L'Ascensione nei mosaici del Duomo di Monreale (XII secolo) |
Si celebra oggi, esattamente 40 giorni dopo la Pasqua di
Nostro Signore, la gloriosa festa della sua Ascensione (in greco Ἀνάληψις), con
la quale egli chiude il periodo di tempo trascorso sulla Terra in compagnia dei
discepoli, e si ricongiunge completamente al Padre suo celeste, completando
l’opera della nostra Redenzione (per questo motivo i Greci chiamano talvolta
ἐπισῳζομένη, “salvezza”, tale festa). Gesù Cristo, ascendendo al cielo e
venendo accolto dalle schiere angeliche e dal coro dei patriarchi che ha
liberato dal limbo poche settimane prima, raggiungendo i beati, cui spetta la
felice contemplazione fisica di Nostro Signore, non abbandona tuttavia i suoi
se non fisicamente, restando sempre però spiritualmente vicino alla sua Chiesa,
come aveva detto “ove due o tre son radunati nel nome mio, io sarò con loro”.
Allo stesso modo, oggi celebriamo con una nota di melanconia la dipartita al
cielo di Nostro Signore, ma continuiamo a cantare Alleluia, perché sapendo che Egli è risorto
e ci ha provata la comune risurrezione non possiamo che esser lieti ed
inneggiarlo, contemplandolo spiritualmente nella Santa Liturgia.
La narrazione evangelica e degli Atti di S.
Luca commentata dal Gueranger
Tratto da: dom Prosper Gueranger O.S.B., “L'Année liturgique”, Ascensione di NSGC
L'Ascensione di Giotto (1267-1337) |
Tutto ad un tratto Gesù appare in mezzo al
Cenacolo. Trasalisce il cuore di Maria; i discepoli e le pie donne adorano con
emozione colui che si mostra quaggiù per l'ultima volta. Gesù si degna prendere
posto a tavola con loro; accondiscende a dividere ancora una volta il pasto,
non più con lo scopo di renderli sicuri della sua Risurrezione - sa che non ne
dubitano, ormai - ma tiene a dar loro questo segno affettuoso della sua divina
familiarità, nel momento di andare ad assidersi alla destra del Padre. Quale
pasto ineffabile è questo in cui Maria gusta per l'ultima volta sulla terra
l'incanto di essere seduta vicino al Figliolo; in cui la santa Chiesa,
rappresentata dai discepoli e dalle pie donne, è ancora visibilmente presieduta
dal suo Capo e suo Sposo!
Chi potrebbe esprimere il rispetto, il
raccoglimento, l'attenzione dei convitati; riprodurre gli sguardi posati con
affetto così intenso sul Maestro tanto amato? Essi aspirano ad ascoltare ancora
una volta la sua parola; parola tanto cara in questo momento della separazione!
Finalmente Gesù schiude le sue labbra; ma il suo accento è più grave che
tenero. Comincia col ricordare loro l'incredulità con la quale accolsero la
notizia della sua Risurrezione (Mc 16,14). Al momento di affidare la missione
più imponente che sia mai stata trasmessa agli uomini, egli vuole richiamarli
all'umiltà. Tra pochi giorni dovranno essere gli oracoli del mondo, e il
mondo dovrà credere la loro parola, credere ciò che non ha visto, ma quello che
essi soli hanno veduto. È la fede che mette gli uomini in comunicazione con
Dio; e questa fede essi stessi, in principio, non l'ebbero: Gesù vuole ricevere
un'ultima riparazione di quella incredulità passata, per fondare il loro
apostolato sull'umiltà.
Prendendo poi quel tono di autorità che conviene
a lui solo, disse loro: "Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo
ad ogni creatura. Chi crede e sarà battezzato si salverà; chi non crede sarà
condannato" (Mc 16,15-16). Come compiranno essi questa missione di
predicare il Vangelo nel mondo intero? Con quali mezzi riusciranno ad
accreditare la loro parola? Gesù lo indica: "Or questi sono i miracoli che
accompagneranno i credenti: nel nome mio scacceranno demoni; parleranno lingue
nuove; prenderanno in mano serpenti, e se berranno qualche veleno mortifero non
ne avranno danno; imporranno le mani agli ammalati e guariranno" (ivi
16,17-18)". Egli vuole che il miracolo sia il fondamento della sua Chiesa,
come l'aveva scelto quale argomento della sua missione divina. La sospensione
della legge della natura annunzia agli uomini che l'autore di questa stessa
natura sta per pronunciarsi: ad essi, allora, il dovere di ascoltare e credere
umilmente.
