sabato 6 giugno 2020

Note storico-liturgiche sulla Domenica della Santissima Trinità

Una plurisecolare consuetudine dell'Uso di Roma è quella di celebrare, la domenica successiva alla Pentecoste, una solenne festa in onore della Santissima Trinità. L'intima correlazione tra il mistero della Pentecoste e il mistero Trinitario è conosciuta a tutti i riti, seppur praticata in modo talora diverso: nella liturgia bizantina, per esempio, il giorno stesso di Pentecoste è celebrato in onore della Trinità Divina, e invece la Sinassi del Santo Spirito si compie il lunedì fra l'Ottava.

Nella Pentecoste infatti si verifica un'azione di tutte le Persone della Santissima Trinità, nella Processione economica (προΐεσις) dello Spirito Santo nel cosmo dal Padre e dal Figlio (diversa dalla Processione eterna (ἐκπόρευσις) dal Padre che è nel Credo niceno-costantinopolitano); inoltre, il mistero della Trinità di Dio, uno dei due principali articoli della fede cristiana, tema della predicazione apostolica e della vita della Chiesa, è riproposto in tal modo a tema che guidi la liturgia nelle lunghe settimane che seguono la Pentecoste, fino alla ripresa del ciclo annuale.

La famosa icona della Trinità istoriata dal santo iconografo russo del XIV secolo Andrej Rublëv sotto la forma della φιλοξενία τοῦ Ἀβραάμ ("ospitalità di Abramo"). Avendo i Santi Padri sempre letto l'ospitalità data dal patriarca ai tre angeli come una prefigurazione delle Tre Persone Divine, essa è la forma canonica in cui la Consustanziale Trinità è rappresentata nell'iconografia cristiana tradizionale. Il Figlio è al centro della composizione trinitaria: l'angelo centrale indossa le vesti rosse e blu che rappresentano le due nature di Cristo, e accanto ha un albero a significare la Croce, l'albero della vita; il Padre, in vesti auree, sta alla sinistra, e in quanto sommo principio (ἀρχή) della Trinità a esso rivolgono lo sguardo gli altri due angeli; a destra sta lo Spirito Santo, nelle vesti verdi che nell'uso liturgico orientale sono tradizionalmente impiegate per le feste dello Spirito.
Le immagini trinitarie occidentali moderne (dalla Trinità di Masaccio in giù) sono invece contrarie all'iconografia tradizionale (sono pitture a tema religioso, non arte sacra, secondo una distinzione già data qui), perché, se il Figlio è modello dell'uomo e la forma di colomba per lo Spirito Santo è citata nel Vangelo, il Padre non ha forma, e rappresentarlo come un vecchio barbuto, oltre che potenzialmente eterodosso, non fa bene ai fedeli né quanto alla loro educazione catechetica (potrebbero tribuire alla sua Persona caratteri di umanità propri esclusivamente della Persona del Figlio), né quanto al chiarire la fede Cristiana al mondo (si sarà sempre presi in giro dai miscredenti perché si confida nel "vecchio barbuto": come spiegare che non è così se pure noi ce lo disegniamo?)
Celebrando la festa della Trinità di domenica, l'uso di Roma fa terminare l'Ottava di Pentecoste il sabato pomeriggio, dopo il canto di Nona e della Messa del Sabato delle Tempora, con le sue lezioni e, tradizionalmente, il conferimento ai chierici degli ordini minori. Questa ottava "troncata", cioè senza una dies ipsa octava, ha in un certo qual senso un parallelo con l'Ottava Pasquale, di cui in fondo è emule in quanto seconda festa più importante dell'anno liturgico. Quantunque la Domenica in Albis sia in Octava Paschatis (e abbia pure il rito doppio come tutti i giorni ottavi), essa non presenta già più le caratteristiche tipiche dei giorni fra l'Ottava di Pasqua, quali le forme speciali delle Ore e il doppio alleluja al Benedicamus e all'Ite.

