domenica 7 maggio 2017

Dominica III post Octavam Paschae


Iubiláte Deo, omnis terra, allelúia: psalmum dícite nómini eius, allelúia: date glóriam laudi eius, allelúia, allelúia, allelúia.
Dícite Deo, quam terribília sunt ópera tua, Dómine! in multitúdine virtútis tuæ mentiéntur tibi inimíci tui.
Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. 
Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen
Iubiláte Deo, omnis terra, allelúia: psalmum dícite nómini eius, allelúia: date glóriam laudi eius, allelúia, allelúia, allelúia.
(Antiphona ad introitum)

In questa domenica, per l'appunto detta Jubilate dalla prima parola dell'introito, continua a farci vivere nell'esultanza della gioia pasquale, dandoci contemporaneamente l'occasione di ascoltare alcuni dei più importanti insegnamenti di Gesù sui tempi futuri, tolti dal Vangelo di San Giovanni.

L'epistola, tratta dalla prima lettera di San Pietro, è uno dei tanti brevi ed efficaci compendi di vita cristiana che ci vengono offerti dagli Apostoli nei loro scritti: come commenta bene dom Gueranger, l'endiadi sicut advenas et peregrinos con cui s'apre la pericope indica che il Cristiano è di passaggio in questo mondo, e pertanto egli deve vivere non secondo il diritto di questo mondo, ma secondo il diritto del Vangelo, per poter poi giungere alla sua vera patria, che è quella celeste. Ed ecco allora che il Cristiano deve astenersi dalle impurità, dai desideri carnali, e dare il buon esempio con la condotta esemplare che tiene anzi alle istituzioni umane, quantunque esse lo disprezzino e l'odino, quia sic est volúntas Dei, ut benefaciéntes obmutéscere faciátis imprudéntium hóminum ignorántiam. Infatti, se il cristiano non rispettasse l'uomo per la sua dignità, amasse i fratelli nella fede e rispettasse l'autorità regale, rendendo a Cesare quel che è di Cesare, mancherebbe di quell'ubbidienza che il Signore stesso gli ha insegnato. Bisogna aggiungere che queste leggi non debbono, come purtroppo è accaduto nella Chiesa odierna, superare la prima e più grande legge del Cristianesimo, il timore di Dio: Io sono il Signore tuo Dio, non avrai altro Dio all'infuori di me. [... ] Ama il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta l'anima. E dunque, se il rispetto umano viene invocato per approvare comportamenti che Dio aborre, per difendere libertà che Dio ha in odio, per tacere la liberante ed unica Verità, sarebbe questo Cristianesimo, o piuttosto luciferino? Nella più famosa orazione a San Giovanni Bosco, si chiede al Santo d'insegnarci a vincere il rispetto umano, proprio inteso come quella reticenza data da un presunto rispetto della libertà altrui che fa venir meno alla necessaria testimonianza alla Verità. Il rispetto umano cristiano è altra cosa: è dare all'uomo la dignità che gli spetta, di creatura eletta da Dio, ma infinitamente inferiore, sottomessa ed impegnata nei confronti di Domineddio suo creatore.
Un discorso non troppo diverso può farsi per l'autorità regale, la quale è stata sovente instaurata da Dio stesso mediante l'autorità della sua Chiesa, e che ha la grande prerogativa di difendere la fede nelle cose che riguardano il mondo, occupandosi del governo temporale. Ma se uno Stato iniziasse a promuovere principi anticristiani, a scontrarsi di proposito con la Madre Chiesa, a perseguitare il Cristianesimo, allora anche qui l'obbedienza all'autorità verrebbe meno di fronte alla fedeltà al Signore: v'è pertanto obbligo d'opporsi alle leggi dello Stato che ledono i principi cristiani, e in alcuni casi finanche allo Stato intero (specialmente quand'esso nasce per via massonica, liberale, bolscevica o dichiaratamente anticristiana). S. Tommaso stesso dice che in alcuni casi è doverosa la resistenza al

Allelúia, allelúia.
Redemptiónem misit Dóminus pópulo suo: Alleluia
Oportebat pati Christum, et resúrgere a mórtuis: et ita intráre in glóriam suam. Allelúia.
(Grande e Piccolo Alleluia)


