Si entra ora nella parte centrale di tutta la Divina Liturgia Eucaristica, ch'è l'Immolatio Victimae, accompagnata dalla recita del Canone Romano, un insieme di preghiere fissato attorno al IV secolo e rimasto pressoché immutato da allora, entro il quale non v'è "nulla che non elevi a Dio l'animo di coloro che celebrano il Santo Sacrificio". Nella Chiesa si fa silenzio, i sensi non contano più, dinnanzi al grande mistero della Transustanziazione che sta per compiersi sul Sacro Altare, onde il pane e il vino che si erano oblati non più permangono nella loro vile sostanza, ma mutano in Corpo e Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.
XXIX. Il Prefazio
Il sacerdote termina l'orazione segreta ad alta voce, con le parole per omnia saecula saeculorum, cui i ministri rispondono Amen, dando così il proprio assenso all'offerta del Sacrificio. A questo punto, il sacerdote saluta il popolo, però senza voltarsi, perché - come abbiamo detto - anticamente egli era nascosto a questo punto dalla vista dei fedeli. Il dialogo del celebrante con i fedeli prosegue brevemente con l'invito ad elevare il cuore, e dunque l'anima e la mente a Iddio, "deponendo ogni sollecitudine della vita" (anche le mani del celebrante poggiate sull'ara aiutano a rendere l'idea), in modo da concentrarsi unicamente sui divini misteri, per entrare come insieme agli Angeli in cielo nella nube dei pensieri celesti, perché sta giungendo sull'altare il Re dei Re "scortato dalle schiere degli angeli". Poi, invita a rendere grazie al Signore Iddio per i suoi molteplici benefici e per il dono stesso dell'Eucaristia, al quale invito il popolo risponde che è cosa degna e giusta. Allora, il sacerdote, riprendendo queste ultime parole, inizia il canto del Prefazio.
Il Prefazio è una preghiera di natura introduttiva, che accompagna tutti i maggiori uffici della Chiesa (vi sono Prefazi per il conferimento degli Ordini Sacri, per la benedizione dei Santi Olii, per la benedizione delle Palme, per quella dell'acqua battesimale...); non poteva che accompagnare anche il cuore dell'intera vita cristiana, che è l'Eucaristia. Il Clichtov infatti afferma che esso "è quasi un certo prologo ed introduzione al seguente Canone, che cerca di catturare in noi la benevolenza di Dio stesso". Per la Santa Messa vi sono circa una quindicina di prefazi, più alcuni utilizzabili solo con l'indulto in alcuni luoghi, alcuni dei quali molto antichi e altri più recenti, a seconda della festa che ci si trova a celebrare (oltre al Prefazio comune e al Prefazio della SS. Trinità che si recitano la maggior parte dei giorni dell'anno, vi sono il Prefazio Quaresimale, quello Natalizio, quello Pasquale, quello dell'Ascensione, della Pentecoste, dell'Epifania, degli Apostoli, della Beata Vergine, di San Giuseppe, della Santa Croce, del Sacro Cuore, di Cristo Re etc.). Gli antichi sacramentari hanno una varietà assai maggiore di prefazi, la maggior parte dei quali sono però caduti in disuso; è da notarsi che la molteplicità dei prefazi è caratteristica dei riti latini, perché le anafore orientali presentano dei prefazi fissi.
L'inizio del Prefazio di Natale |
- Nella prima sezione vi è l'invito al rendimento di grazie; essa, riprendendo la monizione precedente, inizia generalmente con le parole vere dignum et justum est, aéquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere, anche se due dei prefazi più antichi (Pasquale e degli Apostoli) presentano leggere varianti.
- Nella seconda sezione è esplicitato il mistero celebrato nella festa odierna; alcuni Prefazi, come quello del Sacro Cuore o della Santa Croce, sono dei veri e propri capolavori di poetica in questa parte, perché in poche parole riescono a esprimere con meravigliose figure l'opera di Nostro Signore.
- Il Prefazio si conclude con l'invito a unire la propria lode di uomini mortali al coro delle schiere celesti, degli Angeli e degli Arcangeli, dei Troni, dei Cherubini e dei Serafini, delle Potestà e delle Dominazioni, nel cantare la gloria della maestà di Dio Onnipotente.