E' da notare che molti usi, massimamente germanici, prevedevano invece un'Ottava completa di Pentecoste. Ancora nel Missale Frisingense del 1579 abbiamo una Messa domenicale in Octava Pentecostes, in cui tutto si dice come nella festa, eccetto Epistola (Apocalisse IV) e Vangelo (Giovanni III). La festa della Santissima Trinità è iscritta il lunedì seguente [1], presentando, tra le altre cose, la sequenza Benedicta semper sancta. La messa di tale festa, leggiamo nella rubrica, è da ripetersi il martedì e il mercoledì seguenti, sed dominicaliter (che nella classificazione rubricale delle feste tipica degli usi germanici equivale plus minusve al Semidoppio) et Sequentia omittatur. Questo modo di riempire i giorni che separano l'Ottava di Pentecoste dal giovedì del Corpus Domini non era ignoto, per esempio, agli usi inglesi, che prescrivono di ripetere la messa della Trinità, o almeno di commemorarla, nei giorni della settimana seguente (al modo di un'ottava abbreviata). Nel rito romano, invece, quei giorni sono liberi, ferie della I settimana dopo Pentecoste, e in una di queste - se consentito - si deve riassumere la messa della I domenica dopo Pentecoste, solo commemorata il giorno della Trinità. E' da dire che negli usi inglesi e germanici le domeniche per annum sono enumerate post Trinitatem, e non post Pentecosten, sicché non vi sarebbe diversamente nessuna messa da dire in quei giorni. In molti luoghi e in molte chiese, comunque, anche in vigenza dell'uso di Roma, era prevista un'Ottava della Santissima Trinità che comprendesse quei giorni, e poi venisse commemorata il venerdì e il sabato seguenti, per poi infine essere celebrata a regolare preferenza della II domenica dopo Pentecoste ovvero fra l'Ottava del Corpus Domini.

Approfondendo i testi della festa odierna, possiamo apprezzarne la profondità teologica che non sfocia mai nel dogmatismo, nel voler a tutti i costi forzare i testi liturgici per dare definizioni dogmatiche da catechismo (tecnica antistorica molto adoperata dai compositori di nuove messe per i dogmi, come per la Concezione o per l'Assunzione), ma proponendo il mistero alla contemplazione spirituale piuttosto che alla sua comprensione razionale, secondo l'insegnamento patristico. Anche laddove le definizioni sono molto chiare, come nel Simbolo Atanasiano, è rispettato il carattere intrinseco dei testi, e l'aura che circonda l'intera celebrazione è quella dell'esaltazione del Dio Uno e Trino, piuttosto che di una seduta catechetica o di una meditazione su un tema (il classico problema delle feste di idea): si proclama la verità della fede ortodossa che Dio è Uno e Trino, e che la sua lode è lo scopo della santa liturgia, la quale non dovrà mai cessare nella magnificazione dell'Altissimo. Non a caso, in questo giorno, nel Sacramentario Gelasiano una colletta prega che i fedeli Spiritus tui eruditione formandos prophetica et apostolica potius instituta quam philosophiae verba delectent, testimoniando la differenza tra conoscenza filosofica razionale e conoscenza spirituale, quest'ultima richiesta al Cristiano.

Oltre al già citato Simbolo Atanasiano, che troviamo nell'Ufficio di Prima dopo il quarto salmo e che è prescritto di cantarsi d'ora innanzi tutte le Domeniche per annum in quel medesimo luogo, tra i testi più significativi di questa festa che sentiremo ripetersi per tutto il lungo tempo dopo Pentecoste abbiamo l'ottavo responsorio del Mattutino, Duo Seraphim clamabant, composto probabilmente da Papa Innocenzo III.

Il Prefazio della Trinità, probabilmente il più noto a quanti frequentano abitualmente una messa in rito romano tradizionale, diventa in realtà il prefazio delle domeniche (nisi altera sit assignata) solo nel 1756, per imperio di Benedetto XIV: scelta forse felice per le domeniche dopo Pentecoste (che appunto sono nei fatti domeniche dopo la Trinità, espandendo nella predicazione divina e apostolica il sommo mistero), decisamente più infelice per le domeniche di Avvento cui meglio si addiceva il Prefazio comune. Ad ogni modo, prima dell'estensione settecentesca il prefazio della Trinità era l'unico prefazio che, nell'economia post-gregoriana del rito romano, che vuole una variabilità molto limitata in questo punto (ne abbiamo ampiamente parlato commentando la recente introduzione di nuovi prefazi nel messale del '62), restava impiegato una sola volta all'anno (al netto di messe votive). Esso ci deriva direttamente dal Sacramentario Gelasiano (riportato, però, per la Dominica in octavorum pentecostes, non prevedendo una festa della Trinità: segno però che la correlazione tra il mistero trinitario e l'avvenimento della Pentecoste è molto antica), e, coerentemente con quanto detto sopra, descrive in termini sublimi e spirituali il mistero della Trinità divina. Il linguaggio teologico è quello della scuola leoniana, e non mancarono autori che fecero rimontare la paternità del prefazio allo stesso santo Papa, e dunque al V secolo.

