giovedì 24 settembre 2020

Riforma della liturgia e μετάνοια liturgica

 Quando si parla di storia della riforma liturgica degli anni '60-'70, si possono sempre rilevare posizioni molto diverse. Ci sono gli intransigenti che reputano che quella riforma fosse totalmente inutile, e che spesso pensano antistoricamente che fino al giorno prima del Concilio tutto andasse liturgicamente bene in ogni chiesa cattolica del mondo, quelli che riconoscono un certo grado di bontà in alcune istanze della riforma, e i conservatori che sostengono che le indicazioni di Sacrosanctum Concilium fossero in massima parte corrette e al più il messale di Paolo VI e la prassi liturgica attuale ne sarebbero esiti imperfetti, e che non di rado professano la loro ammirazione per il messale del '65.

All'occhio dello storico, tutte queste posizioni appaiono inadatte a dare un resoconto preciso delle vicende dell'ultima fase di un lungo processo di riforma iniziato negli anni Quaranta del secolo e sulla scorta di un movimentismo liturgico attivo già da diversi decenni, le cui istanze peggiori non erano diverse da quelle che poi si applicheranno negli anni '60. I conservatori non di rado affermano che la prassi, del tutto antistorica e archeologicamente infondata, di celebrare la liturgia versus populum sia una corruzione della prassi che non ha rispondenza nei documenti conciliari (e non di rado ciò si traduce in un apprezzamento della messa nuova celebrata ad Deum); gli intransigenti viceversa accuseranno di questo ribaltamento inaudito il Concilio. Ma cosa risponderanno al vedere questa foto, tratta dal volume di Gerard Eller Men at Work at Worship pubblicato nel 1940, e dunque relativa agli ultimi anni '30?

E, come si potrà vedere all'articolo della St. Lawrence Press qui citato come fonte dell'immagine, non si tratta certo di un caso isolato. Ma, insisteranno a questo punto gli intransigenti, si trattava di deviazioni contenute, non certo la comune pratica delle parrocchie in quegli anni. E infatti qual era la comune pratica delle parrocchie in quegli anni? Penso purtroppo che ben pochi in quegli anni abbiano fatto l'esperienza di mia nonna, che ebbe per circa vent'anni la grazia di assistere a una messa conventuale domenicale cantata come comanda Iddio nella Basilica dei Frari. I più faranno un racconto simile a quello che compare nelle prime pagine di questo scritto di Enzo Bianchi che, al netto di una certa ideologia con cui si disprezza preventivamente il rito "tridentino" in quanto tale, fornisce un quadro non irrealistico della desolante situazione liturgica di quegli anni. E, non c'è che dire, i progressisti han vita facile a dipingere a tinte fosche la messa tridentina, se effettivamente quel desolante quadretto è quanto i "tradizionalisti" nostrani ritengono confacente a tradizione. Le vecchiette che sgranano il rosario mentre il prete bisbiglia una messa da morto (quasi certamente in un giorno in cui la messa da morto quotidiana era proibita, ma purtroppo il vizio è ancor ben vivo nel clero "tradizionalista" odierno, e - a quanto pare - nemmeno la tendenza ottocentesca a intersecare liturgia e morale minacciando di peccato mortale i preti che infrangessero le rubriche servì a evitare che questi le disattendessero [1]), gli uomini che escono alla predica e rientrano all'offertorio per "prendere messa" validamente... è questo ciò che piace ai "tradizionalisti"? Probabilmente sì: e probabilmente essi si compiacciono nel vedere le signore con gonne e veli perché ricorda loro nostalgicamente gli anni '50 (o qualche decennio prima), da costoro mitizzati fino a esclamare con le parole del coro dell'Aminta: "Oh bella età dell'oro!". Non si capisce bene cosa li attiri particolarmente di quegli anni: la lotta tra comunisti e democristiani dei libri di Guareschi (autore invero interessante dal punto di vista letterario, ma non penso che i "tradizionalisti" solitamente lo esaltino per questo motivo)? La parvenza di "società cattolica" dove trionfava la "dottrina sociale" e vagavano nell'etere i radiomessaggi di Papa Pacelli? Questo  grave abuso della celebrazione sincronizzata di ventuno messe, tuttavia lodato dai commentatori tradizionalisti come perché è bene avere tanti preti e tante messe (clericalismo e interpretazione della messa come produttore automatico di grazie si sprecano)? Io personalmente preferirei di gran lunga vivere nel Seicento, almeno c'era la Repubblica, un centinaio di messe conventuali più o meno ben fatte, il rito proprio in Basilica, e avrei persino potuto ascoltare Monteverdi dirigere la cappella marciana. Ma in ogni caso sarebbe una follia nostalgica pretendere di ricostruire un pezzo di Seicento (come un pezzo di anni '50) oggi, ancor più se fintamente e nel limitato contesto di una messa. Eh già, perché cosa c'è di più "tradizionale" di una bella messa bassa vespertina dialogata in latino? Se qualcuno andasse lì a celebrargli la messa nuova in latino e ad Deum probabilmente se ne accorgerebbero solo perché mancano le preghiere ai piedi dell'altare, che "fanno molto da film" ma che è del tutto insensato che il popolo senta e ancor più risponda essendo preparazione personale del celebrante e i ministri [2].

