giovedì 11 maggio 2017

La Santa Messa - III - Le preghiere preparatorie, l'aspersione e le preghiere ai piedi dell'altare

Pubblicazione precedente: http://traditiomarciana.blogspot.com/2017/05/la-santa-messa-ii-i-sacri-ministri-i.html

Dopo aver terminato, nel nostro ultimo scritto, l'analisi degli elementi fondamentali per una prima comprensione delle rubriche della liturgia, iniziamo ora l'analisi dei riti particolari della S. Messa. In questo capitolo ci si occuperà della preparazione del celebrante alla S. Messa, tanto in sagrestia che già all'altare.



VII. Delle preghiere sacerdotali di preparazione

Il sacerdote, accertatosi che tutto sia stato preparato per la S. Messa, sull'altare e sulla credenza, si ritira doverosamente in preghiera per qualche minuto, dovendo raccogliersi in meditazione per poter degnamente celebrare il Sacrificio più santo.
Prima del rito della Messa, nel Messale Romano, giusta qualsiasi edizione tipica, si trova il canone delle preghiere che il celebrante dovrebbe pro opportunitate recitare ogniqualvolta s'appresta ad officiare la S. Messa. Esse consistono di cinque salmi sotto l'antifona Ne reminescaris: questi sono i salmi LXXXIII (desiderio di entrare nella tenda del Signore, alla quale si appresterà a salire il sacerdote), LXXXIV, LXXXV (preghiere penitenziali per la purificazione), CXV (preghiera di colui che sta per innalzare il Sacrificio) e CXXIX (preghiera ancora penitenziale, soprattutto di intercessione). Aggiunge poi un triplice Kyrie eleison, un Pater Noster, alcuni versetti che ben si adattano al ruolo sacerdotale che sta per esercitare (exempli gratia, Sacerdótes tui induántur iustítiam et sancti tui exsúltent; Ab occúltis meis munda me, Dómine, et ab aliénis parce servo tuo) e conclude con sette orazioni, sub unica conclusione, allo Spirito Santo, cui chiede di discendere su di lui, umile suo servo, per esserne completamente purificato da ogni colpa, illuminato dai misteri divini, e infiammato d'amore per poterli ben celebrare.
Nel Messale sono poi riportate altre preghiere devozionali che il sacerdote può scegliere di recitare: le più famose, contenute anche negli offici della S. Comunione dei messalini dei fedeli, sono l'Orazione di S. Ambrogio (Ad mensam dulcissimi convivii tui) e quella di S. Tommaso d'Aquino per prepararsi alla ricezione della S. Eucaristia, ma vi sono anche richieste d'intercessione alla Madonna, a S. Giuseppe, agli Angeli e ai Santi e al Santo in onore del quale si celebra. Vi è anche la cosiddetta formula intentionis, con la quale il sacerdote, recitandola prima dell'officiatura, si preserva dal gravissimo difetto d'intenzione (mancanza di desiderio di voler realmente attuare la Transustanziazione e voler offrire il Sacrificio, la qual cosa rende invalida e gravemente peccaminosa la celebrazione del Sacramento).

Terminato questo raccoglimento, va a lavarsi le mani devotamente, per purificarsi anche corporalmente da ogni impurità, e si accosta all'armadio coi paramenti e li indossa nell'ordine prescritto, recitando nel frattempo le preghiere di vestizione: prima l'amitto, il camice e il cingolo; poi la stola (dopo averla baciata); se deve celebrar Messa immediatamente e non è la Messa principale della domenica, il manipolo (prima della stola, dopo averlo baciato) e la pianeta.