Il Prefazio è cantato su un solenne e antico tono greco, che si trova anche nel Preconio Pasquale. Nei giorni feriali è invece sillabato su un tono più morigerato.
L'ultima pericope del prefazio introduce direttamente il canto di uno dei più antichi inni della Messa, il Sanctus, altresì detto Tersanctus, Inno Serafico, Trisagio Angelico (per distinguerlo dal vero e proprio Trisagio, che nei riti orientali sta all'inizio della Divina Liturgia, mentre nel rito romano è riservato alle preci feriali dell'Ora Prima e ai Presantificati del Venerdì Santo), o, come lo definiscono i greci, Epinicio, ossia "carme della vittoria". Esso, di origine antichissima perché biblica, riprende le parole dei due Serafini inneggianti che son descritti in Isaia VI, nonché le scene di Apocalisse IV; la seconda parte dell'inno, di introduzione più tardiva, è l'osanna a Cristo Re che rivolgevano le folle coi rami di palme all'ingresso in Gerusalemme del Salvatore (cfr. Matteo XXI). Secondo la tradizione, la sua introduzione stando al Liber Pontificalis risale a Papa Sisto I (120 circa), onde lo Schuster e il Cagin lo reputano la più antica interpolazione nel Canone; è scettico il Saulnier, che non la ritiene introdotta in Occidente sino al IV secolo, mentre è sicuramente attestato nella più antica liturgia gerosolimitana di S. Giacomo, e dunque era già in uso in Oriente.
Anticamente quest'inno veniva cantato dal sacerdote sul medesimo tono del Prefazio (come ancora avviene in alcuni riti orientali); poi, quando iniziarono a comporsi melodie più ornate su quasi tutti i toni e i modi, si preferì affidare alla Schola e ai fedeli questo canto di lode, mentre il sacerdote iniziava segretamente il Canone. Vi sono alcune versioni talmente fiorite che si prolungherebbero sino alla Consacrazione, e come tali vengono sospese all'Hanc igitur, e riprese da Benedictus dopo di essa. Secondo taluni, l'uso di segnarsi al Benedictus deriverebbe proprio dal concetto di "riprendere" l'azione canora; essendo tuttavia abbastanza tardo l'uso di spezzare il Sanctus, è più ragionevole propendere che esso sia stato introdotto per rispetto pel nome del Signore e analogia con la formula Adjutorium nostrum.
Quest'inno è al contempo lode alla maestà celeste di Dio, del Santo e Potente signore delle Schiere, intendendosi quelle angeliche (notare che se la Vetus Itala, in uso nella Messa, riporta la parola ebraica Sabaoth, la Vulgata lo traduce in exercituum, perdendo però la sfumatura celeste del concetto di milizia), nonché osanna al Signore che viene sul Santo Altare con la sua reale presenza nelle Sacre Specie.
Sanctus, Sanctus,
Sanctus
Dóminus Deus
Sábaoth.
Pleni sunt coéli et terra glória tua.
Hosánna in excélsis.
Benedíctus qui venit in nómine Dómini.
Hosánna in excélsis.
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Santo, Santo, Santo
è il Signore Dio degli eserciti.
I cieli e la terra son pieni della vostra gloria.
Osanna negli eccelsi.
Benedetto colui che viene nel nome del Signore.
Osanna negli eccelsi.
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XXXI. L'inizio del Canone
Il Cuore di tutta la Messa è il Canone, abbiam detto, l'anafora consacratoria. Essa è recitata sottovoce dal sacerdote, nel silenzio che avvolge tutta la Chiesa perché le sacre parole non siano svilite. Il popolo tace (Che ogni creatura ammutolisca al cospetto del Signore, dice il Profeta) e contempla in ginocchio il mistero. Gli accoliti hanno acceso dei lumi, che accoglieranno Nostro Signore che viene.