Chi ama la tradizione, il vero tradizionalista senza virgolette, dovrebbe avere un solo scopo: quello di ricercare l'illuminazione della grazia divina increata mediante il culto liturgico a Dio reso nel modo in cui i Padri lo hanno reso per secoli. Nel XX secolo (e qui si torna al discorso d'inizio, mi si perdoni la lunga divagazione) ciò era tutt'altro che chiaro. Le riforme del Breviario volte ad alleggerire l'onus della preghiera quando Nostro Signore ci comanda di pregare incessantemente, e in generale tutte le riforme a tavolino o d'imperio della liturgia sono il segno di una comprensione del tutto umana di ciò che è invece un tesoro divino e apostolico.

E qui torniamo alla nostra fatidica e innominabile riforma liturgica di Paolo VI. Dove, effettivamente, qualcuno si rende conto che qualcosa non quadra nel modo in cui si sta praticando la liturgia negli ultimi decenni. E che occorre una riforma. Alcuni principi, alcune analisi che si leggono nei documenti preparatori e nella Sacrosanctum Concilium possono essere anche punti interessanti di riflessione sullo stato decadente dell'epoca: il problema è la soluzione che propongono, il senso di riforma (non nel genuino etimo di recuperare la forma, ma nel senso rivoluzionario di creare una nuova forma). Ma del resto, questa gente che aveva visto un Papa distruggere da cima a fondo l'unico salterio che la Chiesa di Roma avesse mai usato, come poteva rapportarsi alla liturgia se non con le armi del piccone e della reinvenzione di sana pianta? Questa gente che aveva visto pressoché solo messe basse - con pochissime eccezioni e non è dato sapere quanto ben fatte - come poteva non realizzare un messale come quello di Paolo VI che di fatto prevede solo la messa bassa con cantici? Questa gente che per anni era stata (mal)educata a rendere la liturgia essenzialmente una consacrazione preceduta da una predica, come poteva produrre qualcosa di liturgico nel pieno senso della parola? Questa gente che per anni aveva visto nella liturgia un peso, un mero obbligo, al massimo un terreno di scontro dottrinale con protestanti o talaltri, come poteva non pretendere di modificare gli impianti patristici in un modo del tutto razionalista?

C'è stata una riforma liturgica, ma quella che ci voleva era una μετάνοια liturgica. Mετάνοια è un bellissimo termine greco, solo parzialmente reso dall'italiano 'conversione', e che contiene, accanto al prefisso μετά (idea di mutamento), la radice del νοῦς, che per il cristiano è quell'unione indissolubile di mente e di cuore che costituisce il senso spirituale dell'uomo. La vita del cristiano è una continua μετάνοια, secondo il comando del Battista: Μετανοεῖτε, ἤγγικε γάρ ἡ βασιλεία τῶν οὐρανῶν. Purtroppo la superbia degli uomini rende molto difficile mettere in dubbio le proprie convinzioni, le proprie passioni, per convertire il proprio cuore e seguire la via stretta del Signore: certamente lo rende molto difficile in ambito liturgico. Se dovessi indugiare in considerazioni personali, potrei raccontare di quante μετάνοιαι ho dovuto attraversare per giungere ad avvicinarmi a comprendere (non razionalmente, chiaramente) il grande mistero della liturgia. La desolazione liturgica del Novecento avrebbe richiesto un simile atteggiamento, che però non ci fu: e con la stessa mentalità si andò avanti nel processo dei decenni precedenti, giungendo a creare un rito a tavolino dove ogni prete potesse sbizzarrire la propria antitradizionale individualità.

Questo è, essenzialmente, il motivo per cui, volendo essere realmente tradizionali, critichiamo la riforma e le riforme liturgiche del Novecento, e in generale ogni moto di decadenza rispetto alla visione dei Padri, alla quale aderiamo con la mente e il cuore nella volontà di deificazione in Cristo e nella sua grazia. Amen.

