Il Grande e Santo Giovedì tutta la Chiesa commemora l'Ultima Cena di Nostro Signore Gesù Cristo, durante la quali Egli donò se stesso, per anticipazione (dovendo ancora patire il sacrificio), ai suoi discepoli, il Corpo sotto specie di pane e il Sangue sotto specie di vino, istituendo così per la nostra salute il gran Sacramento dell'Eucaristia.
Volgendo il dramma divino al suo compimento, il Signore, dirigendosi volontariamente verso la Passione per la nostra salvezza, pronto a subire il tradimento di Giuda, l'arresto, l'umiliazione, la condanna e la morte in Croce, in segno d'amore vero e sincero, come servo lava i piedi ai suoi discepoli, dando un esempio mirabile di carità e umiltà alla sua Chiesa. Difatti, Egli, Dio, aveva annientato sé stesso assumendo forma di servo nella sua incarnazione, per restituire all'uomo quella sua partecipazione della divinità perduta in Adamo: e la restituisce mediante la Passione e l'Eucaristia. La celebrazione dunque dei misteri del Giovedì Santo (la lavanda, la Cena, il tradimento) è in fondo il primo ufficio della Passione: la lavanda è una purificazione indispensabile per l'Eucaristia, la nuova Pasqua, e nell'Eucaristia è già sotteso e anticipato il Sacrificio redentore. Così, anche i fedeli che purificati nel cuore ricevono l'Eucaristia, beneficiando dei meriti di quell'incommensurabile sacrificio, partecipando, quali membri del Corpo mistico di Cristo, anche alla comunione del suo Corpo fisico, troveranno il compimento della salute che nella Passione Nostro Signore ci ha procurata.
Tale mistero trova dunque la sua speciale esaltazione liturgica in questo giorno, che apre il Sacro Triduo di Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Poiché, poi, l'Ultima Cena fu un pasto serale, tale liturgia ha sempre avuto un carattere "vespertino". Ma cosa significa questa parola, se consideriamo che la possibilità di celebrare la Messa nel pomeriggio fu concessa solo da Pio XII nel 1953 (peraltro operando una forzatura del significato simbolico della Messa, e alterando pure le norme del digiuno eucaristico), e la prescrizione di celebrare la liturgia del Giovedì Santo in serata compare solo nella Settimana Santa riformata da Bugnini nel 1955, e non nel rito romano tradizionale?
Anzitutto, occorre analizzare storicamente il rito. A Roma, questo veniva celebrato nella Basilica del Laterano, ove i Sommi Pontefici presero residenza a partire dal V secolo. E' provato che nell'VIII secolo, in questo giorno, si celebrassero tre liturgie: due al mattino, una celebrata dal Pontefice per la benedizione degli olii santi (che nel Medioevo divenne una semplice benedizione priva di Eucaristia) e una per la riconciliazione dei pubblici penitenti (presto sparita, insieme alla pubblica penitenza); alla sera, infine, si celebrava l'Eucaristia per commemorare la Cena di Nostro Signore. E per accorciare i riti di una giornata liturgicamente molto intensa, e per avvicinare il più possibile la celebrazione al suo modello (l'Ultima Cena), i succitati sacramentari dell'VIII secolo ci attestano che quest'ultima Messa iniziava direttamente dalla Prefazio, omessi tutti i riti introduttivi e la parte dei catecumeni. Terminata questa liturgia, veniva riposto il Santissimo Sacramento per la liturgia dei Presantificati del giorno successivo. Indi, il Papa si recava in processione alla Basilica di S. Lorenzo, ove, facendo memoria del comandamento dell'amore, lavava i piedi a dodici suddiaconi, mentre i cardinali cantavano il Vespero.
Nel Medioevo, con la scomparsa delle due liturgie mattutine, l'anomalia di un'Eucaristia serale venne presto sanata, spostando la commemorazione della Cena del Signore al mattino, e dotandola di una struttura completa. L'introito fu tolto dal martedì precedente, così come il Vangelo, quello della Lavanda (nel tardo medioevo, poi, al martedì passò la lettura della Passione di S. Marco); la colletta è la stessa del Venerdì Santo; la lettura dell'Apostolo è un pezzo della lunga pericope della lettera ai Corinti già letta durante l'ufficio vigiliare delle Tenebre. La liturgia è celebrata in paramenti bianchi, in onore di festa, ma non mancano gli accenni penitenziali (come già detto, Eucaristia e Passione sono inscindibili), per esempio l'omissione del salmo Introibo come in tutte le messe del tempo di Passione.
