Una caratteristica tipica delle liturgie vigiliari, cioè quelle dei giorni penitenziali che precedono le feste maggiori dell'anno liturgico cristiano, spesso celebrate insieme al Vespro e presentanti già degli accenni della gioiosità della festa addiveniente, è la presenza di numerose letture dell'Antico Testamento che costituiscono la profezia dei fatti che si compiranno nel Nuovo Testamento e che la Chiesa celebra in quella data festa. Nel rito romano questa caratteristica è rimasta solamente alle vigilie di Pasqua e di Pentecoste, se si escludono i sabati delle Tempora che discendono da una tradizione urbana più complessa e ancora non del tutto chiarita; il rito ambrosiano invece, per esempio, dispone di una serie di letture vigiliari anche per la vigilia del Natale, per quelle dell'Epifania, del Natale e dell'Ascensione; il rito bizantino invece le possiede per le vigilie di Natale, Teofanie e Pasqua, mentre prevede un numero più limitato (tre generalmente) di letture al primo Vespro di altre feste di grado elevato ("feste con polieleo", che potremmo paragonare al "duplex" latino) durante l'anno, ma separata da un'Eucaristia vigiliare. La tradizione di leggere numerosi passi dell'Antico Testamento alla vigilia delle grandi feste deriva direttamente dalla pratica della Sinagoga, e ha - oltre alla funzione preparatoria alla festa - la funzione di catechesi battesimale; abbiamo evidenti testimonianze liturgiche infatti che durante queste cerimonie vigiliari si tenessero i battesimi dei neofiti: il rito romano prevede la consacrazione dell'acqua battesimale al Sabato Santo e alla Vigilia di Pentecoste proprio in funzione dei battesimi che sarebbero stati celebrati nel corso di quella funzione; nel rito bizantino le feste sopraccitate prevedono che alla Liturgia, al posto del Trisagio, si canti Ὅσοι ἐν Χριστῷ ἐβαπτίσθητε, Χριστὸν ἐνεδύσατε (Quanti in Cristo siete stati battezzati, di Cristo siete stati rivestiti), durante il quale facevano il loro ingresso in chiesa i neofiti appena battezzati.
Andiamo ad analizzare le letture che le principali tradizioni liturgiche propongono per l'ufficiatura vesperale del Sabato Santo, quella che molti a Occidente confondono con la prima funzione pasquale ma che in realtà è ancora una funzione pre-pasquale, il cui carattere penitenziale è esplicitato proprio da questo numero di letture. Le lezioni veterotestamentarie che il Messale Romano fino al 1955 conserva per questa occasione sono dodici, e rimontano all'età più antica; le ritroviamo, identiche ma ridotte a sei, alla vigilia di Pentecoste, segno che questa era la serie "canonica" di catechesi battesimali nella Roma dei primi secoli. Le letture furono dimezzate per ordine di Papa san Gregorio il Grande, probabilmente per via del ridursi del numero di neofiti adulti da battezzare; tuttavia, nel giro di pochi decenni i Sacramentari tornano a riportare dodici lezioni per il Sabato Santo, mentre il sabato di Pentecoste conserverà questo numero ridotto. La lettura delle profezie costituisce la parte più consistente dell'officiatura di questo giorno, al pari dei lunghi riti battesimali; una particolare prova di "resistenza" doveva essere questa celebrazione nella cappella papale, dove ciascuna profezia veniva cantata in latino e quindi ripetuta in greco, secondo la tipica tradizione. E' da segnalarsi tuttavia che in molti usi medievali, in concomitanza con la scomparsa del catecumenato e dunque il venir meno del significato primo di queste letture, il numero era stato notevolmente ridotto: i riti della famiglia normanna (Sarum, York, parigino, bracarense, domenicano, etc.) presentano solamente quattro letture, cioè Gen. 1-2, Ex. 14-15; Is. 4 e Is. 54-55; i riti di famiglia aquileiese, invece, ne hanno cinque, aggiungendovi Deut. 31; il rito ambrosiano ne ha sei (Gen. 1, Gen. 22, Ex. 13, Ex. 12, Is. 54, Is. 1). E si potrebbero elencare numerosi altri casi.