(lavandosi le mani)
Da, Dómine, virtútem mánibus meis ad abstergéndam omnem máculam: ut sine pollutióne mentis et córporis váleam tibi servíre.
(All'amitto, mentre se lo poggia sul capo)
Impóne, Dómine, cápiti meo gáleam salútis, ad expugnándos diabólicos incúrsus.
(Al camice, mentre lo indossa)
Deálba me, Dómine, et munda cor meum; ut, in Sánguine Agni dealbátus, gáudiis pérfruat sempitérnis.  
(Al cíngolo, mentre se ne cinge)
Præcínge me, Dómine, cingulo puritátis, et extíngue in lumbis meis humórem libídinis; ut máneat in me virtus continéntiæ et castitátis. 
(Al manipolo, mentre se lo pone sul braccio sinistro)
Mérear, Dómine, portáre manípulum fletus et dolóris; ut cum exsultatióne recípiam mercédem labóris.
(Alla stola, mentre se la pone sul collo)
Redde mihi, Dómine, stolam immortalitátis, quam pérdidi in prævaricatióne primi paréntis: et, quamvis indígnus accédo ad tuum sacrum mystérium, mérear tamen gáudium sempitérnum. 
(Alla pianeta, mentre se la impone)
Dómine, qui dixísti: Iugum meum suave est, et onus meum leve: fac, ut istud portáre sic váleam, quod cónsequar tuam grátiam.
Amen.
(lavandosi le mani)
Dà forza, Signore, alle mie mani, per purificare ogni macchia, acciocché senza inquinamento di mente o di corpo io sia degno di servirti.
(All'amitto, mentre se lo poggia sul capo)
Imponi, o Signore, l’elmo della salvezza sul mio capo, per resistere agli assalti diabolici.
(Al camice, mentre lo indossa)
Purificami, o Signore, e monda il mio cuore, acciocché, purificato nel Sangue dell’Agnello, esso possa godere delle gioie eterne.  
(Al cíngolo, mentre se ne cinge)
Avvolgimi, o Signore, del cingolo della purezza, e fa cessare gli ardori della libidine nella mia carne, acciocché in me restino virtù di continenza e castità. 
(Al manipolo, mentre se lo pone sul braccio sinistro)
Ch’io meriti, o Signore, di portare il manipolo del pianto e del dolore, acciocché con gioia possa ricevere il premio della mia fatica.
(Alla stola, mentre se la pone sul collo)
Rendimi, o Signore, la stola dell’immortalità, che ho perduta nel peccato del primo genitore, e, benché indegno accedo ai tuoi sacri misteri, possa io meritare la felicità sempiterna. 
(Alla pianeta, mentre se la impone)
Signore, che hai detto: Il mio giogo è soave, e il mio peso leggero: fa’ ch’io sia in grado di sopportare ciò che ho ottenuto per tua grazia. Amen.

VIII. Dell'aspersione domenicale coll'acqua benedetta



La domenica, prima della Messa principale, quantunque sia letta o cantata, si compie nelle Chiese parrocchiali e in quelle ad esse equiparate il rito dell'aspersione coll'acqua benedetta, sacramentale anzitutto penitenziale volto a conferire la purificazione spirituale anche ai fedeli che s'apprestano ad assistere alla celebrazione della Santa Liturgia Eucaristica nel giorno della Risurrezione del Signore, nonché ad assicurare a tutti la protezione divina contro le insidie del Maligno, essendo l'acqua santa una potente arma per scacciare i demoni. Ha anche un significato prettamente battesimale, ricordandoci l'acqua con la quale è stata lavata da noi la colpa dei progenitori e dalla quale siamo fatti Cristiani, e pasquale, ricordandoci l'"acqua viva" che è zampillata dal Cristo stesso risorto.
Generalmente l'acqua benedetta è già pronta e conservata in un secchiello; qualora occorresse prepararne dell'altra, il sacerdote, rivestito della sola stola già incrociata sul petto, esorcizza il sale con due orazioni e l'acqua con altre due, conferendogli il loro potere sacramentale contro il demonio, poi le mescola tre volte a mo' di croce e infine recita un'ultima orazione nella quale ricorda brevemente tutti i molteplici benefici spirituali e fisici dell'acqua santa.
Quindi, posto il secchiello sui gradini dell'altare insieme alla tabella con le preci dell'aspersione, il sacerdote fa il suo ingresso con i ministri (si veda il capo IX), senza indossare però né il manipolo né la pianeta, ma rivestito del piviale del colore del giorno.

Giunto all'altare e fatte le debite reverenze, si mette in ginocchio sul primo gradino e, ricevuto dal ministrante l'aspersorio, con i soliti baci, asperge per tre volte l'altare intonando l'antifona Asperges me; asperge poi i ministranti e il clero presente in presbiterio, quindi, accompagnato da uno o due chierici che reggono i lembi del piviale, asperge tutto il popolo presente, percorrendo tutta la navata centrale della chiesa. Ricevendo l'aspersione, i fedeli si segnano e s'inginocchiano, come ringraziamento per la santificazione che ottengono mediante quell'acqua.