Celebrando dunque il sommo mistero della Sacrosanta, Consustanziale, Vivificante ed Indivisa Trinità, benediciamo il Padre e il Figlio col Santo Spirito, lodiamolo e grandemente esaltiamolo nei secoli. Amen!

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NOTE

[1] Il lunedì è giorno dedicato alla Santissima Trinità nella tradizione occidentale sin dal formulario di Alcuino di York dell'VIII secolo. Nel Messale Tridentino nei lunedì in cui si celebra l'ufficio feriale, la messa conventuale è votiva della Santissima Trinità.

6 commenti:

  1. Grazie molte per l' articolo molto istruttivo. Mi permetto di fare alcune considerazioni circa l' iconografia della Trinità: non so se si possa definire esattamente "vecchio barbuto" il Dio Padre dipinto da Masaccio, sembra più un Cristo maturo come se il pittore abbia voluto dare figura a quel passo evangelico nel quale il Cristo dice "chi vede me vede il Padre", tra l' altro il Padre di Masaccio porta gli stessi abiti che tradizionalmente porta il Cristo. Mi verrebbe da dire una immagine di una ortodossia impeccabile. D' d'altronde lo stesso Vangelo ci dice che Dio nessuno lo ha mai visto, ma il Figlio che e' nel seno del Padre ce lo ha rivelato. E infatti anche nei mosaici del duomo di Monreale il Creatore nelle scene della Genesi ha sembianze che sono assimilabili al Cristo.

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  2. Circa il Dio Padre come vecchio barbuto: non si puo' negare che l' iconografia occidentale dal rinascimento in poi tenda a rappresentare cosi' la prima persona della Trinità. Iconografia a dire il vero a volte troppo umanizzata (penso al padreterno di cima da conegliano in s.giovanni in bragora). Ma non penso sia da rigettare totalmente l' iconografia di un Dio Padre dai capelli e barba bianchi: in fondo il profeta Daniele ci descrive una visione di un Essere che si presenta in tale sembianza, "antico di giorni" viene definito dal veggente. Probabilmente leggendo questo passo della Scrittura si e' pensato a un Dio "vegliardo". L' iconografia che forse deriva da questo passo della Scrittura (e forse anche dalla prima visione che apre il libro dell' Apocalisse) non e' ignota pure nel mondo orientale e sembra che fosse pure molto diffusa: una icona con Dio Padre "antico di giorni" seduto in trono e vestito di bianco che porta il grembo il Salvatore "emmanuele" (imberbe e vestito d' oro) che a sua volta porta sulle ginocchia una mandorla luminosa che reca la colomba dello Spirito Santo. "Paternita" prende nome questa icona in Russia, che compare in alcuni dipinti coevi al grande Rublev. Certamente tale iconografia dovette destare qualche sospetto se il Concilio dei Cento Capitoli (se non erro) la condannò dichiarando come unica iconografia canonica della Trinità quella che dipinse il santo monaco Rublev per il monastero di San Sergio.
    Tra l' altro Dio Padre vestito di bianco con barba e capelli canuti compare in un' altra iconografia trinitaria (che per la verità sembra abbastanza tardiva) in cui il Padre e il Figlio (in vesti di Pantokrator) siedono su un unico trono e tra di loro in una mandorla poligonale si libra lo Spirito Santo in forma di colomba. In ambito orientale la si chiama "Trinita' del Nuovo Testamento" perche' intende rappresentare tale mistero come si evince dai Vangeli in cui so evince che il Cristo sta alla Destra del Padre. Dunque benche' questa immagine trinitaria non sia esattamente di origine antica, sembra lo stesso essere di fondazione evangelica. In queste immagini Dio Padre sovente porta il nome di"Antico di giorni" come lo defini' il profeta Daniele.
    Mi scuso della lunghezza, ma mi sembrava utile riflettere su alcune varianti dell' iconografia trinitaria, non certo per contraddire ma per eventualmente aggiungere materiale alla riflessione.
    Giordano.

