martedì 30 maggio 2017

La Santa Messa V - L'Inno Angelico e la Colletta

Pubblicazione precedente: http://traditiomarciana.blogspot.com/2017/05/la-santa-messa-iv-dalla-confessione-al.html

XV. Dell'Inno Angelico


Al centro dell'altare, il sacerdote allarga e ricongiunge le braccia intonando le parole: Gloria in excelsis Deo, e dando inizio al canto dell'Inno della Messa, o Grande Dossologia (dal greco, "discorso di lode"), antichissima e ardente preghiera di esaltazione e magnificazione del Signore. Tale Inno si definisce Angelico, giacché le sue prime parole sono quelle che pronunciarono gli Angeli allietandosi per la nascita del Salvatore a Betlemme (Lucas II, 14), nonché per il fatto che la lode mistica che esso offre a Nostro Signore è quella stessa che le schiere degli incorporei incessantemente innalzano nei cori celesti.
Le origini di questo inno, così come quelle del Te Deum o del Lumen Hilare, si perdono nella Storia del Cristianesimo: già Plinio il Giovane ci riferisce nella sua lettera all'Imperatore Traiano che i Cristiani si radunavano al mattino per innalzare un inno col quale "cantavano a Gesù come Dio", e allo stesso canto fa riferimento il satirico Luciano; il testo originale, contenuto nelle Costituzioni Apostoliche ordinate da S. Clemente Papa alla fine del I secolo (che alcuni malignamente pospongono sino al IV secolo), è ovviamente greco, e la prima traduzione latina si attribuisce generalmente a S. Ilario di Poitiers (seconda metà del IV secolo). In ogni caso, è assai probabilmente anteriore al 382, giacché traduce il greco ὑψίστοις con excelsis, quando la Vulgata di S. Girolamo preferisce altissimis. Lo Schuster porta ad ulteriore prova della sua antichità il fatto che non compaiano accenni alla risoluzione ortodossa delle dispute trinitarie, e in particolare di quella ariana.

Originariamente si cantava, come abbiamo visto, nell'Ufficio Notturno (quello che poi sarebbe stato chiamato Mattutino), come inno di lode al sorgere del sole: tale funzione è ancora quella in cui viene usato nell'ufficio divino bizantino, verso il termine dell'Ὀρθρός, introdotto dal versetto del celebrante: "Δόξα σοι τῷ δείξαντι τὸ φῶς" (Gloria a te che ci mostrasti la luce). Nella sua versione liturgica greca è seguito da numerosi versetti tratti dai salmi, che cambiano leggermente a seconda se l'ufficio sia festivo (Dossologia maggiore) o feriale (Dossologia minore), di cui riportiamo qui solo il primo (nel secondo caso, l'ordine dei versetti è un po' diverso, e il trisagio è sostituito da una conclusione trinitaria da orazione):

Festivo:
Καθ' ἑκάστην ἡμέραν εὐλογήσω σε, καὶ αἰνέσω τὸ ὄνομά σου εἰς τὸν αἰῶνα, καὶ εἰς τὸν αἰῶνα τοῦ αἰῶνος. Καταξίωσον, Κύριε, ἐν τῇ ἡμέρᾳ ταύτῃ, ἀναμαρτήτους φυλαχθῆναι ἡμᾶς. Εὐλογητὸς εἶ, Κύριε, ὁ Θεὸς τῶν Πατέρων ἡμῶν, καὶ αἰνετὸν καὶ δεδοξασμένον τὸ ὄνομά σου εἰς τοὺς αἰῶνας. Ἀμήν. Γένοιτο, Κύριε, τὸ ἔλεός σου ἐφ' ἡμᾶς, καθάπερ ἠλπίσαμεν ἐπὶ σέ. Εὐλογητὸς εἶ, Κύριε. δίδαξόν με τὰ δικαιώματά σου (ἐκ γ'). Κύριε, καταφυγὴ ἐγενήθης ἡμῖν, ἐν γενεᾷ καὶ γενεᾷ, Ἐγὼ εἶπα· Κύριε, ἐλέησόν με, ἴασαι τὴν ψυχήν μου, ὅτι ἥμαρτόν σοι. Κύριε, πρὸς σὲ κατέφυγον, δίδαξόν με τοῦ ποιεῖν τὸ θέλημά σου, ὅτι σὺ εἶ ὁ Θεός μου. Ὅτι παρὰ σοὶ πηγὴ ζωῆς, ἐν τῷ φωτί σου ὀψόμεθα φῶς. Παράτεινον τὸ ἔλεός σου τοῖς γινώσκουσί σε. Ἅγιος ὁ Θεός, Ἅγιος Ἰσχυρός, Ἅγιος Ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς (ἐκ γ'). Δόξα... Καὶ νῦν... Ἅγιος Ἀθάνατος, ἐλέησον ἡμᾶς.
Ogni notte ti benedirò e inneggerò il tuo nome in eterno, e nei secoli dei secoli. Degnati, o Signore, in questo giorno, di custodirci senza peccato. Benedetto sei, o Signore, o Dio dei Padri nostri, e lodato e glorificato è il tuo nome nei secoli. Amen. Scenda, o Signore, la tua misericordia su di noi, siccome in te abbiamo sperato. Benedetto sei, o Signore, insegnami la tua giustizia (3 volte). Signore, sei divenuto per noi un rifugio in ogni generazione. Io ho detto: Signore, abbi misericordia di me, sana l'anima mia, perché contro di te ho peccato. Signore, presso di te mi son rifugiato, insegnami a fare la tua volontà, giacché tu sei il mio Dio, giacché presso di te è la fonte della vita, e nella tua luce vedremo la luce. Stendi la tua misericordia su di quelli che ti conoscono. Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, misericordia di noi! (3 volte) Gloria al Padre ... E ora e sempre ... Santo Immortale, misericordia di noi!