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NOTE

[1] Ci si potrebbe a questo punto domandare, nell'ottica di comprenderne storicamente la soppressione, se tutti i preti aggiungessero tutte le commemorazioni prescritte e leggessero diligentemente le orazioni del tempo quando di dovere. Del resto, quasi sempre il cambiamento della legge si adegua a quello della prassi; e sopra si è visto che con la messa versus populum così è stato.

[2] Riferimenti a fatti, situazioni e persone reali sono puramente casuali. O forse no?

18 commenti:

  1. Questi sono discorsi che affronto giornalmente con altre due persone, è quasi un lavoro. E confesso pubblicamente dopo un lungo travaglio interiore e notti di riflessioni di essere passato definitivamente alla recita del Breviario Tridentino della Ex Typographia Balleoniana almeno per la pars autumnalis, tecnicamente mi sento un Cattolico realizzato. Il Salterio prima delle picconate della Abhinc duo annos e Divino afflatu è tutta altra cosa.

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  2. 'Questa gente che per anni era stata (mal)educata a rendere la liturgia essenzialmente una consacrazione preceduta da una predica, come poteva produrre qualcosa di liturgico nel pieno senso della parola? '

    Questa concezione riassume benissimo come la Messa venga intesa da molti tradizionalisti e dalla grandissima maggioranza dei fedeli delle parrocchie
    E aggiungerò: gente abituata a concentrarsi con estrema attenzione solo sul Racconto dell'istituzione e a dire il resto del Canone (spesso bisbigliato e velocemente) solo perché c'era scritto sul Messale come poteva non produrre la Preghiera Eucaristica II?
    Perché alla fine tutti i problemi della liturgia nascono da una concezione disarticolata della Liturgia, con solo delle parti ritenute 'veramente importanti' e tutto il resto come un accessorio, e non come un tutto vivo e connesso

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  3. Grazie per la riflessione.
    Io sono stato digiuno di qualunque forma tradizionale o apparentemente tradizionale di liturgia fino al motu proprio di Benedetto XVI e da li' ho iniziato a entrare in contatto diretto con la "liturgia tradizionale" benché in maniera intuitiva mi sentissi orientato a tale forma di culto in maniera intuitiva fin da piccolo dai racconti di nonna (nata nel 1922 che andava alla messa nella parrocchia del suo paese di campagna, messa alla mattina e vespro al pomeriggio) e dal mio servizio come chierichetto: ho sempre inconsciamente percepito una sorta di "potenza" (non so meglio esprimermi) emanare dalle vecchie pianete che il mio parroco di allora adoperava. Non dico attrazione estetica (non erano poi belle) ma come se conservassero una sorta di dignità e di onore che gente poco accorta aveva accantonato a favore di paramenti di qualità molto mediocre che esprimevano perfettamente quel non so che di disarmonico e dozzinale che aveva preso potentemente il posto di quel modo di porsi, delle vecchie cose del culto, molto degno e onorabile.
    Questo percepivo, poi ho iniziato a capire cosa fosse quel non so che, che intuivo.
    Tutto quanto letto nei precedenti articoli non fa che chiarire e rimettere in ordine quella percepita disarmonia.
    Mi permetto di osservare come forse la gente di quei tempi almeno quella non troppo istruita ed emancipata (come la mia povera nonna) aveva come ereditato senza saperlo, un modo di sentire il senso sacro della liturgia che arrivava a loro da un lontano passato. Probabilmente le celebrazioni degli anni trenta/cinquanta non erano molto di qualità, ma ritengo che almeno per inerzia un certo "spirito tradizionale" fosse ancora vivo, nonostante la prassi forse non edificante.

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    1. Nel popolo era presente molto più spirito tradizionale che nel clero, probabilmente. D'altro canto il popolo ordinariamente non aveva i mezzi per compiere studi, anche minimi, di storia e simbologia liturgica, e al clero non interessava certo formare il popolo in tal senso (ahimè). La cosa ridicola è che oggi, quando l'istruzione di massa, l'accessibilità delle fonti e dei testi e - negli ambienti "tradizionalisti" - almeno un apparente (molto apparente) interesse per la liturgia, permetterebbero la riscoperta del suo senso e della sua prassi tradizionali, quasi tutti i summenzionati "tradizionalisti" preferiscano adagiarsi nell'alveo del malcostume novecentesco se non peggiorarlo (ove possibile).