Dice il Concilio Tridentino: Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del Canone e le parole della Consacrazione si proferiscono a bassa voce, è da condannarsi, sia anatema. Nel secolo XVII gli eretici giansenisti vollero introdurre la pratica di recitar il Canone della Messa a voce alta. Ingannato da essi, un successore di Bossuet, il cardinal de Bissy, aveva lasciato mettere la R. impressa in carattere rosso nel Messale che aveva fatto comporre per la sua Chiesa, secondo un diritto che i vescovi di Francia s'immaginavano allora d'avere. Questa R, in rosso significava naturalmente che il popolo doveva risponder ad alta voce con la parola Amen alle orazioni, e siccome non si può risponder a ciò che non si ode, bisognava di conseguenza che il sacerdote dicesse a voce alta tutto il Canone, che era precisamente ciò che desideravano i giansenisti. Questa pericolosa innovazione suscitò vive ed energiche proteste, ed il cardinal de Bissy stesso corresse questo suo errore. (cfr. Gueranger)
Le diverse orazioni che compongono il Canone furono composte verso il II secolo o nei primi anni del III, finché il Canone fu completo nella sua forma attuale attorno al IV secolo (non trattandosi però della più antica anafora latina, esistendo quella di S. Ippolito del II secolo, ma sicuramente della più completa e della più vicina all'uso del resto della Chiesa). Tutte le Chiese hanno il loro Canone, il quale, se differisce un poco nella forma, è in sostanza sempre il medesimo, e la dottrina espressa nei diversi riti s'accorda spesso con quella che noi esprimiamo nel rito latino. Prova ammirabile dell'unità della fede, qualunque sia il rito. A livello puramente stilistico, si può notare che se le anafore orientali sono testi generalmente unitari, quella romana si configura più come un insieme di diverse preghiere autonome (ed è per questo detto Canone, parola con cui i greci identificano le collezioni di più preci abbastanza indipendenti tra loro che trattano di un solo tema).
La prima lettera della prima orazione del Canone è una T, che equivale al Tau degli Ebrei e che, per la sua forma, rappresenta la croce. Nessun altro segno poteva meglio porsi all'inizio di questa grande preghiera, nella quale si rinnova il Sacrificio del Calvario. Pertanto, quando si cominciarono a scrivere quei magnifici Sacramentari, arricchiti di disegni e d'illustrazioni d'ogni specie, si volle adornar il Tau e s'ebbe l'idea di mettere sulla croce che forma questa lettera l'immagine di Cristo. A poco a poco il disegno s'ingrandì e si finì per rappresentare tutta la scena della crocifissione; e, per quanto grande fosse questo disegno, serviva sempre da prima lettera all'orazione Te igitur. Alla fine si decise che, per l'importanza del soggetto, poteva farsi di essa una stampa a parte. E infatti così si fece, tanto che oggi non v'è un solo Messale completo che non abbia, nel foglio antecedente a quello in cui comincia il Canone, l'immagine di Cristo crocifìsso. E ciò deriva, dunque, semplicemente dalla prima illustrazione degli antichi Sacramentari. Quanto all'importanza del Tau o T vediamo che se ne parlava già nell'Antico Testamento. Ezechiele dice, a proposito degli eletti, che tutti coloro che Dio vorrà riserbare per sé dovranno essere segnati in fronte col segno del Tau, fatto col sangue della vittima, e tutti costoro saranno risparmiati (IX,4-6). La ragione di ciò si fonda nell'essere tutti salvati dalla croce di Gesù Cristo, la quale aveva la forma del segno Tau. Anche nella Cresima, il vescovo fa il segno del Tau con l'olio santo sulla fronte dei cresimati. La croce di Nostro Signore aveva la forma di Tau, cioè della T. In cima, per sostenere l'iscrizione, si aggiunse un altro pezzo di legno (che completa la forma della croce come la vediamo oggi) poiché san Giovanni ci dice che la causa della morte di Nostro Signore fu posta per iscritto sulla croce: Scripsit autem et titulum Pilatus, et posuit super crucem (XIX,19). Tale è l'importanza di questa lettera con cui comincia la grande preghiera del Canone. (cfr. Gueranger).
Il Sacerdote dunque allarga, eleva un po’ e congiunge le mani, alza gli occhi al cielo, li riabbassa subito, e profondamente inchinato, con le mani sopra l’Altare, inizia con divozione la recita dell'anafora.