Dicevamo, però, che nel rito latino esso è stato lentamente abbandonato nell'ufficio mattutino, sostituito dall'omologo Inno Ambrosiano (Te Deum). Fu S. Telesforo  invece (metà del II secolo), secondo quanto riporta il Liber Pontificalis, a ordinare che fosse recitato durante la Messa della notte di Natale, volendo riprodurre il canto degli Angeli proprio nell'occasione in cui essi l'avevano intonato; nel 514 Papa Simmaco estese la sua recita a tutte le Messe domenicali e alle feste dei Martiri, ma riservandolo ai vescovi. Solo a partire dalla fine del XI secolo invalse l'uso di cantarlo in tutte le feste di qualsiasi grado, e tale uso fu esteso anche ai semplici sacerdoti: in questo stesso periodo, per influenza romana, anche gli altri maggiori riti occidentali introducono l'Inno Angelico nella propria Liturgia Eucaristica.
Ad oggi è recitato in tutte le feste dei Santi e in tutte le feste despotiche, domeniche comprese, tranne però quelle che cadono in Avvento, Quaresima e Settuagesima (ancorché quest'ultima esenzione sia più tardiva rispetto alle altre due), a cagione del loro carattere penitenziale a cui mal s'addice un canto sì gioioso. Omettesi inoltre anche alle luttuose Messe dei defunti, nonché alle ferie e ai giorni liturgici di rango minore fuori dal Tempo Pasquale, in modo da sottolineare la minor solennità di questi uffici.