Il Vangelo è tratto da San Giovanni, ed è il discorso di Gesù contenuto nel capitolo XVI, che ricorda ai discepoli che Módicum, et iam non vidébitis me: et íterum módicum, et vidébitis me: quia vado ad Patrem. S. Agostino ben chiosa nel suo trattatto CI in Johannem la doppia valenza del termine modicum, sui cui gli stessi discepoli nel Vangelo interrogano il Signore, non avendone compreso il significato: nel primo caso, infatti, significa appena i quaranta giorni che Gesù ha trascorso apparendo ai suoi discepoli e conversando con loro, prima di ascendere al Padre nella gloria. Nel secondo caso, invece, indica tutto il secolo presente, che dovrà trascorrere sino al momento in cui Cristo giungerà la seconda volta in maestà, quale giudice tremendo, per giudicare severamente ogni cosa. Il Vescovo d'Ippona ricorda inoltre che ciò non contraddice quanto dice il Signore in Matth. XXVIII, ossia che Egli sarà con noi fino alla fine dei giorni, giacché la vicinanza spirituale e l'assistenza che Egli ci ha promesse non verranno meno quando agli apostoli verrà a mancare la di lui visione concreta, tutt'altro.
Può essere interessante notare che l'Evangelista riporta il succitato termine modicum, che intuitivamente significa "in breve tempo". Quando è breve il transito di questo mondo? E' un soffio, se si paragona all'eternità del Regno di Dio. I primi cristiani vivevano in una fortissima attesa escatologica ("delle cose ultime"), e spesso identificavano negli avvenimenti (eruzioni, invasioni barbariche...) dei segni concreti dell'avvicinarsi sempre più della fine del mondo. Dopo l'XI secolo si è un po' persa questa fortissima attesa della Venuta di Cristo, la quale era sino ad allora rimasta molto forte nel sentimento dei Cristiani, e si è iniziato pertanto a concentrare la teologia più sul giudizio particolare che su quello universale, in modo sicuramente utile al benessere spirituale delle anime, ma tralasciando forse l'imminenza della venuta salvifica del Cristo. Oggi, i segni sono molto maturi per ricominciare a parlare diffusamente di escatologia: la grande persecuzione che stanno vivendo i veri Cristiani, la potenza del Demonio, principe di questo mondo, l'apostasia generale, l'assalto dei demoni alla Chiesa Cattolica... gli ultimi tempi sono questi, anche se dobbiamo ricordare che il tempo dell'uomo non è quello di Dio, per cui mille anni sono come il giorno di ieri che è passato. Tuttavia, essendo noi certi della prossimità del Giudizio Finale, quando vedremo di nuovo Cristo, ma non avremo più nulla da chiedergli o nulla su cui interrogarlo, giacché nulla ci resterà a desiderare nel momento in cui saremo giudicati, e quidquid latet apparebit, e nulla dunque ci resterà a cercare, dobbiamo vivere questi ultimi giorni che ci attendono prima della venuta di Nostro Signore non nel catastrofismo degli ereticali movimenti apocalittici che hanno costituito la Storia dell'eterodossia cristiana, bensì come Gesù stesso ci ha raccomandato nel Vangelo con una bellissima immagine: Múlier cum parit, tristítiam habet, quia venit hora eius: cum autem pepérerit púerum, iam non méminit pressúræ propter gáudium, quia natus est homo in mundum. Come una partorente dunque, che prova forti dolori e ne soffre come non mai, ma che presto dimenticherà questi dolori, e già tra le sofferenze è alleviata dalla previsione della gioia futura, della nascita del bimbo, così noi, soffrendo le tribolazioni del presente e le persecuzioni dei nemici di Dio, siamo consci che presto non resterà ricordo di questi dolori, e rivolgiamoci con la mente ai benefici futuri: alla venuta del Salvatore.

Il Giudizio Finale, di Beato Angelico


Orémus.
Deus, qui errántibus, ut in viam possint redíre iustítiæ, veritátis tuæ lumen osténdis: da cunctis, qui christiána professióne censéntur, et illa respúere, quæ huic inimíca sunt nómini; et ea, quæ sunt apta, sectári.
Per Dominum nostrum Iesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. Amen.
(Orazione di colletta)
Per inciso, queste letture non sono presenti nella liturgia odierna della Chiesa Bizantina, che festeggia
la cosiddetta Κυριακὴ τοῦ παραλύτου, domenica del paralitico, poiché legge come Apostolo il brano degli Atti narrante la guarigione dello storpio con l'ombra da parte di Pietro, quasi a modo di preludio del Vangelo, che invece è l'episodio della guarigione del paralitico da parte di Gesù presso la piscina probatica (Johan V). Questo tema, pieno di significati correlati alla rinascita spirituale e fisica, è ancora strettamente legato alla Risurrezione, il cui clima e il cui tema, terminate le letture dei Vangeli del Risorto, è ancora presente per tutto il tempo pasquale nelle pericopi lette nelle liturgie greche, mentre in quelle latine l'attenzione inizia a focalizzarsi già sull'Ascensione e sui prossimi misteri di Dio, sempre tenendo ben presente però quello più grande e maggiore della Risurrezione di Cristo.

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