Per prima cosa dunque il Sacerdote prega che Dio accetti e benedica questi doni a frutto e utilità di tutta la Chiesa; affinché così si ottenga il doppio fine del sacrificio, la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Egli non può fare a meno di accettare quest'immacolata oblazione, perché è offerta per mezzo di suo figlio Gesù, in nome del quale Egli ogni cosa concede. Poi, segue la preghiera per la Chiesa Militante. Così Cristo Sommo Sacerdote, nell’istituzione del Sacrificio Eucaristico, quando stava per offrire il Sacrificio della Croce, pregò con questa grande orazione per i discepoli e tutta la Chiesa Militante, perché il Padre conservasse tutti nell’unità, verità e grazia, perché pervenissero alla gloria celeste nella Chiesa Trionfante.
Nella Preghiera per la Chiesa Militante, dopo la richiesta di assistere sempre la Chiesa nella sua peregrinazione terrena, è compreso l'una cum il nome del Sommo Pontefice, che sancisce la nostra adesione al Soglio di Pietro, e al vescovo locale. Se questi ultimi fossero i celebranti, sostituirebbero la propria menzione con la formula me indigno servo tuo; al nome del Papa Regnante si fa sempre inchino, a quello del Vescovo solo se presente. Ma il sacerdote dice di celebrare anche in comunione con tutti gli ortodossi, ossia quelli che custodiscono la fede cattolica trasmessa dagli Apostoli, e per i "fidei cultoribus", quei che secondo il Rosmée "a parola o per scritto difendono la Chiesa, e ad essa tentano di condurre gli infedeli e gli eretici". Da notare che man mano che ci si avvicina al cuore della liturgia, solo i veri cattolici possono beneficiare delle preghiere della Chiesa: dai "tutti" per cui si pregava all'inizio, a "tutti i cristiani" beneficiati nell'offertorio, qui non si prega più per gli eretici e gli scismatici, perché solo gli ortodossi meritano di partecipare del Santo Sacrificio.
Anticamente, veniva menzionato anche il sovrano locale, uso che fu abbandonato sotto Pio V (per il rischio, dopo la Riforma, che il sovrano fosse un protestante); alcuni sovrani, come Filippo II di Spagna o Napoleone III di Francia, però, chiesero e ottennero dalla Santa Sede di essere menzionati.
Te ígitur,
clementíssime Pater,
per Iesum Christum Filium tuum
Dóminum nostrum,
súpplices rogámus, ac pétimus
uti accépta hábeas, et benedícas
hæc + dona, hæc + múnera, hæc + sancta
sacrifícia illibáta.
In primis, quæ tibi offérimus pro Ecclésia tua sancta cathólica: quam
pacificáre, custodíre, adunáre et régere dignéris toto orbe terrárum: una cum
fámulo tuo Papa nostro N. et Antístite nostro N. et ómnibus orthodóxis, atque cathólicæ, et
apostólicæ fidei cultóribus.
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Voi dunque,
o Padre ricco di clemenza,
per Gesù Cristo Figliolo vostro
e Signore nostro,
noi preghiamo supplici, e chiediamo
che accettiate e benediciate
questi doni, queste offerte, questo santo e immacolato sacrificio.
Anzitutto, noi ve l’offriamo per la vostra Santa Chiesa Cattolica,
perché vi degniate di darle pace, di custodirla, di radunarla e di guidarla
su tutta la terra, in unione col nostro Papa N.,
il nostro Vescovo N. e tutti gli ortodossi,
quei che custodiscono la fede cattolica e apostolica.
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XXXII. Memento dei vivi
Quasi per tutto il Canone il Sacerdote prosegue la preghiera con le braccia estese, imitando Cristo che si sacrifica in Croce. Molto spesso forma dei segni di Croce. All’inizio del Canone i tre segni di Croce sono vere benedizioni, con le quali s’invoca l’onnipotenza di Dio, perché trasformi le oblate nel Corpo e Sangue di Cristo. Il numero ternario dei segni di Croce poi indica che questo mistero è compiuto dalla S. Trinità. Immediatamente prima della Consacrazione sono nuovamente formati sulle oblate tre segni di Croce, ai quali si aggiungono le singole Croci sull’ostia e sul calice, così è completato il numero quinquenario in memoria delle cinque Piaghe. (cfr. Caval.)