La Chiesa con queste parole e con sublime affetto rende grazie per la stessa gloria di Dio, tanto interna quanto esterna, cioè per l’interna eccellenza o infinite perfezioni di Dio, quanto per l’esterna manifestazione di questa gloria interna con le opere ad extra. Primariamente infatti, l’interna gloria di Dio o la sua infinita bontà, con contemplazione e perfetto amore è fonte di santo e ineffabile gaudio per le anime che amano Dio; così l’infinita bontà di Dio è anche il bene di loro stesse. Scrive S. Bonaventura: “Non dubito, anzi sono certo, che gli Angeli e le anime sante godono più per la magnificenza del tuo onore che per la magnificenza della loro gloria”.
In tale Inno, secondo il meraviglioso commentario dei monaci di Solesmes, s'inizia lodando Dio genericamente, senza distinzione tra le sue tre Persone, secondo quanto fanno gli angeli nei loro cori celesti (dossologia angelica o protocollo): nel pronunciare questa lode iniziale si china il capo tre volte, ossia quando si pronunzia il nome di Dio, per rispetto, poi quando si dice di adorarlo, imitando il gesto della prostrazione (il testo greco infatti dice προσκυνοῦμεν), e quando gli si rende grazie per la sua gloria, come gesto che accompagni l'umile nostro ringraziamento per tutto il bene che ci ha procurato a partire dalla sua gloriosa Incarnazione.
Indi, la Santa Chiesa inizia a lodare singolarmente le Tre Persone, partendo dal Padre, che è principio delle altre due, il Re dei Cieli, il Creatore, l'Onnipotente. Segue la lode al Figlio di Dio Incarnato, che appella con tutti i titoli che meglio convengono alla sua grande economia, traendo la Chiesa gran gioia nel pronunziare le magnificazioni del suo Sposo celeste.
Lo ricorda anche col titolo con cui lo appellò dapprima S. Giovanni il Battista e che ricorda l'amorevole sacrificio di Nostro Signore, ossia di "Agnello di Dio che porta i peccati del mondo", supplicandolo di aver di noi pietà e di accogliere la nostra supplica (anche qui si china il capo, imitando il gesto del supplice). Alla Crocifissione di Nostro Signore segue però la Risurrezione e la festosa Ascensione, e pertanto nuovamente viene invocato come Colui che siede alla destra di Dio Padre, ove sta il trono regale su cui s'è assiso il quarantesimo giorno dopo la Pasqua.
Infine, l'Inno si slancia verso Cristo stesso con un climax di lode della sua grandezza e della sua divinità: poiché, come ricorda anche S. Tommaso, “non diciamo in modo assoluto che solo il Figlio sia l’Altissimo (cfr. Ephesios I,20), ma che sia l’Altissimo col Santo Spirito nella gloria di Dio Padre”, ivi si menziona anche lo Spirito Santo, dando così il dovuto onore a tutte e tre le Persone della SS. Trinità, che sono nella stessa gloria: essendo proprio un inno trinitario, alla fine di esso si fa il segno della Croce.

Nelle Messe solenni o cantate, dopo che il Sacerdote ha intonato l'inno lo prosegue sottovoce con tutti i chierici presenti nel Santuario, mentre il coro lo canta; quando i ministri l'hanno terminato, attendono seduti ai propri scranni che anche la schola abbia terminato l'Inno. Le principali preghiere della Messa (Gloria, Credo, Agnus) possiedono infatti una doppia recita contemporanea: quella dei Sacri Ministri è fatta privatamente poiché è distintiva del ruolo che stanno svolgendo, ed è portata direttamente davanti a Dio, trovandosi essi nel suo Santuario.

Glória in excélsis Deo (caput inclinat)
et in terra pax homínibus bonæ voluntátis.
Laudámus te. Benedícimus te.
(caput inclinat) Adorámus te.  Glorificámus te.
(caput inclinat) Grátias ágimus tibi
propter magnam glóriam tuam.
Dómine Deus, Rex cœléstis,
Deus Pater omnípotens.
Dómine, Fili unigénite
(caput inclinat) Jesu Christe.
Dómine Deus, Agnus Dei, Filius Patris.
Qui tollis peccáta mundi,
miserére nobis.
Qui tollis peccáta mundi,
(caput inclinat) súscipe deprecatiónem nostram.
Qui sedes ad déxteram Patris,
miserére nobis.
Quóniam tu solus Sanctus.
Tu solus Dóminus.
Tu solus Altíssimus,
(caput inclinat) Jesu Christe.
Cum Sancto Spiritu + (signat seipsum) in glória Dei Patris.
Amen.
Gloria a Dio nel più alto dei cieli (china il capo)
e pace in terra tra gli uomini di buona volontà.
Ti lodiamo. Ti benediciamo.
(china il capo) T’adoriamo. Ti glorifichiamo.
(china il capo) Grazie ti rendiamo
a cagion della tua grande gloria.
Signore Iddio, Re celeste,
Dio Padre onnipotente.
Signore, Figlio unigenito
(china il capo) Gesù Cristo.
Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre,
Tu che porti su di te i peccati del mondo,
misericordia di noi.
Tu che porti su di te i peccati del mondo,
(china il capo) accetta la nostra preghiera.
Tu che siedi alla destra del Padre,
misericordia di noi.
Giacché tu solo sei Santo,
tu solo sei il Signore.
Tu solo sei Altissimo,
(china il capo) o Gesù Cristo.
Col Santo Spirito + (si segna) nella gloria di Dio Padre.
Amen.