Quando ha finito l'aspersione, il sacerdote ritorna al centro dell'altare e recita o canta dei versetti e un'orazione che invoca la protezione celeste sul santo tempio in cui sta celebrando la liturgia. Terminata l'orazione, va in coro a smettere il piviale e assumere gli altri paramenti, per poi incominciare la S. Messa con le preghiere ai piedi dell'altare (di cui al capo X).


Antiphona 
Aspérges me, Dómine, hyssópo et mundábor: lavábis me, et super nivem dealbábor.

Psalmus 50
Miserére mei, Deus, secúndum magnam *
misericórdiam tuam.
Gloria Patri, et Filio, *
et Spirítui Sancto,
Sicut erat in princípio et nunc et semper, *
et in sæcula sæculórum. Amen.

Antiphona 
Aspérges me ...

In tempo di Pasqua si dice quest'altra antifona:

Antiphona 
Vidi aquam egrediéntem de Templo a látere dextro, allelúia;  Et omnes ad quos pervénit aqua ista salvi facti sunt, et dícent: allelúia, allelúia.

Psalmus 117
Confitémini Dómino quóniam bonus:
quóniam in sǽculum misericórdia eius.
Gloria Patri, et Filio, *
et Spirítui Sancto.
Sicut erat in princípio et nunc et semper, *
et in sæcula sæculórum. Amen.

Antiphona 
Vidi aquam ...

V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam [T.P. Allelúia]. 
R. Et salutáre tuum da nobis [T.P. Allelúia]. 
V. Dómine exáudi oratiónem meam. 
R. Et clamor meus ad te véniat. 
V. Dóminus vobíscum. 
R. Et cum spíritu tuo. 

Oremus 
Exáudi nos, Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus, et míttere dignéris sanctum ángelum tuum de coélis, qui custódiat, fóveat, prótegat, vísitet, atque deféndat omnia habitántes in hoc habitáculo: Per Christum Dóminum nostrum. Amen.
Antifona 
Aspergimi d’issòpo o Signore, e sarò mondato: mi laverai e sarò bianco più che la neve.

Salmo 50
Misericordia di me, o Dio,
secondo la tua grande misericordia.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo,
com’era nel principio e ora e sempre
e nei secoli dei secoli. Amen.

Antifona 
Aspergimi...
                
In tempo di Pasqua si dice quest'altra antifona:

Antifona 
Ho visto l’acqua uscire dal fianco destro del Tempio, alleluia; e tutti quelli ai quali giunge quest’acqua son salvati, e diranno: alleluia, alleluia.

Salmo  117
Confessate il Signore perché è buono,
perché in eterno è la sua misericordia.
Gloria al Padre e al Figlio
e allo Spirito Santo,
com’era nel principio e ora e sempre
e nei secoli dei secoli. Amen.

Antifona 
Ho visto l’acqua ...

V. Mostraci, o Signore, la tua misericordia, [T.P. Allelúia]. 
R. E dacci la tua salvezza [T.P. Allelúia]. 
V. Signore, ascolta la mia preghiera. 
R. E il mio grido giunga a te. 
V. Il Signore sia con voi. 
R. E con lo spirito tuo. 
                  
Preghiamo
Esaudisci, Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno, e degnati di mandarci dal cielo un tuo santo angelo, che custodisca, conforti protegga, visiti e difenda tutti quelli che si trovano in questo santo tempio: per Cristo Signore nostro. Amen.

IX. Dell'ingresso al Sacro Altare

Discettando ora di come il sacerdote debba accedere al Sacro Altare per celebrare il Santo Sacrificio Eucaristico, è necessario operare una distinzione netta tra la Messa letta e quella cantata o solenne, dal momento che, come s'è detto, nella prima l'ara sacrificale necessita d'esser preparata, mentre nelle ultime è già pronta, e l'ingresso degli officianti è solenne e processionale.