Dopo questa parte collazionata, segue il Canone, oggi con alcune particolari e speciali memorie della Mistica Cena, che già i papi Vigilio e Innocenzo I attestano in uso a Roma, in alcune lettere. Infine, si distribuisce l'Eucaristia, che un tempo era obbligatoria in questo giorno (così aveva prescritto Papa Sotero, decimo pontefice romano, ma la prescrizione cadde dopo non molto; cionondimeno, i messali del Concilio di Trento solo in questo giorno contenevano le istruzioni per la comunione al popolo, normalmente non considerata parte del rito della Messa); non tutta l'Eucaristia viene però consumata, ma una minima parte viene custodita per i riti dei Presantificati del giorno successivo. Essa verrà custodita in un sacello denominato "Sepolcro", cui è portata in solenne processione, continuamente incensata e onorata con l'inno Pange lingua. A questo punto, subito in coro si cantano i Vespri, che fanno parte della medesima liturgia (nulla di strano che si cantino al mattino, poiché per questioni relative al digiuno in tutti i monasteri, conventi e capitoli, da diversi secoli, i Vespri si cantano prima del mezzogiorno durante la Quaresima), al termine dei quali il Sacerdote e gli accoliti provvedono alla spoliazione degli altari, mentre si canta il salmo XXI, contenente il noto e appropriato versetto Diviserunt sibi vestimenta mea, et super vestem meam miserunt sortem.
Il carattere "vespertino" di questa liturgia è dunque non tanto reale, ma simbolico, poiché viene celebrata insieme ai Vespri. Durante tutto il Triduo, l'Ufficio Divino (ad eccezione dell'ufficio vigiliare "delle Tenebre", ossia il Mattutino e le Lodi) è officiato sine cantu, la qual cosa non significa che non venga cantato, ma che non si usano le melodie dell'ochtoechos per i salmi, ma tutto è intonato recto tono.
Nel tardo pomeriggio di questo Santo Giovedì, poi, si sarebbe tenuto il rito del Mandatum, ovverosia la lavanda dei piedi. Scesa la notte, sarebbero iniziati i riti del Venerdì Santo con l'ufficio vigiliare "delle Tenebre".
Una cosa molto simile avviene nel rito greco: il Sacerdote, al mattino del Giovedì Santo, rivestito dei paramenti viola, inizia il Vespero con le preghiere serali, le letture quaresimali, l'Apostolo e il Vangelo (come nelle grandi feste). Terminato il Vangelo (che in realtà è una collazione di tutti e quattro i Vangeli canonici, e quanto a contenuto è paragonabile al Passio che si legge la domenica delle Palme nel rito romano), il Sacerdote prosegue celebrando la Divina Liturgia con l'anafora di San Basilio, iniziando dal grande introito (durante il quale, però, non si canta come al solito l'inno cherubico, ma eccezionalmente il tropario Τοῦ Δείπνου σου τοῦ μυστικοῦ). Anche nel rito bizantino viene consacrata e custodita dell'Eucaristia in avanzo rispetto a quella distribuita durante la Comunione, non tanto per i Presantificati (che non sono previsti dal rito greco al Venerdì Santo), ma per le necessità di tutto l'anno (Comunione agl'infermi, ad esempio). Anche qui, secondo un uso assai consolidato nella pratica greca, i Vespri e la Liturgia si celebrano insieme al mattino, mentre in serata (il typikòn costantinopolitano dice "all'ora prima della notte", cioè circa le 19) viene cantato il Mattutino delle Sante Sofferenze del Signore, conosciuto anche come "Ufficio dei 12 Vangeli", il primo rito del Santo Venerdì.
Una cosa pressoché identica al rito greco avviene in quello ambrosiano, dove si celebrano i Vespri al mattino, iniziando con il lucernarium come sempre, e poi, dopo le letture vigiliari, si prosegue con la celebrazione della Messa iniziando dal Vangelo, in cui si legge la Passione secondo S. Matteo e, al termine, la reposizione del Sacramento in un sacello. Dal rito romano è mutuato il rito della lavanda dei piedi (che nell'uso bizantino, invece, è una consuetudine episcopale, non celebrata pubblicamente), che viene effettuato nel pomeriggio, in paramenti viola (mentre sono rossi alla Messa).
Duole constatare che in una prospettiva difficilmente definibile e logicamente ingiustificabile, coloro che hanno tentato di scardinare il rito romano nel 1955 hanno preteso di ripristinare la "veritas horarum" delle liturgie della Settimana Santa, con gravissime conseguenze sulla pietà popolare (per esempio, sul tempo di adorazione del Sacramento riposto nel sacello) e sull'ordine dei riti, gravemente turbato. Spostando alla sera la liturgia della Cena del Signore, per esempio, è venuto meno il tempo per il rito del Mandatum, e dunque questo è stato inserito alla bell'e meglio in mezzo alla Messa, creando uno scompenso liturgico inaudito e antitradizionale. Dipoi - cosa più assurda - si è tanto insistito per avere una liturgia pienamente vespertina, sovvertendo qualsiasi ordine simbolico (Cristo è il sole di giustizia che sorge: che senso ha celebrare l'Eucaristia mentre il sole tramonta?), e poi si è abolito (sia dai riti della liturgia della Cena del Signore, che in toto dall'ufficio del Giovedì Santo) il canto del Vespero, ossia l'elemento che precipuamente conferiva carattere serotino alla celebrazione, facendola calzare sia simbolicamente che storicamente coll'evento commemorato. Incoerenze purtroppo non isolate nel pessimo tentativo di riforma (o meglio, perfettamente riuscito tentativo di distruzione) dei riti centrali della vita di un cristiano, dei riti del cuore di tutto l'anno liturgico, dei riti dell'istituzione della nostra salvezza...
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