La seconda preghiera del canone è l'intercessione per i vivi per i quali si offre (e, per mediazione e compartecipazione, loro stessi indirettamente offrono) il Santo Sacrificio, Sacrificio di lode, "incruento e spirituale", come lo definì S. Giovanni Crisostomo. Quest'orazione era detta super dypticha, perché anticamente esistevano delle tabelle bipartite (dette "dittici"), in una delle quali sezioni si ponevano i nomi dei vivi e nell'altra quelli dei defunti da commemorare durante la Messa, le quali sono ancor oggi usate in alcune tradizioni orientali. Secondo alcuni autori, vi erano dei nomi fissi da commemorare sempre, come i Patriarchi della Pentarchia nei tempi più antichi. Anticamente, essi erano letti anche durante le ektenie pubbliche (fu Papa Innocenzo I attorno al 410 a prescriverne la lettura solo durante il Canone), e tale compito spettava al diacono (nel cerimoniale della Messa Solenne, effettivamente, a questo punto il diacono si scosta un po' dal celebrante e si inchina profondamente a mani giunte, dovendo pregare Iddio per le anime da commemorare). Anche il sacerdote, però, s'inchina e prega a mani giunte: in tal caso, egli ha diritto a interpolare nella preghiera pubblica un'intercessione privata per le anime ch'egli desidera, comprese quelle degli scomunicati vitandi. Infatti, pubblicamente egli non può pregare durante la Liturgia per gli infedeli, né per i Giudei e neppure per gli eretici, unicamente perché, a motivo della loro eresia, sono scomunicati e, di conseguenza, fuori della Chiesa Cattolica. Non prega neppure per coloro che, senz'esser eretici, sono tuttavia scomunicati. Sarebbe una profanazione il nominarli nel corso del santo Sacrificio. Sono esclusi dal Sacrificio, poiché sono fuori della Chiesa; di conseguenza è impossibile menzionarli nel corso di essa. (cfr. Gueranger). Può però, insegna la Tradizione, nominarli nella preghiera privata.
Prega poi anche per tutti i presenti (i quali, ricordiamo, godono di un grande beneficio dall'ascoltare la Santa Messa), specie per quelli che, con fede e devozione, traggono frutto dalla Liturgia.
L'orazione inizia con la parola "Memento", che Dionigi Cartusiano così spiega: Dio faccia come se ricordasse, rammentandosi della sua misericordia e sovvenendo in ogni tribolazione e necessità e distribuendo i doni delle grazie, come dice il Salmista: “Ricordati di noi, o Signore, conforme alla benevolenza per il tuo popolo, visitaci con la tua salvezza!".
Meménto, Dómine, famulórum, famularúmque tuárum N. et N. et ómnium
circumstántium, quorum tibi fides cógnita est, et nota devótio, pro quibus
tibi offérimus: vel qui tibi offerunt hoc sacrifícium láudis, pro se, suísque
ómnibus: pro redemptióne animárum suárum, pro spe salútis, et incolumitátis
suæ: tibíque reddunt vota sua ætérno Deo, vivo et vero.
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Ricordatevi, o Signore, dei servi e delle serve vostre N. e N., e di tutti i
presenti, dei quali vi è conosciuta la fede e nota la devozione, pei quali
noi vi offriamo, nonché loro vi offrono, questo sacrificio di lode, per loro,
e per tutti i loro cari: per la redenzione delle loro anime, per la speme
della salute e la loro incolumità: e a voi essi sciolgono i loro voti, al Dio
eterno, vivo e vero.
