo.

Rappresenterò il contrasto tra le due contradditorie posizioni in relazione ai loro significati di soggetto e oggetto.

Nella posizione ad orintem, la relazione soggetto/oggetto appare come uomo/Dio. Il prete guarda e agisce come immagine di Cristo, come mediatore tra Dio e l'uomo. Paradossalmente, la centralità del prete nel vecchio rito serve a enfatizzare che Dio è il solo e unico oggetto di culto, dacché il prete è in tal modo ovviamente assimilato al suo ufficio di alter Christus.

Nella posizione versus populum, la relazione soggetto/oggetto appare come popolo/prete. Il prete, pur colle migliori intenzioni, guarda e agisce come il presentatore autorizzato di un evento comunale; il posizionarsi vis-à-vis gli conferisce una sorta di autocratica prominenza come l'unico al quale l'assemblea è subordinata e legata. Questa potrebbe essere la ragione psicologica per cui alcuni preti compensano ciò con informalità, scherzi, beffe, sorrisi, gesti, applausi - lo stesso "eccessivo contrapporsi" del prete nel versus populum sembra esigere un ridimensionamento di tale eccesso - e lo fa attraverso l'enfatizzazione del fatto che egli è "uno di noi", dopo tutto! Quanto triste è che l'unica vera e ovvia via per mostrare che il prete sia "uno di noi" - e cioè, che egli guardi nella stessa direzione verso la quale ciascuno guarda e che offra il sacrificio per loro conto, lo stesso sacrificio che essi offrono nei loro cuori - è stato rigettato come un simbolo opaco e scaduto, da rimpiazzarsi con un modello che trasforma la messa in qualcosa fatto nei riguardi del popolo e, in un certo senso, a lui imposto. In realtà, la messa è qualcosa che Gesù Cristo, secondo la Sua natura umana, compie nei riguardi della Santisima Trinità, come la grandiosa preghiera Suscipe Sancta Trinitas perfettamente esprime, e noi possiamo unirci ad essa.

Ironicamente, per un rito che è stato pensato come meno clericale e più popolare, il prete nel nuovo rito diventa assai più centrale, al centro dell'attenzione per via della sua personalità, del suo "stile popolare" o del suo "modo di esser prete". Il versus populum non fa altro che sottolineare la disgraziata amplificazione della presidenza umana, a costo di assimilarla alla kenosis e all'unica mediazione di Cristo.

Kathleen Pluth rappresenta brillantemente il problema e la soluzione. Avendo detto di sé ch'ella odia esser causa di distrazione per gli altri cantando di fronte alla chiesa, ed ella preferirebbe assai trovar rifugio in un coro (i cantori dovrebbero essere ascoltati, non veduti!), ella poi passa a considerare il celebrante della messa:
"Il ruolo del prete è esponenzialmente più complesso. Egli non può nascondersi. Il suo ruolo è intrinsecamente, e in un certo senso primariamente, visibile, dacché guida l'assemblea attraverso il velo, nel Sancta Sanctorum. Noi lo seguiamo [...]. Per secoli il simbolismo del nostro "seguire" il prete era chiaro. Nondimeno, nel periodo postconciliare, e senza un diretto riferimento negli stessi documenti del Concilio, il carattere della relazione tra il prete e il popolo è stato notevolmente distorto con la postura versus populum.
Quando le persone si guardano le une gli altri, mirano a esser gradite. Hanno contatto visivo; sorridono per incoraggiarsi. C'è una parola che descrive detta gestualità: flattery [suona più o meno come "adulazione", ma qui il senso è più complesso e appena definito, ndt]. La gente "adula" i propri preti e i loro preti li adulano, con un rapporto medio, direi, di 500 a 1. Nulla di tutto ciò è incoraggiato nei documenti del Concilio. La postura versus populum, è particolarmente mondana. Essa pone il prete non come un modello da seguire, ma come l'ospite di un talk show da compiacere nella misura in cui egli ci compiace. Non ci sono ragioni per questo.
Gli sguardi verso Dio dovrebbero essere resi chiaramente nella Liturgia (si guardi la Hierarchia Ecclesiastica dello Pseudo Dionigi per una meravigliosa esposizione di come questo dovrebbe funzionare), ma di contro il nostro cammino verso Dio è oscurato da una serie di contatti visivi e risposte che distraggono. La liturgia della domenica è fondamentale per tutti, e per molti è l'unico contatto con la Chiesa. Pertanto, i suoi simboli dovrebbero esprimere la Verità, inclusa la verità circa le relazioni ecclesiastiche, che non dovrebbero essere in funzione del compiacimento ma del servizio. Il salmista canta: "Rivesti di santità i tuoi sacerdoti / i fedeli canteranno di gioia". La postura ad orientem permette ai preti di essere preti e pure al popolo di essere se stesso, mentre tutti insieme si rivolgono a Dio.
Di conseguenza, era un gran vantaggio del demonio volgere i preti verso la gente, creando un cerchio magico di affermazioni di vicinanza che fanno decadere l'esperienza della messa a livello di uno scambio orizzontale, un avanti e indietro nella quotidianità. Non v'è nulla di trascendente in questo; al contrario, Dio è addomesticato, domato, manipolabile - non è Colui che riceve il sacrificio, ma un argomento di conversazione".

Nel contesto occidentale [e non solo, ndt], inoltre, laddove l'uso di una lingua sacra è stata la prassi pressoché universale e priva d'eccezione per la maggior parte della storia della Chiesa, l'introduzione del vernacolare - e fino a poco tempo fa, di un banale e noioso vernacolare - ha pure contribuito a questo livellamento serpentino. Ad orientem, l'uso del latino, il canto piano, inginocchiarsi per la comunione, sono mezzi semplici ma potenti per ricusare l'orizzontalismo democratico che ha afflitto la liturgia degli ultimi cinquant'anni. Lo smantellamento di tutto ciò - la rimozione delle balaustre, la pratica della comunione in piedi (rispetto a come si è sviluppata la prassi occidentale nel secondo millennio), la ricezione della comunione in mano, l'abolizione del chierico colla patena e via così - tutti questi sono coerenti con una prospettiva più ampia della deformazione dell'atto di culto in un atto di precipitosa autostima, che ricorda ossessivamente quanto avvenuto nel Giardino dell'Eden.

[FONTE. Traduzione a cura di Traditio Marciana]

Nelle foto è possibile vedere un confronto tra la prassi "versus populum e la pratica di liturgia tradizionale in Oriente e Occidente.




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