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    2. Ne sono persuaso. Per questo penso che la gente non si sia resa conto di quanto stesse accadendo fin quando non sono cadute le "apparenze" tradizionali, cioe' con la riforma post vaticano secondo. Penso che molti siano rimasti inorriditi o quanto meno sorpresi vedendo un radicale cambiamento fin nelle radici del loro modo di rapportarsi pubblicamente con il divino, ne abbiamo innumerevoli testimonianze (la mia nonna continuava a chiedersi perche' i preti abbiano messo tutto sottospra).
      Ma la strada venne istituzionalizzata allora: in fondo a cinquant'anni da quegli eventi ed esaurita ormai l' influenza "tradizionale" nella gente e nel clero (almeno quello più sensibile a tali questioni), la carica rivoluzionaria di quella riforma sembra portare i suoi frutti proprio oggi, e sempre più,temo, in futuro.
      Cosa sarebbe successo se invece di orientarsi sul protestantesimo per ragionare di liturgia, le commissioni vaticane incaricate per la riforma avessero chiesto consigli agli ortodossi?

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    3. ma si sono ispirati tantissimo ad elementi orientali, per esempio le PE III e IV sono ispirate ad anafore orientali
      addirittura all'inizio volevano introdurre l'anafora di Basilio nel rito romano

      il problema è che avendo una comprensione disarticolata hanno introdotto elementi a caso senza comprendere il tutto e lo spirito della liturgia

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    4. La IV è di fatto l'anafora di san Basilio mutilata, la III è più dipendente dal modello del Canone invece. Una cosa curiosa, su cui mi piacerebbe scrivere, è che per esempio il modo errato di concelebrare della messa moderna pare frutto di colloqui tra Bugnini e il futuro archimandrita Mark Davitti (allora ancora cattolico, ancorchè vicino al mondo orientale): solo che quest'ultimo aveva tutt'altro che chiaro il concetto di concelebrazione (per sua stessa ammissione lo mutuò da degli uniati romeni...). Perciò anche quando ci si volle volgere a oriente lo si fece recuperando elementi in modo antistorico e disorganico, proprio per quell'assenza di mentalità liturgica - quella sì avrebbero dovuto prendere dalla Chiesa Ortodossa!

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    5. Non sapevo che si fossero ispirati agli orientali: non si vede tanto.
      Sembra che la messa cattolica di oggi sia molto più simile alla omologa funzione della chiesa inglese (basta guardare in rete) e addirittura a ben guardare sembra che gli inglesi siano per certi aspetti, più tradizionali di noi.
      Basta ascoltare cosa cantano.

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    6. la III è si dipendente dal punto di vista strutturale dal canone, ma a livello tematico lo è dall'anafora di Marco/Cirillo
      la IV rimarrà la migliore anafora prodotta tra quelle moderne, e il fatto che sia in gran parte una copia rimaneggiata a livello strutturale dall'anafora migliore tra quelle della tradizione antiochena fa capire la qualità media di queste

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  4. Ritengo che la celebrazione verso il popolo sia una scelta altamente eversiva che si oppone apertamente a ogni concezione tradizionale di liturgia. Certamente fu lungamente preparata e le foto che si vedono nell' articolo lo dimostrano inequivocabilmente. Provo sempre un grande sgomento quando vedo antichi altari tolti dai presbiteri per metterci l' altare nuovo, specie quando vengono smantellati manufatti artistici di valore. Ecco: in questo io trovo si veda la carica eversiva delle riforme liturgiche operate nell'ambito cattolico. E non puo' che lasciarci inorriditi e attoniti, come quando il ladro ti entra in casa per rubare.
    Trovo che l' altare verso il popolo, la sostituzione completa delle preghiere dell' offertorio nel novus ordo e oggi il mutamento del pater siano la misura della distanza con la quale il cristianesimo occidentale si sia allontanato dalla sua identità.

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    1. Pregare e cercare - per quanto possibile - di vivere la buona liturgia.