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  3. L'origine della figura del Padre come un vecchio deriva certamente dal Παλαιὸς ἡμερῶν di Daniele 7. Piuttosto che l'icona tarda della Trinità "del Nuovo Testamento", che è tardiva e di influsso occidentale (è infatti detta anche "Trinità cattolica" popolarmente in Grecia), trovo interessante un affresco della chiesa della Panagia Koumpelidiki a Kastoria (Grecia centro-settentrionale) molto simile alla Trinità di Masaccio (o all'icona della "Paternità" condannata in Russia nel 1666), risalente al XIII secolo (vd qui: http://users.sch.gr/aiasgr/Image/Agia_Triada/Agia_Triada_12.jpg). Pare che in un salterio greco di IX secolo conservato a Utrecht vi sia una raffigurazione del Padre come "vecchio di giorni" al salmo 109. Isolati casi dunque paiono esservi anche in antichità nel mondo orientale; in Occidente l'iconografia di questo tipo compare molto presto: si è citato il Duomo di Monreale, ma a Cividale vi sono affreschi coevi col Padre barbuto tra i cherubini.

    Tuttavia, guardando a un'analisi teologica, trovo si debbano meditare alcuni punti, soprattutto perché l'iconografia prevede che ogni cosa che si rappresenta abbia un preciso significato simbolico, cosa che un quadro religioso per esempio non necessariamente ha.

    - E' possibile accostare in forma umana la Persona incarnata e la Persona non incarnata? Non rischia questo d'indurre a pensare (se i simboli hanno eguale valore) che il Padre si sia incarnato?
    - La differenza d'età apparente tra il Padre e il Figlio in questa rappresentazione, secondo alcuni teologi come Romanidis, potrebbe indurre all'arianesimo, cioè a supporre la non coeternità di Padre e Figlio.
    - Sempre Romanidis sostiene essere filioquista rappresentare il Santo Spirito tra il Padre e il Figlio o peggio sotto il Figlio. Su questo punto dissento, poiché si potrebbe parlare della processione economica.
    - Alcuni teologi sostengono pure che il divieto di attribuire una forma al Padre nell'iconografia sia il modo di rispettare la prescrizione dell'Antica Legge di non raffigurare Iddio, non avendo il Padre una forma visibile (pur potendo certamente assumerla in dati momenti, come nella visione di Daniele).

    Infine è molto importante considerare le riserve del VII Concilio Ecumenico circa la raffigurazione del Padre come "vecchio di giorni".

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    1. Si, concordo nella sostanza. Mi limitavo a spezzare una lancia a favore dell' iconografia latina consolidata vedendo nell' immagine antropomorfa del Padre Senza Principio una traduzione per immagini del concetto di un Figlio Incarnato che rivela nella sua impronta visibile la figura del Padre invisibile. Ovviamente nella necessita' di rappresentare la Triade Divina. A mio parere non trovo eterodossa la prassi iconica latina benche' continuino ad avere validità le riserve espresse a suo tempo al Dio Padre vecchio e barbuto. Trovo molto acuta e rispettosa la soluzione adottata da quel sensibilissimo e devotissimo artista che fu Lorenzo Lotto. Nel dipinto da lui eseguito per la chiesa di Sant' Alessandro della Croce a Bergamo si vede una Trinita' che direi unica:il Figlio rappresentato come Redentore, lo spirito come colomba, mentre il Padre sta dietro il figlio in forma di un alone di luce evanescente che assume la vaga forma antropomorfa. Geniale soluzione che fa salva la non rappresentabilita' dell' Eterno. Forse non siamo gia' più nell' ambito dell' arte sacra vera e propria, ma comunque sembra trasparire una qualche scintilla della Dottrina Trinitaria. Ma non mi avventuro nella teologia, disciplina in cui non sono preparato.
      Grazie.

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    2. In età rinascimentale, anche in Occidente, ci sono molte soluzioni interessanti. Siamo sicuramente in una fase in cui l'iconografia vera e propria è tramontata, ma suoi cenni permangono ancora nell'arte sacra. Per restare in tema, ricordo una Trinità (di cui però non saprei citare autore né collocazione) in cui il Padre è ascoso dalla Nube dell'Esodo, che incontra molto il mio gradimento.

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  4. Mi riferisco alla scintilla di dottrina trinitaria circa il Lotto a proposito della distinzione che il signor Unam Sancam faceva tra arte sacra e arte religiosa. Ovviamente il Lotto si esprime nel suo stile artistico che non si puo' certo definire iconico.

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