  • Messa letta: completamente parato, il celebrante fa un profondo inchino alla Croce, dicendo delle formule ad libitum come "Adjutorium nostrum in nomine Domini, qui fecit coelum et terram", e segnandosi. Indi, preso in mano il calice velato con la borsa, accede all'altare a capo coperto, preceduto dal ministrante; giunto dinnanzi all'altare leva la berretta e la consegna al ministro coi debiti baci (con tale formula, calco del latino solita oscula, s'intende sempre un bacio alla mano del sacerdote e uno all'oggetto), e fa la debita reverenza (generalmente, un profondo inchino all'altare o alla Croce che lo sovrasta; se poi fosse presente il Tabernacolo con il Santissimo, fa una genuflessione; il serviente, in ogni caso, genuflette sempre). A questo punto, mentre chi serve Messa va a deporre la berretta alla credenza e a poggiare il Messale sul leggio aperto alle pagine corrette, il sacerdote sale all'altare con il calice, per disporvelo sopra.
    Tale rito, consistente nell'estrarre il corporale dalla borsa, stenderlo nella zona centrale dell'altare e poggiarvi sopra il calice velato, è quanto resta dell'antica protesi o proscomidia, ovverosia la preparazione delle prosfore prima della celebrazione della Divina Liturgia, tuttora in uso presso le Chiese d'Oriente ma resa inutile dall'introduzione delle ostie di pane azzimo nella liturgia occidentale. Simbolicamente, il celebrante agisce poi come il sacerdote dell’Antico Testamento che sale sul monte con gli strumenti del sacrificio, segno dunque che il sacerdote è anche sacrificatore, unico intermediario dell’incruento Sacrificio.
  • Messa cantata o solenne: dopo aver fatto l'inchino alla Croce, il celebrante soggiunge una formula ad libitum come "Procedamus in pace. In nomine Christi. Amen.".
    Si forma a questo punto la processione d'ingresso, che percorre tutta o parte della navata e raggiunge il presbiterio, mentre il coro canta un mottetto o l'organo suona: in processione precedono il turiferario col turibolo fumigante e il naviculario, segue un ministrante con la croce processionale, i due accoliti con le candele accese, altri eventuali ministranti, il clero assistente in coro, il cerimoniere e il celebrante, accompagnato da diacono e suddiacono (ed eventualmente prete assistente) nella Messa solenne, tutti a capo coperto.
    Il rito della processione introitale è modellato sulle antiche liturgie papali ed episcopali, in cui il Vescovo procedeva prima in mezzo al popolo riunito nella Basilica per benedirlo.
    Ogni ministrante quando giunge all'altare fa la debita riverenza, ossia una genuflessione, tranne il crocifero; diacono, suddiacono e cerimoniere la fanno insieme al sacerdote, e quest'ultimo poi riceve le berrette e le porta agli scranni.
    La liturgia, essendo l'altare già pronto, inizia allora direttamente con le preghiere ai piedi dell'altare (o con l'aspersione, per cui si veda al capo VIII, se è domenica).

X. Delle preci ai piedi dell'altare



All'inizio della Messa il sacerdote recita devotamente delle preghiere ai piedi dell'altare, non ritenendosi degno di salirvi per celebrare l'Augusto Sacrificio, in modo da suscitare in sé pii sentimenti di contrizione ed umiltà. Parimenti indegni sono i suoi ministri, i quali rispondono inginocchiati a queste preghiere.

Fatto il segno della croce, il sacerdote pronuncia l'antifona Introibo ad altare Dei, cui il ministrante risponde Ad Deum qui laetificat juventutem meam, e inizia la recita, alternata col chierichetto, del salmo XLII (Judica me Deus), scelto probabilmente proprio a motivo del versetto che ne costituisce l'antifona, che ben si adatta a una preghiera preparatoria.
Si trovano poche tracce di questa preghiera prima della riforma del Messale ordinata da S. Pio V nel 1570: a Roma era probabilmente già in vigore da qualche decennio, e ha origine probabilmente gallicana e non anteriore all'XI secolo. Sappiamo che fino alla fine del XV secolo nella maggior parte dei luoghi non era recitata; dopo la riforma tridentina fu esportata in tutto l'orbe cattolico, e fu finanche adottata dalla Chiesa di rito armeno, almeno dal XVII secolo.
Nel salmo, oltre a venir espresso il desiderio di salire al monte santo del Signore, la speranza di Dio, salvezza delle genti, dissipa la tristezza dell'anima, dovuta alla persecuzione dell'uomo iniquo e fraudolento (è Nostro Signore stesso che parla attraverso la bocca del salmista, che fu quasi certamente Davide in gioventù, come in gran parte dei salmi di questo tono). Proprio per questo motivo, le Messe da morto e quelle di Passione non hanno questa preghiera, giacché sarebbe poco logico parlare di sollievo dell'anima in quelle circostanze.
Terminato il salmo con la dossologia minore (Gloria Patri) e ripetuta l'antifona, il celebrante si segna e invoca il soccorso del Signore con la formula "Adjutorium nostrum in nomine Domini, qui fecit coelum et terram". Infatti, per poter degnamente raggiungere Nostro Signore sull'altare, come egli ha ardentemente bramato nel salmo, ha bisogno della luce divina che gli faccia da guida: senza l'aiuto di Dio egli non potrà mai raggiungere la pienezza dei misteri divini, a causa della propria natura di peccatore. Con tale gesto di richiesta, accompagnato dal segno della fede come simbolo di totale fiducia nell'Altissimo, egli eziandio s'appresta a confessare le proprie iniquità.