Nonostante la "mancanza di Sacra Scrittura" nelle celebrazioni sia un pretestuoso argomento spesso addotto dai novatori, questi non si fecero scrupoli - nell'opera generale di distruzione dell'ufficio del Sabato Santo - a stralciare la maggior parte delle profezie, riducendole a quattro: Gen. 1, Ex. 14, Isaia 4, Deut. 31. Persino il rito moderno di Paolo VI ha un numero maggiore di letture, restaurandone alcune antiche (Gen. 22, Baruch 3, Isaia 55) e inventandone alcune (Isaia 54, Ezechiele 36), con la soppressione di Isaia 4 e Deut. 31; lo stesso tuttavia indica come obbligatorie solo tre di queste letture, e per le più lunghe fornisce una versione accorciata.
Il rito bizantino invece prevede quindici letture; tale numero è impiegato pure per la vigilia delle Teofanie, mentre sono dodici le letture della vigilia di Natale. Tuttavia, non si tratta della stessa serie che si ripete, ma di gruppi piuttosto diversificati, al netto di alcune lezioni comuni; quelle delle ultime due occasioni poi, essendo d'introduzione più tardiva, sono più spiccatamente legate al tema della festa. A quanto possiamo dedurre dal Tipico della Grande Chiesa, si era giunti all'uso di proclamare solo sette letture abitualmente, e le restanti solo se vi fossero molti catecumeni e i battesimi si prolungassero. Mentre le chiese slave perpetuano la tradizione di proclamare tutte e quindici le pericopi, nelle parrocchie greche è purtroppo invalsa la malsana prassi di leggerne solo tre, peraltro le più lunghe, cioè Gen. 1, Giona 1-4 (l'intero libro di Giona) e Dan. 3, mentre le restanti sono lette dal clero durante le Ore minori o prima della funzione vigiliare.
L'ordine delle letture nei due riti presenta molti tratti di somiglianza, e in ambo i casi deriva quasi direttamente da quello gerosolimitano antico, i cui testi liturgici per il Sabato Santo ci sono tramandati in un manoscritto conservato presso la Biblioteca Patriarcale Armena di Gerusalemme; tale manoscritto indica dodici letture, quindi è probabile che tre siano state aggiunte solo in una seconda fase dello sviluppo del rito bizantino. Del fatto che un certo numero profezie venissero lette al Vespro del Sabato Santo ne dà testimonianza pure la Peregrinatio di Egeria, che è del IV secolo, e non è da dubitare che si trattasse proprio di questa serie. Egeria ci riferisce pure che queste profezie venivano lette dopo la cerimonia lucernale, caratteristica del Vespro dei primi secoli; e infatti nel rito bizantino esse vengono proclamate subito dopo l'ingresso con l'inno lucernale Φῶς ἱλαρὸν, e nel rito romano seguono immediatamente la benedizione diaconale del cero pasquale (Exultet), l'ultimo vestigio di rito lucernale nella tradizione dell'Urbe.
Mettiamo a confronto le serie di profezie del rito romano, del rito gerosolimitano antico e del rito bizantino:
ROMANO Genesi 1 |
AGHIOPOLITA Genesi 1-3 |
BIZANTINO Genesi 1,1-13 |
La tesi espressa da Andrea Ikonomou in Byzantine Rome and the Greek Popes (Lexington 2007), cioè che la liturgia vigiliare del Sabato Santo non facesse parte originariamente della tradizione romana ma fosse stata importata nel VII secolo sotto Papa Vitaliano da Costantinopoli, viene smentita, oltreché dalle attestazioni di una prima forma di Vigilia nel Sacramentario Gelasiano che è sicuramente precedente, da una serie di elementi constatabili da quanto sopra detto, che piuttosto evidenziano l'origine comune della prassi e dell'ordine delle profezie in quelle cantate nell'Antica Città di Gerusalemme, sviluppatasi poi in modo diverso tra Roma e Costantinopoli.