XVI. Del saluto



Il Sacerdote a questo punto bacia l'altare, salutando e ricevendo il saluto da Cristo stesso ivi rappresentato, e trasmettendolo poi con la già vista formula "Dominus vobiscum" ai fedeli. Per farlo, si volge verso il popolo e allarga le braccia, riempiendo della gioia del bacio divino il cuore degli uomini peccatori, come Gesù stesso, voltosi a Pietro, lo riempì di grazia e lo convertì, dopo ch'egli l'aveva tradito; questo saluto è riservato al Sacerdote e al Diacono, poiché esso rappresenta misticamente una mediazione tra il saluto di Dio e i fedeli che lo devono accogliere.

Qualche riga di meditazione sulla misticità di questo semplice e troppo spesso trascurato gesto liturgico ci è offerta da p. Giuseppe M. Petrazzi S.J. (pubblicato nel 1933):
Quante anime hanno bisogno del tuo bacio, o Gesù. Quante anime purtroppo non possiedono la dolcezza della pace che solo il tuo Spirito può dare. Deh, concedimi la grande grazia che io possa comunicare il tuo bacio! Ma ciò non sarà possibile se io prima non avrò baciato Te, o Signore, unendomi intimamente all’Altare che ti rappresenta, all’Altare del tuo Sacrificio. Dunque perché io possa consolare davvero le anime, perché possa recar loro non già quelle consolazioni effimere che lasciano il cuore più desolato, ma il tuo bacio, solo il tuo bacio, o Gesù, è necessario che io mi unisca sempre più a Te nel tuo Sacrificio. Intendo, dunque, in ogni sacrificio che Tu mi chiederai, di vedere non solo un invito a dare a Te quell’unico bacio che Tu gradisci, ma insieme un invito a darlo a tante anime care, anime che da me aspettano sollievo e conforto. Deh, non permettere che io mi illuda di poter recar loro il medesimo conforto per altra via: quel conforto non potrebbe essere che un misero inganno. Devo sforzarmi di rendere lieta la vita di coloro che trattano con me: vorrei apparire come un perpetuo sorriso di pace, per questo è necessario che io vinca ogni egoismo. E’ necessario che a me riserbi le spine per comunicar loro le rose del vero amore, le fragranze celesti del tuo bacio, o Gesù! Ma solo lo spirito di fede con cui le anime appaiono alla tua luce divina, rende possibile questa santa amabilità. Con lo spirito di fede le anime, anche più antipatiche e ripugnanti, mi appaiono rivestite della tua bellezza, mi appaiono degne del tuo bacio, o Gesù. Sì, perché anche fossero peccatrici, lo spirito di fede me le mostra sempre come qualche cosa di sacro, qualche cosa di divino, appunto perché sopra di esse si deve effondere lo spirito soavissimo della tua misericordia. Deh, dammi grazia che io ne possa essere ministro!

Il Vescovo, salutando i fedeli, dice "Pax vobis", secondo un uso più antico (II secolo) attestato nei riti orientali anche per i semplici sacerdoti (Εἰρήνη πᾶσι). Molti degli usi più antichi della Chiesa, un tempo osservati da tutti i religiosi, sono poi stati per praticità sostituiti da altri più semplici, ma sono stati mantenuti dagli alti prelati (exempli gratia, l'indossare il manipolo al momento di salire all'altare).

XVII. Dell'Orazione maggiore o Colletta


Invitati i fedeli a pregare coll'"Oremus", il Sacerdote pronuncia l'Orazione maggiore, tratta dal proprio del giorno, così detta poiché è la più importante non solo della Messa, ma anche di tutta la liturgia romana (la si usa come orazione conclusiva delle Laudi, del Vespro, delle Ore minori tranne Prima e del Mattutino se è officiato da solo), tanto che negli usi monastici i confratelli stanno profondamente inchinati o volti all'altare per rispetto a questa preghiera (al di fuori dei monasteri, ciò si fa solo in Quaresima, ma è sempre prescritto dal Messale di inchinarsi leggermente al nome di Maria o del Santo del giorno e profondamente al nome di Gesù durante la conclusione trinitaria).
Il suo altro nome, Colletta, viene dal verbo colligere, ossia "raccogliere", ed è l'equivalente del greco σύναξις: i più interpretano tale nome nel senso che quest'orazione raccoglie tutte le intenzioni dei fedeli e del clero in una sola preghiera (Innocenzo III disse che in tale orazione il Sacerdote, che funge da legazione a Dio per il popolo, raccoglie e racchiude in essa le petizioni di tutti); storicamente, era il nome dato all'Orazione solennemente pronunciata nella Chiesa in cui si riunivano i fedeli romani per poi recarsi processionalmente alla Basilica Stazionale. Essa è probabilmente quanto rimane dell'antica Παννυχίς (veglia di tutta la notte) che veniva celebrata prima della Processione, e la sua introduzione risale alla riforma di Celestino I (V secolo), quando oramai la Veglia era scomparsa e pure l'uso della processione era decaduto (la litania infatti era diventato il Kyrie eleison della Messa), e la Colletta era designata con termini quali Oratio super populum o Benedictio, segno della perdita del suo senso originario.