Ecco dunque questi uomini sconosciuti dal mondo,
sprovvisti di ogni mezzo umano, eccoli investiti della missione di conquistar
la terra e di farvi regnare Gesù Cristo. Il mondo ignora anche la loro
esistenza; assiso sul trono, Tiberio, che vive nel terrore delle congiure, non
suppone affatto tale spedizione di nuovo genere che si sta iniziando, dalla
quale l'impero romano sarà conquistato. A questi guerrieri, occorre un'armatura
ma di tempra divina, e Gesù annuncia che stanno per riceverla. "Voi però
rimanete in città, finché siate dall'alto investiti di vigoria" (Lc
24,49). Ma quale sarà quest'armatura? Gesù lo spiegherà, ricordando la promessa
del Padre, "la promessa che avete udito dalla mia bocca. Perché Giovanni
battezzò nell'acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo di qui a non
molti giorni" (At 1).
Ma l'ora della separazione è giunta. Gesù si
alza, e tutti i presenti, al completo, si dispongono a seguire i suoi passi.
Centoventi persone si trovano là riunite, insieme con la Madre del Trionfatore
che il cielo reclamava. Il Cenacolo era situato sulla montagna di Sion, una
delle due colline situate entro le mura di Gerusalemme; il corteo traversa una
parte della città, dirigendosi verso la porta orientale che si apre sulla
vallata di Giosafat. È l'ultima volta che Gesù percorre le strade della città
reproba. Invisibile ormai agli occhi del popolo che l'ha rinnegato, avanza alla
testa dei suoi, come un tempo la colonna luminosa che dirigeva i passi degli
Israeliti. Quanto è bello ed imponente questo incedere di Maria, dei discepoli,
e delle pie donne, al seguito di Gesù, che non dovrà più fermarsi che in cielo
alla destra del Padre! La devozione nel medio evo lo ricordava con una
processione solenne che precedeva la messa di questo grande giorno. Secoli
felici, i cui cristiani amavano seguire tutte le orme del Redentore, e non si
contentavano, come noi, di qualche vaga nozione che non può suscitare che una
pietà altrettanto vaga!
L'Ascensione del Perugino (1448-1523) |
Allora si meditava sui sentimenti che dovevano
avere invaso il cuore di Maria durante questi ultimi istanti in cui godeva la
presenza del suo figliolo. Ci si domandava se in questo cuore materno era
superiore la tristezza di non vedere più Gesù, oppure la felicità di sapere che
Egli entrava finalmente nella gloria che gli era dovuta. Nel pensiero di questi
veri cristiani la risposta era immediata ed ora la rivolgeremo a noi stessi.
Gesù aveva detto ai suoi discepoli: "Se mi amaste, vi rallegrereste che io
vada al Padre" (Gv 14,28). Ora, chi amò Gesù quanto Maria? Il cuore della
Madre era dunque nell'allegrezza al momento di questo ineffabile addio. Ella
non poteva pensare a se stessa, trattandosi del trionfo del suo Figliolo e del
suo Dio! Dopo gli orrori del calvario, poteva essa aspirare ad altro che a
veder glorificato finalmente colui che sapeva essere il sommo Signore di tutte
le cose, colui che aveva visto, pochi giorni prima, rinnegato, bestemmiato,
spirare in mezzo alle torture?
Il corteo ha attraversato la valle di Giosafat,
ha passato il torrente Cedron, e si dirige verso il pendio del monte degli Ulivi.
