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Il 9 febbraio è la Giornata mondiale della lingua greca, uno dei fondamenti della nostra civiltà e del nostro modo di pensare il mondo.
«A che serve studiare il greco, è una lingua morta»: questo il ritornello – se non il maleficio – che risuona da decenni, con molte responsabilità di intellettuali che, per immediata convenienza o per interna debolezza, hanno assecondato in varietà di forme quella Tirannia del Presente che ha finito per spegnere la loro stessa voce. E invece. Persino più forte di un Laocoonte avvolto nelle spire del serpente marino, il greco oggi resta vivo, non solo per i quasi venti milioni di ellenofoni nativi (dalla Grecia a Cipro alla diaspora ellenica nei continenti: si pensi al film del Mio grasso grosso matrimonio greco) o per i nostri studenti del liceo classico che si confronteranno con la prova scritta di greco alla maturità.
Resta vivo perché i miliardi di viventi che si esprimono con i più diversi idiomi sul pianeta ricorrono – troppo spesso senza saperlo – a parole greche nella loro vita di ogni giorno. È un loro destino necessario, e non “tragico”, sia che nutrano la “nostalgia” del passato, sia che “analizzino” i “problemi” della “politica”, sia che lavorino a “utopie” di futuro, non solo con la “matematica” o la “fisica” – discipline greche plurimillenarie – ma anche grazie alla più recente “cibernetica”.
In effetti, se potessimo visualizzare e in qualche modo soppesare la sostanza dei nostri pensieri, scopriremmo che sono fatti per la massima parte di “materia greca”. Essa è dentro di noi e ci alimenta, sul suo piano, così come sul loro piano fanno i “nutrienti” (carboidrati, proteine, vitamine) sulle cui proprietà veniamo ogni giorno avvisati.
Ma il mercato, e troppo spesso le istituzioni, insistono solo sui secondi trascurando la prima. Mettere in rapporto la recente “crisi” del debito pubblico greco con l’influsso del vocabolario greco antico sul lessico intellettuale europeo non aiuta granché, e resta solo una boutade pensare di ripianare quel debito con una tassa sovranazionale sulle parole greche entrate nell’uso comune.
Ma la questione del greco esiste e resiste, specie in Italia. Diversamente da quanto accaduto in altre tradizioni culturali, da noi la presenza culturale greca è “organica”, stratificata, diversificata, plurimillenaria. Inserita nel paesaggio, preziosa nelle biblioteche. E il nostro liceo classico, nel panorama degli studi superiori, resta l’unico a testimoniare di un percepito valore civile oltreché conoscitivo dello studio del greco.
La vitalità del tema greco è testimoniata da numerose pubblicazioni: alcune lo pongono sotto il più ampio coperchio del classico (per esempio gli einaudiani Futuro del classico, di Salvatore Settis, e A che servono i Greci e i Romani?, di Maurizio Bettini, mentre le Dieci lezioni sui classici di Piero Boitani sono edite dal Mulino), altre risultano invece più specifiche. Il greco è la “lingua geniale” nel bestseller di Andrea Marcolongo per Laterza mentre il Melangolo ripropone l’Elogio del greco antico di Jacqueline de Romilly e Monique Trédé, dove si ricorda ai lettori che quella lingua si è diffusa nel pianeta senza che nessuna autorità politica la imponesse con la forza. Nel Dizionarietto di greco scritto insieme a Edi Minguzzi per La Scuola, chi qui firma ha indicato etimologie e tracciato percorsi culturali del vocabolario greco inteso quale “macchina per pensare”' dell’Occidente.
In questo scenario va colto lo spirito della Giornata mondiale della Lingua greca, istituita dal governo greco a fine 2016 anche al fine di inserire la lingua greca nel Patrimonio immateriale dell’Umanità Unesco (dove compare anche la dieta mediterranea, per continuare con l’immagine già evocata). La data prescelta è il 9 febbraio, anniversario della morte di Dionysios Solomos (1798-1857), poeta nazionale della Grecia moderna nonché ammiratore del Foscolo e suo conterraneo (con Zacinto e il «greco mar»). Magna Grecia e Italia del Nord (dove Solomos visse per anni) (1) si uniscono nella festa della lingua greca, con molte celebrazioni locali (per esempio nei licei classici) e con iniziative promosse dalla Società filellenica nazionale: l’8 febbraio a Sant’Angelo in Formis (Masseria Adinolfi, ore 17), e il 9 febbraio a Milano, ore 18, Biblioteca Sormani, dove sette studiosi presenteranno “Lodi della lingua greca” presso la Sala del Grechetto.
Note di Traditio Marciana
(1) Dionysios Solomos visse alcuni anni a Venezia, frequentando per un anno il Liceo di S. Caterina fondato pochi anni prima da Eugenio Bonaparte, l'attuale Liceo Classico Marco Foscarini. Egli, nato appunto a Zacinto, fece una scelta opposta rispetto a Foscolo, scegliendo il greco come propria lingua poetica e la Grecia come propria patria, proprio nei gloriosi anni della guerra d'indipendenza ellenica (1821-1832); cionondimeno, egli padroneggiava assai bene anche l'Italiano, e all'interno della sua produzione si annoverano, oltre ai famosissimi poemi nazionali greci come Ὕμνος εἰς τὴν Ἐλευθερίαν ed Ἐλεύθεροι πολιορκημένοι, anche poemi in Italiano (La Distruzione di Gerusalemme o Ode per la prima Messa, e.g.), nonché traduzioni in greco di opere italiane (di Metastasio e Petrarca).
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