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XXXIII. Communicantes
E' doveroso infine il ricordo della Chiesa Trionfante, dei Santi e dei Padri della Fede, in comunione coi quali si celebra il Sacrificio, l'unico sacrificio che anche da loro fu offerto e che noi oggi offriamo, chiedendo al contempo anche la loro intercessione. Anzitutto, si prega la Beata Vergine Maria, in qualità di Deipara sempre benedetta. Fino al 1962 non si nominava San Giuseppe, trattandosi di un Santo la cui devozione è tardiva (il culto della Natività nel modo in cui lo conosciamo deriva dal pietismo controriformistico); a introdurlo fu Giovanni XXIII, permettendosi però di toccare il Canone per la prima volta nella storia, e aprendo la strada a numerose vere e proprie violazioni che interverranno in futuro.Vengono nominati poi i SS. Dodici Apostoli (con l'ovvia omissione di Giuda Iscariota, al quale si sostituisce S. Paolo, nominato insieme a S. Pietro, secondo la suggestiva consuetudine ben espressa dal suffragio tridentino "Come si amarono nella loro vita, così anche nella morte non sono separati"), indi dodici martiri antichi dei primi secoli, di cui cinque Papi (Lino, Cleto, Clemente, Sisto e Cornelio; gli altri martiri sono Cipriano, Lorenzo, Crisogono, Giovanni e Paolo Cosma e Damiano). Non si commemorano i confessori (venerati solo dal V-VI secolo), e si ricordano pochi martiri extraurbani (Cipriano di Cartagine, Crisogono di Aquileia, Cosma e Damiano di Siria), tutti elementi che tradiscono l'origine antica e la romanità spiccata del Canone. La memoria dei Martiri, inoltre, ha diretta connessione con la Passione di Cristo, alla quale si sono conformati versando il proprio sangue, che è costantemente richiamata durante il Canone, anche dalle frequenti immagini della Crocifissione che adornano le anafore dei Messali d'altare.
Le feste maggiori hanno dei Communicantes proprii, in cui muta leggermente l'inizio di questa preghiera, per poter commemorare degnamente anche il mistero celebrato (v'è quello della Natività, dell'Epifania, della Pasqua, dell'Ascensione e della Pentecoste).
Così si conclude questa terza orazione che è, come le prime due, una preghiera di raccomandazione. All'inizio il sacerdote ha pregato per la santa Chiesa, per il Papa, per il vescovo, per i cattolici, e poi per coloro secondo le cui intenzioni si offre il santo Sacrificio. Ha quindi aggiunto le persone che l'interessano in modo speciale e per ultimo ricorda a Dio l'unione della Chiesa militante e della Chiesa trionfante, facendo udire sull'altare i nomi dei Santi. Queste tre orazioni, cioè il Te igitur, il Memento dei vivi e il Communicantes, formano un tutt'uno; perciò, alla fine di questa terza preghiera, il sacerdote, congiungendo le mani, aggiunge: Per eundem Christum Dominum nostrum. Amen. Egli medesimo risponde Amen a voce bassa. (cfr. Gueranger)
Communicántes, et memóriam venerántes, in prímis gloriósæ semper
Vírginis Mariæ, Genetrícis Dei et Dómini nostri Jesu Christi: * Sed et beáti
Jóseph, eiúsdem Vírginis Sponsi, et beatórum Apostolórum ac Mártyrum tuórum:
Petri et Pauli, Andréæ, Jacóbi, Joánnis, Thomæ, Jacóbi, Philíppi,
Bartholomǽi, Matthǽi, Simónis et Thaddǽi: Lini, Cleti, Cleméntis, Xysti,
Cornélii, Cypriáni, Lauréntii, Chrysógoni, Ioánnis et Pauli, Cosmæ et
Damiáni: et ómnium Sanctórum tuórum; quorum méritis, precibúsque concédas, ut
in ómnibus protectiónis tuæ muniámur auxílio.
Per eúmdem Christum
Dóminum nostrum. Amen.
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Restando in comunione e facendo memoria anzitutto della beata sempre
Vergine Maria, Madre del Dio e Signore nostro Gesù Cristo: * ma anche del
beato Giuseppe, della medesima Vergine sposo, e dei beati Apostoli e Martiri
vostri: Pietro e Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Tommaso, Giacomo, Filippo,
Bartolomeo, Matteo, Simone e Taddeo; Lino, Cleto, Clemente, Sisto, Cornelio,
Cipriano, Lorenzo, Crisogono, Giovanni e Paolo, Cosma e Damiano; e di tutti i
vostri Santi, per i cui meriti e le cui preghiere concedete che noi siam
difesi in tutte le vostre protezioni.
Per lo stesso Cristo Signore nostro. Amen. |
Fonti: sono indicati volta per volta gli autori da cui sono state prese delle parti
Prossima pubblicazione (fine agosto): La Santa Messa X - Dall'Hanc igitur alla fine del Canone
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