Gran parte delle Collette ha origine molto antica, poiché il loro testo è inscritto già nei Sacramentari Leoniano, Gelasiano e Gregoriano: in essi sono indicate come "Collette" anche le orazioni che si facevano tra le lezioni, scomparse dalla Messa Romana forse fin dal V secolo, se non in alcuni giorni particolari come le Quattro Tempora.
Benché Tertulliano sostenga che si pregasse sine monitore, lo Schuster, comparando con l'uso orientale in cui ogni gesto liturgico e preceduto da un invito del diacono, ritiene che fosse prassi comune che il popolo fosse invitato a prostrarsi o inginocchiarsi durante la preghiera da un annunzio del diacono, Flectamus genua o Humiliate capita vestra Deo (anche questi sono rimasti solo in alcune orazioni della Quaresima).

La Colletta consta generalmente di quattro parti, in ordine variabile e più o meno esplicite, che corrispondono alle quattro esortazioni che fa S. Paolo in I Timotheus II, 1: obsecrationes, orationes, postulationes, gratiarum actiones.
  • L'oratio ha il compito di elevare la mente dell'orante a Dio: trattasi del vocativo iniziale con cui ci si rivolge al Signore (e.g., Domine Deus, Omnipotens et misericors Deus)
  • La gratiarum actio è resa a Dio per qualche beneficio ricevuto, per la sua gloria particolarmente espressa nella festa ricorrente, o per la grazia ottenuta dai Santi o per le loro intercessioni: generalmente è una relativa che segue il vocativo iniziale o il nome del Santo del giorno (e.g., qui corda fidelium tuorum Sancto Spiritu...)
  • La postulatio, ossia la richiesta vera e propria, di grazie materiali e spirituali, della liberazione dal male, di intercessioni o altro, la quale è introdotta generalmente da verbi quali praesta o concede e accompagnata dalla forma di cortesia quaesumus.
  • L'obsecratio o preghiera è l'invocazione finale, in cui tutte le parti precedente vengono consacrate a Iddio per mezzo del Signore Nostro Gesù Cristo, come egli aveva detto: "Qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome ve la concederà". Questa formula fissa è detta conclusione trinitaria, e ha tre possibili varianti a seconda che la Colletta sia rivolta a Dio Padre (Per Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum), al Figlio Unigenito (Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum), o al Padre menzionando il Figlio verso la fine (Qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus per omnia saecula saeculorum). Se poi il Figlio o il Santo Spirito fossero stati menzionati all'inizio, nella conclusione si premette al loro nome il pronome idem opportunamente coniugato. L'obsecratio, oltre che avvenire per mezzo di Gesù, è anche diretta all'intera Trinità, giacché essendo connaturate tra loro le Tre Persone sarebbe illogico pregarne una sola.
Nel pronunciare la Colletta il celebrante sta a braccia allargate, praticando in tal modo l'antico modo di pregare dei primi cristiani (posa degli orantes). Come Nostro Signore ha pregato sulla croce con le braccia stese, così i primi cristiani si rivolgevano a Dio allargando le braccia. In alcune tradizioni orientali si conserva ancora questo uso per tutti i fedeli. In Occidente solo il sacerdote prega in questo modo, perché egli rappresenta in sé Nostro Signore, il quale, confitto sulla croce, offre al Padre una preghiera di straordinaria efficacia.
Con la Colletta si entra nel vivo della Liturgia dei Catecumeni, e ha inizio la Pars Didactica vera e propria, ossia l'insegnamento della dottrina ai fedeli mediante la lettura della Sacra Scrittura.

Prossima pubblicazione (prima metà di giugno): La Santa Messa - VI - La Pars Didactica

Fonti principali:

  • d. Prosper Gueranger, Spiegazione della S. Messa
  • mons. I. Schuster, Liber Sacramentorum

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