Quanti ricordi si affollano nella mente! Questo torrente, di cui il Messia
nella sua umiliazione aveva bevuta l'acqua fangosa, oggi è divenuto per lui il
cammino della gloria, secondo quanto aveva annunciato David (Sal 109,7). Si
lascia a sinistra l'orto che fu testimone dell'Agonia, la grotta in cui il
calice per l'espiazione del mondo fu presentato a Gesù e da lui accettato. Dopo
aver superato una distanza che san Luca stima essere press'a poco quella che
permettevano gli Ebrei di percorrere in giorno di sabato, si arriva nel
territorio di Betania, il villaggio in cui Gesù chiedeva ospitalità a Lazzaro e
alle sue sorelle. Da tale punto della montagna degli Ulivi si godeva la vista
di Gerusalemme, che appariva magnifica col suo Tempio e i suoi palazzi. Questo
spettacolo commuove i discepoli. La patria terrestre fa battere ancora il cuore
di questi uomini; per un momento essi dimenticano la maledizione pronunciata
sull'ingrata città di Davide, e sembrano non ricordarsi più che Gesù li ha
fatti poco prima cittadini e conquistatori di tutto il mondo. Il sogno della
grandezza umana di Gerusalemme li ha sedotti improvvisamente ed essi osano
indirizzare questa domanda al Maestro: "Signore, lo ricostituirai il regno
d'Israele?" Gesù risponde a questa richiesta indiscreta: "Non sta a
voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo
potere". Queste parole non toglievano la speranza che Gerusalemme fosse un
giorno riedificata dallo stesso Israele divenuto cristiano; ma la restaurazione
della città di Davide non dovrà aver luogo che verso la fine dei tempi. Non era
dunque conveniente che il Salvatore facesse conoscere allora questo segreto
divino. La conversione del mondo pagano e la fondazione della Chiesa: ecco ciò
che doveva adesso preoccupare i discepoli. Gesù li riporta subito alla missione
che aveva loro affidato poco prima, esclamando: "Riceverete la virtù dello
Spirito Santo che verrà sopra di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e
in tutta la Giudea, e nella Samaria, e sino all'estremità del mondo" (At
1,6-8).
Secondo una tradizione che rimonta ai primi
secoli del cristianesimo, si era sull'ora del mezzogiorno, l'ora stessa in cui
Gesù era stato alzato in croce. Ed ecco che, volgendo sugli astanti uno sguardo
di tenerezza, che dovette arrestarsi su Maria con speciale compiacenza filiale,
elevò le mani e li benedisse tutti. In quel momento i suoi piedi si staccarono
dalla terra, e cominciò ad innalzarsi verso il cielo (Lc 24,51). I presenti lo
seguivano con lo sguardo; ma presto egli entrò in una nube che lo nascose ai
loro occhi (At 1,9).
L'Ascensione secondo i canoni iconografici delle icone bizantine |
I discepoli guardavano ancora il cielo, quando
improvvisamente due Angeli bianco vestiti si presentarono dicendo: "Uomini
di Galilea, che state a guardare il Cielo? Quel Gesù che, tolto a voi, è asceso
al Cielo, verrà come l'avete visto andare in cielo" (At 1, 10-11). Ora il
Signore è risalito al cielo, da dove un giorno ne ridiscenderà a giudicare:
tutto il destino della Chiesa è compreso tra questi due termini. Noi viviamo
dunque presentemente sotto il regime del Salvatore, poiché egli ci ha detto che
"Dio non ha mandato il Figlio suo nel mondo per condannare il mondo, ma
affinché il mondo sia salvato per opera di lui" (Gv 3,17). Ed è per questo
fine misterioso che i discepoli hanno ricevuto poc'anzi la missione di andare
per tutta la terra ed invitare gli uomini alla salvezza, mentre v'è ancora
tempo.
Quale compito immenso Gesù ha loro affidato! e,
nel momento in cui si tratta d'iniziarlo, egli li lascia! Soli, dovranno
scendere dal monte degli Ulivi, dal quale egli è partito per il cielo! Eppure
il loro cuore non è triste; hanno con sé Maria, e la generosità di questa Madre
incomparabile, si comunica alle loro anime. Amano il Maestro: d'ora in avanti
la felicità sarà quella di pensare che è entrato nel riposo. I discepoli
tornarono a Gerusalemme, "pieni di gioia", ci dice san Luca (Lc
24,52), esprimendo con questa sola parola una delle caratteristiche della festa
dell'Ascensione, improntata ad una dolce malinconia, ma nella quale si respira,
allo stesso tempo e più che in qualunque altra, la gioia ed il trionfo. Durante
la sua Ottava, cercheremo di penetrarne i misteri e di mostrarla in tutta la
sua magnificenza; per oggi ci limiteremo a dire che questa solennità è il
complemento di tutti i misteri del nostro Redentore, e che essa ha reso per
sempre sacro il giovedì di ogni settimana, giorno già così degno di rispetto
per l'istituzione della santa Eucarestia.
Storia della festività dell’Ascensione
L’Ascensione iniziò a esser celebrata molto
presto, probabilmente già a partire dal III secolo, poiché Agostino ce ne parla
come di una tradizione ben consolidata nella Chiesa, presumendone .