Queste preghiere costituiscono la preparazione privata del sacerdote: prima della riforma di Pio V spesso erano dette mentalmente mentre il celebrante accedeva all'altare, e nelle Messe in canto infatti sono ancora recitate in segreto con i ministri, mentre il coro canta l'antifona dell'Introito. Esse, così come le altre che precedono la pars didactica vera e propria, hanno certa origine medievale, e per questo furono rigettate da alcuni novatori, i quali sostenevano che la liturgia dei catecumeni dei primi secoli iniziasse direttamente con le letture scritturali. Nulla di più falso - ci sentiamo d'affermare - poiché la preparazione della liturgia è sempre stata parte integrante della stessa, come è possibile dedurre dalle numerosissime e reiterate preghiere litaniche di supplica a Dio per le più disparate necessità della Chiesa che introducono le Divine Liturgie orientali (conservatesi nella loro forma originale del IV secolo), nonché le preghiere preparatorie presenti in quasi ogni altro rito (si veda, ad esempio, il praelegendum del rito mozarabico).

In nómine Patris + et Fílii et Spíritus Sancti. Amen.

V. Introíbo ad altáre Dei.
R. Ad Deum qui lætíficat iuventútem meam.

V. Iúdica me, Deus, et discérne causam meam de gente non sancta: ab hómine iniquo, et dolóso érue me.
R. Quia tu es, Deus, fortitúdo mea: quare me repulísti, et quare tristis incédo, dum afflígit me inimícus?
 V. Emítte lucem tuam et veritátem tuam: ipsa me deduxérunt et adduxérunt in montem sanctum tuum, et in tabernácula tua.
R. Et introíbo ad altáre Dei: ad Deum qui lætíficat iuventútem meam.
V. Confitébor tibi in cíthara, Deus, Deus meus; quare tristis es, ánima mea, et quare contúrbas me?
R. Spera in Deo, quóniam adhuc confitébor illi: salutare vúltus mei, et Deus meus.
V. Glória Patri et Fílio et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio et nunc et semper, et in sǽcula sæculórum. Amen.

V. Introíbo ad altáre Dei.
R. Ad Deum qui lætíficat iuventútem meam.
  
V. Adiutórium nostrum + in nómine Dómini.
R.Qui fécit cœlum et terram.
Nel nome del Padre + del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.

V. M’accosterò all’altare di Dio.
R. A Iddio che rende lieta la mia giovinezza.

V. Fammi giustizia, o Dio, e allontanami dalla gente impura, dall’uomo iniquo e fraudolento liberami.
R. Giacché tu, o Dio, sei la mia fortezza: perché m’hai respinto, e perché triste me ne vo, mentre il nemico mi soverchia?
V. Manda la tua luce e la tua verità: esse mi han condotto e mi han portato al tuo santo monte, e alle tue tende.
R. E mi accosterò all’altare di Dio: a Iddio che rende lieta la mia giovinezza.
V. Ti loderò sulla cetra, o Dio, mio Dio; perché sei triste, anima mia, e perché mi rendi turbato?
R. Spera in Dio, dacché ancora lo loderò: egli è salvezza del mio volto e mio Dio.
V. Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.
R. Com’era nel principio e ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen.

V. M’accosterò all’altare di Dio.
R. A Iddio che rende lieta la mia giovinezza.
  
V. Il nostro soccorso + è nel nome del Signore.
R. Che ha fatti il cielo e la terra.    


Prossima pubblicazione (metà maggio): La Santa Messa - IV - Dalla Confessione al Kyrie

Fonti principali: da questo punto, guidati dall'ottima raccolta di d. Prosper Gueranger "Spiegazione delle preghiere e delle cerimonie della S. Messa", le fonti del nostro saggio saranno gli stessi testi liturgici, corredati da un'attenta analisi delle rubriche e del Ritus servandus in appendice al Messale Romano, nonché dei Sacramentari antichi e degli altri libri liturgici che possono indurre a una più completa comprensione della storia e del significato dei riti sacri.

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