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    2. Non ne ho idea. Questa e' la domanda di fondo. Da parte nostra ritengo si debba recuperare l' essenza della Tradizione: la "metanoia" cambiamento di mentalità per volgersi dalla vita secondo la carne alla vita secondo lo spirito che e' gia' un grosso lavoro.
      Circa la liturgia non vedo vie d' uscita brevi ne' comode. Sarebbe gia' qualcosa che clero e popolo cattolico almeno si rendessero conto che ce' un problema, cosa che non vedo. Su questa strada temo che si andra' sempre più verso un tipo di liturgia e dunque di cristianesimo meno tradizionali con esiti che non potranno che essere deleteri per chi intende o cerchi di intendere lo spirito della tradizione.
      Ci vorrebbe un posto dove sia vissuto integralmente il culto tradizionale (non nel senso ottocentesco o anni '50), ma dove? I monasteri? I conventi? Ma chi vive più il culto tradizionale in occidente (lodevoli eccezioni a parte)? Ce' da salvare il seme, ma basta conservarlo nei vecchi messali o nei vecchi breviari ante Pio X? Certo, anche quello aiuta, ma serve anche il clero che celebri secondo tradizione e questo e'difficile da reperire. E ammesso che ci sia, che succede quando i superiori comandano di adeguarsi ai riti moderni? Si disobbedisce? E se si possiamo eventualmente considerarci nella chiesa canonica o si diventa scismatici?
      Domande grosse a cui non so rispondere.
      Forse la strada e' fare quello che si puo' per incamminarsi sulla buona strada, un passo per quanto piccolo e' meglio di niente, forse.
      Mi scuso per queste considerazioni forse banali.

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    3. Grazie del consiglio. Purtroppo non sono molto istruito e conosco molto superficialmente (meglio dire quasi per niente) il latino.
      Forse dico una bestialità, ma se fosse accettabile, avere un breviario tradizionale romano in italiano non sarebbe una brutta idea.
      Lo dico sommessamente perche' non voglio irritare nessuno, so il valore e l' importanza dell' uso della lingua latina nella liturgia.

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    4. Avere traduzioni, con testo a fronte, da usare per la recita privata e per seguire meglio l'ufficiatura pubblica non è una bestialità, ma quello che dovrebbe fare chiunque voglia fare un serio apostolato liturgico, sia per i testi latini che per quelli bizantini. Una bestialità è fare delle traduzioni imprecise e pretendere di usarle nella liturgia pubblica, come hanno fatto negli anni '60 e come sta facendo adesso l'Arcidiocesi Costantinopolitana in Italia.

      Certo, mettersi a tradurre l'intero ufficio non è cosa da poco, specie per me, che lavoro con i testi romano-veneti che hanno molte più officiature proprie di quelli romani "puri". Per lo "scheletro" dell'ufficio basterebbe procurarsi un'edizione italiana dei 150 salmi ben tradotta (mi hanno consigliato una recente uscita per le edizioni Amnos - Testimonianza Ortodossa, ma non ho sinora potuto valutarne personalmente la bontà della traduzione) e seguire nella recita l'ordine stabilito da Papa Gregorio il Grande. Per le parti proprie (antifone etc.) col tempo si spera di poter rendere qualcosa disponibile con traduzione.

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  6. - Confiteor Deo omnipotenti et vobis, fratres,che alla lettura di formulette come "Forma extraordinaria del rito romano" o l'allucinogeno "ai sensi del motu proprio Summorum Pontificum" il mio imbarazzo esplode, poi prontamente rivolgo il mio sguardo verso il Salterio del Grande Padre Gregorio e rimetto in ordine il mio essere mentale.
    - Non abbiate paura del latino, cercate i Breviari pre-1910 e lasciatevi trasportare dal Salterio. Chi non è pratico può avere qualche difficoltà nell'impostare sul Breviario la giornata Liturgica ma in questo luogo non mancheranno i consigli. Prima salmodiate poi pensate alle traduzioni, non mancano i riscontri in giro.

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    1. Certamente non bisogna avere paura del latino, solo applicarsi un po' per imparare almeno un minimo per la liturgia. So che qualcuno non sara' d'accordo pero' non posso che essere grato al motu proprio di papa Benedetto: ha ottenuto che diverse persone abbiano almeno iniziato a prendere dimestichezza con le "apparenze" del rito tradizionale (gli articoli precedenti chiariscono il senso di "apparenza" di rito tradizionale), io e molti come me hanno potuto vedere almeno il rito della messa che conserva le forme tradizionali. E' un primo passo, insufficiente forse, ma e' un inizio. E temo che sia per questo che tale provvedimento(benche' imperfetto) sia cosi' avversato, perche' forse puo' aprire un sentiero che conduce al recupero della integra tradizione liturgica. Certo leggendolo con occhi legali esso autorizza il messale del 1962, ma l' intento sembra essere molto più ampio, cioè quello di autorizzare attraverso di quello, le forme tradizionali in genere. Mi sembra che ultimamente la curia romana abbia permesso di usare i riti della Settimana Santa in essere prima della riforma del 1956, cioe' quelli tradizionali nel vero senso della parola.
      Non so se sbaglio.

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