Inizialmente, però, doveva esser celebrata il cinquantesimo giorno, unitamente
alla Pentecoste, solennità introdotta non troppo tempo prima, perché la
pellegrina Egeria nel suo Itinerarium racconta sì d’aver assistito a una
solenne celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua, ma dal luogo che ci
fornisce, ossia la Grotta di Betlemme, siamo più propensi a pensare si trattasse
della Dedicazione della Basilica della Natività, o la festa dei SS. Innocenti,
celebrati a metà maggio in territorio gerosolimitano; ella, peraltro, ci
racconta che invece il giorno di Pentecoste si tengono tre uffici, tra cui uno
sul Monte degli Ulivi, durante il quale si legge il brano evangelico
dell’Ascensione. Questa teoria è confermata anzitutto da degli scritti di S.
Eusebio, nel quale egli considera l’Ascensione come il termine del periodo
pasquale, precisando che quest’ultimo dura esattamente sette settimane. Durante
il Concilio di Elvira (primi anni del IV secolo) fu per l’appunto discusso in
quale giorno si dovesse celebrare l’Ascensione: la logica conclusione fu che
non andasse celebrata né il dì di Pasqua né quello di Pentecoste, ma, siccome è
scritto negli Atti, il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione. Il primo libro
liturgico pervenutoci che tratta la festa in tale data è il Lezionario Armeno
del 417.
Edicola ottagonale sopravvissuta dell'antica Basilica dell'Ascensione |
All’ultimo decennio del IV secolo invece
risale la Basilica dell’Ascensione (il nome originario è Ἐλεόνα βασιλικὴ), costruita in quel dipresso per volere della
pia donna Poimenia (anche se, stando a S. Eusebio, alcuni la fanno risalire
addirittura al 333 per desiderio di S. Elena e ordine di Costantino il Grande),
la quale andò distrutta durante l’invasione dei Persiani di Cosroe II nel VII
secolo, fu ricostruita in quello seguente, nuovamente distrutta e ricostruita
dai Crociati, e infine distrutta definitivamente dai maomettani,
sopravvivendone solo l’edicola ottagonale. Nel luogo, nonostante fosse stata
poi edificata una moschea, i Cristiani continuano a venerare l’orma del piede
destro di Gesù ivi impressa; esiste poi un monastero ortodosso sul Monte degli
Ulivi.
Tra i riti antichi della chiesa gerosolimitana
vi era, a mezzogiorno, la processione solenne diretta al Monte degli Ulivi
(proseguita sino al Medioevo e diffusasi, con l’ovvia perdita del realismo del
luogo, in alcune tradizioni occidentali), esattamente come avevano fatto Cristo
e i discepoli. Si teneva anche una benedizione delle vivande, in particolare del
pane e della frutta di stagione, a simboleggiare l’ultimo pasto fatto dal
Salvatore nel cenacolo coi discepoli.
La Messa Romana
Viri
Galilaei, quid admirámini aspiciéntes in coelum? allelúia: quemádmodum vidístis
eum ascendéntem in coelum, ita véniet, allelúia, allelúia, allelúia.
O
uomini di Galilea, perché restate attoniti guardando il cielo? Alleluia: così
come avete veduto il Signore che ascendeva in cielo, così egli verrà, alleluia,
alleluia, alleluia.
Anticamente, anche a Roma si teneva una
processione sul modello di quella di Gerusalemme: il Papa, celebrati gli Uffici
Notturni e la Messa a S. Pietro, procedeva verso l’ora sesta in processione con
i Cardinali fino alla Basilica del Laterano.
La Messa di oggi presenta dei testi veramente
notevoli, uno tra tutti l’Antifona dell’Introito, sopra riportata, la quale
possiede, a detta dello Schuster, una delle melodie più belle di tutto il
repertorio gregoriano. Essa è anche la prima antifona dell’Ufficio Divino,
nonché la lettura alla Benedizione finale dell’Ora Prima, che continueranno a
leggersi fino al termine dell’Ottava dell’Ascensione (istituita nell’VIII
secolo e in realtà soppressa formalmente da Papa Leone XIII, ma la lettura dei
testi della festa fino al giorno della Pentecoste è rimasta). In tale Antifona,
tratta dagli Atti degli Apostoli, oltre ad ammirare il mistero dell’Ascensione,
ci viene ricordata anche la sua Seconda Venuta, la quale i Cristiani attendono
bramosi.
“La colletta è splendida. Il Maestro è asceso al cielo
onde prepararci um posto. Egli è il nostro capo, e soltanto per una specie di
violenza le sue mistiche membra sono costrette a peregrinare ancora quaggiù in
terra. Non potendo subito ricongiungerci a Gesù in paradiso, dobbiamo però
abitare in cielo almeno cogli afetti, coi pensieri, coi desideri ; di guisa
che, esuli quaggiù col corpo, possiamo però dire con Paolo : conversano nostra in coelis est.”
(I. Schuster, Liber
Sacramentorum IV)
La lezione è tratta dagli Atti di S. Luca, ed
è la narrazione dell’episodio dell’Ascensione, così come lo sarà anche il
Vangelo (che è quello di S. Marco), per la quale si vedano i capi precedenti.
Il versetto del Piccolo Alleluia è dal salmo
LXVI, Ascendit Deus in
jubilatione et Dominus in voce tubae, il quale è stato visto come profezia
dell’Ascensione stessa, e come tale è presente anche all’Antifona
dell’Offertorio e come versicolo anche ai Vespri di tutta l’ottava.
Dopo il Vangelo, un accolito si reca
all’ambone per compiere il rito dello spegnimento del cero pasquale (sarà
acceso nuovamente solo la Vigilia di Pentecoste, per compiervi i riti della
veglia), giacché esso simboleggia la presenza fisica di Nostro Signore
Domineiddio su questa terra che si ha nel tempo Pasquale: oggi però egli
fisicamente ci lascia e sale al Cielo, così come il fumo del suo lume spento
ascende verso l’alto.
Oggi persino il Canone subisce delle piccole
modificazioni per meglio esprimere il grande mistero celebrato, come ha fatto a
Natale e a Pasqua: dopo il Prefazio, che già Papa Vigilio nel VI secolo cita
scrivendo a Profuturo di Braga, in cui si ricorda come Gesù maniféstus
appáruit et [...] est elevátus in coelum, ut nos
divinitátis suæ tribúeret esse partícipes,
il giorno gloriosoquo Dóminus noster, unigénitus Fílius tuus, unítam sibi
fragilitátis nostræ substántiam in glóriæ tuæ déxtera collocávit è ricordato con speciale menzione
prima dell’anamnesi dei Santi (Communicantes).
“L'antifona per la Comunione deriva dal salmo LXVII : Psállite Dómino, qui ascéndit super
coelos coelórum ad Oriéntem. Il
più alto dei cieli qui significa il trono stesso della divinità, che oggi l’
umanità santa di Gesù va ad occupare. Egli si eleva dalla parte d'Oriente,
perché tutte le opere di Dio sono splendide, luminose. [...] Il Cristo muore su
d'una collina alla presenza di tutto un popolo nel gran giorno della Parasceve
gerosolimitana; Gesù risorge e si fa vedere, palpare, non solo dagli Apostoli,
ma dalle pie donne, e persino da cinquecento persone adunate insieme. Oggi egli
sale al cielo, ma su d'una collina,alla presenza d’almeno undici persone.” (I. Schuster, op.cit.)
Particolare è il rito che osservano le
Carmelitane riformate di S. Teresa: giacché tradizione vuole che l’Ascensione
sia avvenuta a mezzodì, esse ne fanno particolare memoria, sostando in lunga
contemplazione quando sono riunite in coro per l’Ora Sesta, quasi ammirassero
realmente il Salvatore ascendere al Cielo anzi ai loro occhi.
Tre momenti della liturgia dell'Ascensione celebrata a Venezia da p. Joseph Kramer FSSP
La Liturgia Bizantina
Aνέβη ὁ Θεὸς ἐν ἀλαλαγμῷ, Κύριος ἐν φωνῇ
σάλπιγγος
Ascende Iddio tra il giubilo, il Signore tra suono di tromba
Ascende Iddio tra il giubilo, il Signore tra suono di tromba
La liturgia
orientale odierna segue pressoché lo schema di quella Romana, essendo entrambe
derivate dalla più antica tradizione della Terra Santa, ossia una Divina
Liturgia normale (essendo scomparsa la processione), con i propri commoventi
tropari e versetti, i quali sono i medesimi della liturgia Romana (altro segno
dell’origine comune; si veda ad esempio il Kinonikò sopra riportato): la
differenza principale sta nella lettura evangelica, giacché si preferisce la
versione di S. Luca, mentre la lezione dagli atti è identica.
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